E si entra nel vivo. E’ partita la Confederations Cup che farà da apri pista al Mondiale del 2014. Il Brasile è in festa e, grazie a un boom economico che lo accompagna da diversi anni, oltre al 2014, anno dei Mondiali, il 2016 suggellerà Rio de Janeiro come centro del mondo nei Giochi della XXXI Olimpiade.
Un paese che per molti anni ha vissuto nella povertà, nello stento, adesso si gode il suo magic moment finanziario, ma attenzione, non è tutto oro quel che luccica. In queste ore sta impazzando sul web un video fatto da una giovane ragazza brasiliana che senza peli sulla lingua spiega i motivi per i quali lei non seguirà la Coppa del Mondo. Questo contributo è stato registrato poco prima dell’inizio delle proteste che stanno accompagnando il Brasile in questi giorni.
“Ciao, mi chiamo Carla, sono brasiliana e vi dirò perché non andrò alle partite della Coppa del Mondo. La Coppa del Mondo – dice Carla – costerà al Brasile circa 30 miliardi di dollari. Ora dimmi: in un Paese dove l’analfabetismo colpisce in media il 10% della popolazione (con picchi del 21%) e dove 13 milioni di persone soffrono la fame e molte altre muoiono aspettando di essere cura, ha bisogno di altri stadi?”.
Il video è intervallato con interviste a persone che vivono quotidianamente la realtà brasiliana, quella cruda. La lotta per i diritti umani, un Paese tra le favelas che non si può rispecchiare con il concetto nei discorsi di autoglorificazione della presidente Dilma Rousseff.
Cosa sta succedendo in Brasile? I manifestanti, centinaia di migliaia in almeno 11 città del Paese, stanno protestando contro l’aumento dei prezzi dei trasporti pubblici, schizzati alle stelle dopo l’inizio della competizione mondiale. Sono i giovani a portare avanti questa protesta, addirittura è stata definita “spettacolare” l’occupazione del tetto del parlamento di Brasilia dove centinaia di manifestanti hanno fatto sentire la loro voce srotolando striscioni e intonando slogan di protesta.
Questa è l’altra faccia del Brasile. E’ sempre difficile percepire la vera realtà di un paese quando a dividerti c’è un oceano, un’idea sballata, un’informazione che filtra col contagocce quello che devi e non devi sapere. Gli stadi pieni in questi giorni, un popolo in festa, non possono nascondere tutto il resto.
E come eravamo noi “agli albori”?
Di certo qui in Italia si può parlare di tutto, tranne che di un Paese che, come si suol dire, “sta bene”. Ma anche noi abbiamo vissuto il nostro boom economico. Erano gli anni ’60, la televisione era da poco una novità, si vedeva Carosello e di lavoro ce n’era per tutti. Proprio nel 1960, con le casse dello stato che sorridevano, si organizzarono le Olimpiadi di Roma. Che lo sport sia un termometro della situazione economica di un paese, è abbastanza chiaro. La guerra era finita ormai da diversi anni e c’era il desiderio di evadere, ascoltare canzoni allegre e stare, seppur per poco, al centro del mondo. Per quelle Olimpiadi non si guardò in faccia a niente e nessuno.
Per necessità, venne tagliata in due Villa Pamphili, dando vita ad una lingua di asfalto che collegasse lo stadio a gran parte della città. Immaginate cosa potrebbe succedere, se solo qualcuno pensasse ad una soluzione del genere.
Un altro momento importante, dal punto di vista sportivo, l’Italia l’ha vissuto nel 1990. Erano i mondiali, attesissimi. L’Italia non li organizzava addirittura dal 1934. E di italiano in quel mondiale ci fu veramente tanto. Impreparazione a livelli storici, stadi non finiti e quegli stessi stadi (record che ancora regge) non del tutto esauriti in una competizione mondiale.
Paradossalmente in questa Confederations Cup si incontreranno proprio Italia e Brasile. Il vecchio e il nuovo, l’antico contro il moderno. E noi, oltre che vedere il verdeoro sovrapporsi al nostro azzurro, qualcosa possiamo imparare. Ci saranno ancora le proteste del popolo carioca, quello che sta subendo, più che vivendo questo boom economico. C’è bisogno di capacità, è necessaria la voglia di far valere i propri diritti per evitare che gli stessi vengano calpestati da un sistema che si è inceppato ormai da tanti e tanti anni. Quanto dovremmo aspettare noi (Italia) per rivivere momenti d’oro? Chiudendo gli occhi sembra quasi impossibile immaginarci la nostra Penisola adagiata su una linea retta, dove un bilancio è in positivo, il lavoro è un vero diritto e la possibilità di costruirsi una famiglia non è un privilegio.
Invidiamo per un po’ il Brasile, quello che “sta bene”, lasciamoci ammaliare adesso dai colori carioca e dalla samba contagiosa. Facciamo in modo che questa parola “crisi”, che ogni giorno ci martella e ci tartassa con la sua spietatezza, diventi al più presto, solamente un vecchio ricordo.