Una porta si apre lentamente.
Un uomo, occhiali, borsa nella mano destra, maniglia nella mano sinistra, ne fa capolino sulle mosse di entrare nella sala d’aspetto di uno psichiatra.
Circospetto, sguardo appena un po’ sgomento, si chiude l’uscio dietro di sé.
Si guarda intorno, volge gli occhi in alto, di lato, immobile come impaurito.
Poi fa un passo avanti e scivola in tutta la sua lunghezza, stendendosi per terra, su di un pavimento lucido come la testa di una calvo.
La musica altera i tempi, l’uomo cerca disperatamente di alzarsi : striscia, si rigira, gattona, va carponi, si adagia, si snoda…dà una testata contro la parete.
Non riesce ad alzarsi, il pavimento splende trafitto dal sole.
Finalmente si solleva, un solo attimo per ripiombare giù con un impatto sonoramente duro.
E’ in posizione supina ora sulla nuda, rilucente, tersa irreale superficie della sala d’aspetto.
Sollevarsi e poggiare le spalle contro il muro è questione di un piccolo, esile attimo, il corpo
sdrucciola in basso lieve e fluido come un panno bagnato.
Il suo sguardo ora è guardingo, la testa fumante per lo sforzo di escogitare qualcosa che gli faccia raggiungere il meraviglioso, comodo divano in fondo alla sala.
Carponi, come un neonato che incominci a gattonare, cerca di avanzare, in ginocchio, in piedi, eseguendo una sorta di danza agitando le gambe.
Abito scuro, camicia turchese guarda l’orologio per cronometrare la durata del suo sgambettare ritmico.
La sua immagine si riflette nel pavimento traslucido, ansima come un cane al sole, boccheggia
come dopo una lunga corsa.
Infine si fa forza e tenta alcuni passi in piedi. E’ infuriato. E’ a soli pochi centimetri dalla porta d’entrata e il divano è ancora lontano.
D’improvviso estrae un pacchetto di sigaretta dalla tasca e le pone a distanza regolare sul pavimento che è come acqua limpida.
Riesce ad alzarsi e camminare su questo sentiero improvvisato fino alla poltrona di lussureggiante plastica gialla.
Gorgoglia di felicità nell’avvicinarsi alla meta, si siede esalando sospiri di soddisfazione
e si ritrova di nuovo a terra, venuto giù come un bambino lungo uno scivolo da giardino.
La musica scandisce il tempo.
Ritenta, indomito e forte, ma viene di nuovo sputato fuori.
Lì accanto c’è un lungo basso tavolino di cristallo che anticipa la seduta del nero sofà.
Ci si afferra come un insetto in una pozza d’acqua si attacca ad un filo d’erba, e riesce a
raggiungere il divano.
Ci si siede su…e viene rivoltato come un calzino, sbattuto da tutte le parti, inchiodato col viso sotto il cristallo del tavolo.
L’uomo non si arrende ancora, ha il diritto di star seduto in quella sala d’aspetto e lo pretende.
Imbeve un fazzoletto di alcol da una bottiglia su di un cassettone lì accanto, lo mette sul divano
ed, evviva!, è assiso in posizione stabile. Finalmente è rilassato, prende un sacchetto di caramelle dal tavolo, cerca di aprirlo con le mani.. coi denti, lo strapazza, lo morde, lo strappa.
Il sacchetto cede e tutti i dolcetti saltano fuori festosi come coriandoli, coprendo lo spazio intorno.
Non ancora domato, e deciso a godersi una caramella a tutti i costi, va a scartarne una, la carta nasconde un’altra carta che nasconde una carta che nasconde un’altra carta……
Titoli di testa di “Cracking up” (Qua la mano picchiatello) ultimo film del più sottovalutato, misconosciuto genio del cinema americano: Jerry Lewis.