Una piccola pallina blu che corre ruotando su se stessa nello spazio ad un velocità folle, protetta da una sottilissima buccia. E’ la Terra. Gli abitanti di Gaia lo capiscono quando i primi astronauti la fotografano dallo spazio. E di colpo cambiano i paradigmi. E’ la vigilia di Natale del 1968 e lo scatto è dell’equipaggio di Apollo 8 mentre era in orbita attorno alla Luna.
«Vista dalla superficie lunare, la caratteristica più stupefacente della Terra, una cosa che toglie il respiro, è che sia viva. Le fotografie ci mostrano in primo piano la superficie asciutta e butterata della Luna, morta come un osso calcinato dal sole. Ma alta, librata senza appoggi entro la membrana umida e luccicante del suo chiaro cielo azzurro, c’è la Terra, sorgente, unico corpo esuberante di vita nella nostra parte del cosmo». (Lovelock 1991).
E’ la Terra della celebre Earthrise, la prima fotografia scattata da un astronauta in carne e ossa nella quale il pianeta è visibile stagliato nello spazio.
Nel 1972 la crisi del paradigma viene reso esplicito con grafici e previsioni. Lo fa il Club di Roma di Aurelio Peccei e, voilà! anche le fondamenta teoriche del modello crollano.
USCIRE DALL’IPEREALTÀ PER SCONTRARSI CON LA REALTÀ
Esplode, almeno a livello di scienza e coscienza,la crisi di sostenibilità della società industriale e consumista, basata sul ciclo perenne estrazione delle risorse, trasformazione delle stesse in merci, trasformazione delle merci in rifiuti che si basava sull’assunto della disponibilità illimitata delle risorse. L’illusione tecnocratica dovette confrontarsi con la dura realtà (così come a noi italiani è capitato quando Monti ha sostituito Berlusconi alla guida del paese). Dopo anni di fiducia in un mondo parallelo fatto di illusioni e di manipolazioni la cruda dura realtà riemerge ed impone il confronto.
Le risorse sono limitate e stanno finendo. Gaia, il nostro pianeta, è azzurro, è piccolo, è fragile. Ed è bellissimo!
Quali possono essere, dunque, gli esiti di una crisi? Una grande occasione di rinascita.
Ci piace pensare e sperare che l’attuale profonda crisi della società italiana sia l’annuncio di un fondamentale cambiamento, che si svilupperà nei prossimi anni, forse decenni, ma che restituirà alle generazioni che ci seguono, insieme alla speranza per il futuro, anche una società fondata su nuovi paradigmi. Cioè su nuovi equilibri tra le pressioni sociali e ambientali e quelle economiche, militari, politiche, tecnologiche, religiose.
DUE DATE SIMBOLICHE, LA FINE E L’INIZIO.
Un segnale di un nuovo motore, in grado di sostituire le caldaie che bruciando fossile producono il vapore e l’energia della società industriale, per sostenere questo cambiamento di civiltà diventa visibile, per l’opinione pubblica, nel 1990 quando il sistema militare americano apre al pubblico una rete costruita da infinite successioni di zero e uno: si chiama internet e collega tutti i computer del pianeta.
1972, Club di Roma; 1990, apertura alle università americane di internet: sono queste due possibili tappe che annunciano la fine di un modello di sviluppo e annunciano il nuovo modello di sviluppo.
Dopo una ventina di anni, ormai capiamo che il mondo digitale è una rivoluzione tecnologica di una potenza di gran lunga superiore di quella che è stata l’invenzione della ruota o della stampa, per la sua capacità di trasformare il rapporto tra l’uomo e la natura, tra la mente e il braccio. Le cinque dita della mano, diventano una risorsa potentissima (e smartphone e tablet rendono giustizia al ruolo del pollice opponibile).
In questo contesto si inizia a parlare di sostenibilità, di green economy, si rilancia il ruolo della bioeconomia, di decrescita felice, di sviluppo attraverso la decrescita a favore del benessere, o, secondo alcuni studiosi, in decrescita verso il bell-essere.
DOWNSHIFTING, SCALARE LE MARCE, RIDURRE LA VELOCITÀ.
In questo contesto nei paesi del nord europea e di origine anglosassone si sviluppa il movimento del downshifting un comportamento sociale e di tendenza in cui gli individui si orientano per vivere vite in modo più semplice, fuggendo dalla corsa ossessiva per il successo materialistico, riducendo lo stress di ritmi di lavoro straordinari, con i conseguenti costi psicologici.
Questo movimento propone un nuovo, migliore, equilibrio tra tempo libero e il lavoro, concentrando gli obiettivi di vita sulla propria realizzazione personale e sulla costruzione di relazioni, invece di perseguire il successo sociale sancito dalla propria capacità di consumo.
Concettualmente il downshifting condivide molte caratteristiche con i modelli di una vita semplice, forse arcaica, ma si distingue, come una forma alternativa, per la sua attenzione per il cambiamento moderato e la concentrazione sul mantenimento di un livello di comfort individuale elevato, con un approccio, come dicono gli inglesi, “dip your toes in gently”, di immergere i propri piedi con dolcezza.
Quindi un primo concetto contenuto in downshifting è “scalare le marce”. Un secondo concetto è “con dolcezza”. Un terzo concetto è a favore di una vita “semplice”.
UNA VITA SEMPLICE
Semplice vuol dire composto da un solo elemento; sobrio, modesto e deriva dal latino [simplex], composto dalla radice [sem-] uno solo, e da quella di [plectere] piegare. Piegato una sola volta. L’etimo e le articolazioni del significato di semplice, meritano qualche considerazione se lo associamo al concetto di downshifting.
L’etimo ci dice che il semplice non è un origami, come la società industriale e postindustriale, piegato mille volte in maniera studiata: invece è qualcosa di piegato una sola volta.
Dunque l’immagine fondamentale è quella del “piegato-una-volta-sola” e non invece quella del “non-piegato”. Questa immagine della piega singola è molto eloquente: il semplice non è qualcosa di già squadernato, palese, che si capisce da sé, senza alcuno sforzo.
Il semplice è qualcosa che non è difficile da aprire alla propria conoscenza, ma che, appunto, va aperto.
Una persona semplice ce la raffiguriamo sobria, che vive in maniera frugale e senza troppe pretese o alzate d’ingegno: una qualificazione che oscilla fra il pregio e il difetto.
Ciò che però forse è più caratterizzante è che la persona semplice non è difficile da conoscere, non nasconde doppi fini, non cela ombre: questo non vuol dire che sia un foglio di carta bianca, o un personaggio stereotipato su cui si può fare a meno di riflettere.
Semplicemente (appunto) non è una persona tortuosa composta da cento involuzioni. Un messaggio semplice è pronto alla comprensione, ma è pronto alla comprensione di chi lo vuole intendere. E i semplici intesi come erbe medicinali sono la base per complessi composti farmaceutici: in sé contengono pochi princìpi, chiari alla scienza di chi li abbia studiati.
Downshitfing è un movimento che propone un modo di vivere semplice, non frugale e senza troppe pretese, ma senza troppe complicazioni, senza mille interpretazioni. Forse è in questo senso che è da rivalutare l’apprezzamento delle “cose semplici”, come è uso dire, siano esse piaceri, sentimenti, abitudini, modelli di sviluppo: per esercitare la comprensione, per intendere il segreto delle pieghe del mondo. (E se non sai aprire un foglio piegato a metà non potrai mai capire come si fa un origami.)
E’ intorno al 1990 che questa nuova forma di vita semplice fa la sua comparsa sui mass media, ed è cresciuta costantemente in popolarità tra nelle società industriali, in particolare anglosassoni e del nord Europa: gli Stati Uniti, il Regno unito, la Nuova Zelanda, l’Australia, la Finlandia, la Svezia, l’Olanda, la Danimarca.
I VALORI E LE MOTIVAZIONI
Rallentare il ritmo della vita e assaporare pienamente il tempo che scorre e che si sta vivendo insieme al non spendere soldi inutilmente sono i principali valori di una società downshitfing. Ma non sono gli unici. Un altro principio base è di trascorrere il tempo libero in compagnia di altri, soprattutto le persone care, rifuggendo dall’individualismo tipico della nostra società e l’isolamento della società post-moderna.
La motivazione principale che porta ad aderire alla filosofia del downshifting è nel recuperare tempo libero, sfuggendo al massacrante ciclo lavoro, guadagno, spendo, conservo, butto.
Non si tratta tanto di frugalità o di riemersione di modelli arcaici, ma di rallentare, riducendo gli acquisti e la proprietà alle poche cose che rendono la vita realmente comoda e confortevole. Non è un rifiuto della modernità, è una riscoperta del valore del tempo e del gioco. Una valorizzazione delle cose possedute a discapito dello spreco e del consumismo fine a se stesso.
L’obiettivo è raggiungere un approccio olistico di auto-comprensione e un soddisfacente significato e valore per la vita (reale) che si sta vivendo senza delegarlo agli oggetti posseduti.
A causa della sua natura personalizzata e dell’enfasi su molte piccole modifiche piuttosto che una completa revisione di vita, il downshifters proviene da tutte le categorie o classi sociali ed economiche.
Una conseguenza intrinseca del downshifting è l’aumento del tempo per attività non legate al lavoro che, combinato con il diversi dati demografici dei downshifters, ci presenta una popolazione solidale con livelli di impegno civico e di interazione sociale elevati, abbastanza apatica politicamente.
L’ambito di coinvolgimento e di partecipazione alla filosofia del downshifter, è senza limiti, perché tutti i membri della società, adulti, bambini, imprese, istituzioni, organizzazioni e governi sono in grado di “scalare la marcia”, di semplificare, di ridurre la velocità. Basta farlo con grano salis.
In pratica, la “scalata”, la riduzione di complessità e dei consumi, comporta tutta una serie di cambiamenti di comportamenti e stile di vita. La maggior parte di queste “scalate” (divertente gioco semantico la traduzione in italiano che associa il basso (down) con l’alto (scalare)) sono scelte volontarie, ma eventi naturale ed accidentali del corso di vita, come la perdita di un lavoro, di un parente, o la nascita di un altro figlio, possono determinare un downshifting involontario. Gioca anche la dimensione temporale, perché una “scalata” può essere temporanea o permanente. Fenomeno abbastanza diffuso in questo periodo è il downshifting spintaneo (non non è un refuso), cioè imposto dalla crisi economica.
DAL PIL AL PIF FAMILIARE
La decisione di un downshifting spontaneo si basa principalmente sull’insoddisfazione per le condizioni del lavoro o dell’ambiente di lavoro, dunque la forma più comune di “scalata” è l’uscita dal mondo del lavoro (con conseguente impatto sul reddito).
La filosofia di “lavoro-per-vivere” sostituisce l’ideologia sociale dominante di “vivo-per-lavorare”. I fichetti parlano di life time.
La decrescita felice, che potrebbe essere un sinonimo del downshifting modifica le priorità economiche, sposta l’equilibrio tra lavoro e vita lontano dal posto di lavoro.
Economicamente, la “scalata di marcia” nel lavoro comporta una riduzione del reddito (effettivo o potenziali), delle ore di lavoro e della capacità di spesa. In società inefficienti, come quella italiana, un nuovo equilibrio tra lavoro e tempo libero riduce consistentemente anche le ore dedicate (sprecate?) per gli spostamenti per raggiungere il posto di lavoro.
http://youtu.be/RI8NlziBuXE
Il risultato è quello di un’evoluzione del proprio reddito inferiore a quello prestabilito o “normale” con la rinuncia di benefici monetizzabili a vantaggio di benefici di altro genere (qualità della vita, serenità, tranquillità, intensità di relazioni, assistenza ad un membro della famiglia). Dal Pil (prodotto interno lordo) al Pif (prodotto interno di felicità) familiare.
A livello individuale, “scalare la marcia” sul proprio lavoro è una riduzione volontaria del reddito annuo. Riduzione che in una società mobile e flessibile, non ingessata come quella italiana, può essere definitiva o temporanea.
Si può, infatti, scalare la marcia a tempo determinato: nell’università lo chiamano anno sabbatico, ma la “repubblica dei professori” non lega ad esso una riduzione del reddito.
I downshifters desiderano ritrovare un senso della vita al di fuori del lavoro e, quindi, optano per diminuire la quantità di tempo trascorso al lavoro o di ore di lavoro. La riduzione del numero di ore di lavoro, di conseguenza, riduce le entrate economiche. La semplice decisione di non fare straordinari, compatibilmente con la disponibilità dell’ambiente di lavoro a concederlo, o prendersi una mezza giornata per il proprio tempo libero, sono modalità per “scalare la marcia” sul lavoro. Così come lo è non partecipare alla competizione per fare carriera e, di nuovo, questo comporta la riduzione delle aspettative di ricchezza e di promozione del proprio (e della famiglia) status sociale.
Ma non è sempre così. Modalità di downshifting lavorativo è anche quella di lasciare un lavoro (fisso o precario) per lavorare in proprio o nella propria abitazione. Talvolta questa decisione diventa un’occasione per guadagnare di più, lavorando di meno (almeno come ore di lavoro, probabilmente non come intensità mentale). Quasi certamente “lavorando meglio”. Questa si chiama autoimprenditorialità un concetto che a parole l’Unione europea difende, ma che nei fatti soffoca con continue politiche a favore dei grandi gruppi e della grande impresa.
Molte sono le ragioni che inducono a fare questa scelta di vita. Di solito al centro c’è una personale analisi costi-benefici tra la situazione lavorativa in atto e le opportunità extra lavorative che si presentano.
Stress, pressione dei superiori per aumentare la produttività, lunghi spostamenti, mobbing, bilancio etico del propri lavoro sono il prezzo al quale spesso non si vuole più sottostare specie se, evolvendosi la scala dei bisogni maslowiana, cresce il valore attribuito al tempo libero, ad una serena vita familiare, alla libertà personale, alla dimensione etica dei propri comportamenti.
ABITUDINI DI SPESA
Un altro aspetto che induce alla decrescita felice è l’evoluzione a consumatore consapevole che pratica attivamente forme alternative di consumo e di alimentazione.
Per i fautori del downshifting il consumismo è la fonte primaria di stress e di insoddisfazione, perché crea una società di consumatori individualisti che misurano sia lo status sociale, sia la felicità, in quantità di beni materiali posseduti o sfoggiati.
Invece di acquistare beni per esposizione sociale, il consumo di un downshifter si limita al necessario, concentrandosi sulla qualità della vita piuttosto che sulla quantità delle scarpe. Sulla qualità intrinseca del prodotto, piuttosto che sulla notorietà del logo. No logo. E’ un riallineamento delle priorità di spesa che rende possibile anche una riduzione dei consumi vissuta non come sacrificio ma come virtuosa. Ancora una volta per i ricchi le cose vanno meglio, perché la riduzione di lavoro mantiene un reddito sereno. Come dicono gli anziani: tutta l’acqua finisce nel mare.
LE POLITICHE CHE FAVORISCONO IL DOWNSHIFTING
Modifiche alle politiche pubbliche possono rendere il downshifting una soluzione più realistica per un maggior numero di cittadini.
Assistenza sanitaria universale e sistemi pensionistici sicuri liberano le persone dal peso di accumulare ricchezza al fine di costruire le reti di sicurezza individuali.
Sindacati, imprese, e governi possono implementare orari più flessibili di lavoro, lavoro part-time orizzontale e verticale e possono studiare contratti di lavoro non tradizionali che consentono alle persone di lavorare di meno, pur mantenendo l’occupazione.
DECRESCITA FELICE E TUTELA DI GAIA
Lo slogan della Settimana internazionale di downshifting è “Slow down e up green”.
Intenzionalmente, o non, le scelte e le pratiche di downshifter comunque tendono a migliorare lo stato dell’ambiente perché rifiutano il frenetico stile di vita alimentato da combustibili fossili e adottano stili di vita più sostenibili.
L’ecologia quotidiana, i comportamenti e le abitudini ecologiche e sostenibili sono parenti stretti della decrescita felice. L’una ha influenzato l’altra.
Conseguenza implicita e latente in una decrescita felice è di ridurre, in una certa misura, l’impronta di carbonio individuale.
Una risposta al ritmo frenetico e sfibrante della vita nelle aree urbane è il ritorno nei paesi e nelle campagne. In questo caso ci troviamo di fronte ad un cambiamento più rigido, ma la copertura di internet anche al di fuori delle aree urbane non porta alla rimozione totale dalla cultura mainstream.
IMPLICAZIONI SOCIO-POLITICHE
La decrescita felice nasce, principalmente, da un desiderio personale di rivedere la scala dei propri valori di vita, e si allea con chi invece ci arriva da una posizione politica consapevole di reazione al modello di sviluppo e crescita dominante. Inevitabilmente e anche consapevolmente il downshifter propone un modello economico eversivo rispetto a quello dominante nella società dei consumi. Ridefinendo come non materiali i parametri di valutazione di una vita soddisfacente i downshifters assumono uno stile di vita alternativo, anche se continuano a coesistere in un sistema sociale e politico governato dall’economia.
In generale, i downshifters sono politicamente apatici perché la manipolazione culturale dei partiti politici mobilita gli elettori proponendo soluzioni governative a periodi di difficoltà finanziarie e recessioni economiche. Questa retorica economica è priva di senso per un downshifters che ha deciso di rinunciare di mettere al centro della sua vita i soldi.
L’emergere di una rilevante e diversificata classe di downshifters sfida le idee economiche dominanti per migliorare la società. I downshifters e, in generale le ideologie post-materialiste hanno una popolarità in crescita, ma per loro natura non assumono posizioni conflittuali e non si organizzano politicamente, anche se è molto probabile che quelli che nelle ultime elezioni sono andati a votare siano stati vicini al movimento cinque stelle.
Fonti
Wikipedia
una parola al giorno
Officine Einstein