Jeremy Rifkin ha scritto “La fine del lavoro” nel 1995. Se da allora avessimo impostato correttamente il problema delle macchine che tendono sempre di più a fare il lavoro degli uomini, ora non saremmo strangolati dal problema crescente della disoccupazione.
Fin dall’età della pietra gli utensili servono a risparmiare fatica: scuoiare un cinghiale con una pietra scheggiata è meno faticoso che farlo a mani nude.
Nel Settecento c’è stato un fiorire di automi, che servivano per dilettare i nobili, ma che dopo un secolo avrebbero fatto girare le grandi catene di montaggio della rivoluzione industriale.
La cibernetica ha riversato informazione negli ingranaggi delle macchine, rendendole intelligenti ed “esperte”, nel senso che imparano facendo e cambiano il loro comportamento in reazione a stimoli ambientali.
L’informatica tende a disintermediare e a fare in modo che chiunque possa farsi da sé ciò che gli serve. Quante segretarie e piccole tipografie sono state eliminate dal word processor?
Le nuove tecnologie tendono a sostituire l’uomo non solo nei lavori ripetitivi e meccanici, ma anche nelle competenze professionali. Oggi abbiamo treni senza conducente né bigliettaio, robot che puliscono la casa, ma anche siti che ci trovano l’albergo migliore, o che ci fanno consulenze sanitarie, legali, di marketing. Tante cose che prima dovevano esser fatte dall’uomo oggi sono fatte da sistemi automatizzati in cui l’uomo non serve più a niente, neanche a controllarli e ripararli perché sono autodiagnostici.
Una scavatrice fa il lavoro che anticamente facevano schiavi e galeotti, un computer fa il lavoro che facevano schiavi intellettuali, scribi, traduttori, bibliotecari. E se lavorano gli schiavi, gli antichi romani ci hanno insegnato che il padrone può oziare dedicandosi alla politica, agli studi, al vivere sociale. Tuttavia gli schiavi antichi avevano assicurato vitto e alloggio. Gli schiavi moderni pagati tre euro all’ora si trovano in condizioni di molto peggiori.
E non è che l’inizio. Giorni fa parlavo con la mia dentista e lei mi diceva che con le piccole stampanti 3d che invaderanno il mercato SOHO non avranno più bisogno degli odontotecnici, perché si faranno le protesi da soli elaborando al comuter e stampando modelli 3d. Telepass, casse automatiche, autorisponditori di mailing list sono tutte operazioni a valore aggiunto senza lavoro. Io stesso ho campato a lungo facendo grafici, slide, trattamenti fotografici e fotomeccanici che oggi chiunque può fare con un clic di mouse. Quando facevo multivisioni con installazioni da 50 proiettori di diapositive davo lavoro ad una ventina di persone fra grafici, illustratori, fotografi, programmatori, allestitori. Oggi con i proiettori ad alta potenza e definizione Christies, Power Point e After Effects posso fare da solo un intero spettacolo.
Politici ed economisti dicono che la crescita economica porterà nuovi posti di lavoro. E’ vero il contrario. Più crescono i profitti, più si hanno soldi da investire in tecnologie di automazione, e dunque in strategie di eliminazione di posti di lavoro umano. La disoccupazione è uno spettro che viene agitato, spesso per giustificare scelte politiche ed economiche altrimenti improponibili, senza che nessuno sappia veramente che cosa fare.
Il disoccupato perde il denaro per vivere, il ruolo sociale, la dignità, va in depressione e si emargina o si suicida. Quindi si dice che il problema principale è il lavoro.
Ma proviamo a definirlo meglio il problema: quello che angoscia è la mancanza di lavoro o la mancanza di reddito? Chi lavora in miniera vuole passare il suo tempo sotto terra col martello pneumatico, o vuole avere quel salario che gli permette di vivere, possibilmente in un luogo meno sgradevole della miniera? Lo stesso discorso vale per un call center…
La mistica del lavoro è stata creata con il positivismo e l’industrializzazione, che hanno bisogno di crescita continua a scapito di tutto il resto. Nelle culture antiche meno si lavora meglio è. Anche in natura quando non c’è bisogno di fare qualcosa non si fa niente. Lo sanno bene i leoni che dopo aver cacciato dormono finché non hanno spolpato tutta la preda.
I romani chiamavano negotia i lavori considerandoli come fastidiose negazioni degli otia, che permettevano di dedicarsi alle lettere, alle arti, alla politica.
Domenico De Masi, che ha dedicato molti studi all’ozio creativo, dice che al mondo ci sono quelli che lavorano molto e guadagnano poco, e quelli che lavorano poco e guadagnano molto.
Noi non abbiamo bisogno di lavorare, abbiamo bisogno di vivere. Finora lavoro e sopravvivenza sono stati legati fra loro, ma con l’automazione crescente il lavoro va separato dalla sopravvivenza. Quando una società virtuosa riuscirà a garantire la sopravvivenza a tutti, grazie al profitto generato dalle macchine, il lavoro sparirà e si trasformerà in attività. Oggi il lavoro è un fare salariato, un dovere, un ricatto (chi non lavora non mangia). Domani l’attività sarà fare qualcosa per piacere, ad ampio spettro, dalla meditazione fino ad una nuova impresa, senza l’angoscia di produrre fatturato. Il posto di lavoro si dissolverà nell’opportunità di fare qualcosa, di produrre e scambiare beni.
Che fare per andare in questa direzione? L’economista eccentrico Domenico De Simone sostiene che un reddito di dignitosa sopravvivenza vada dato a tutti, dai bambini ai vecchi, dai poveri ai ricchi. Avete letto bene, anche ai ricchi. Perché? Per eliminare la burocrazia e il clientelismo necessari a stabilire chi avrebbe diritto o no. Questo renderebbe inutili l’INPS, i sindacati, un po’ di ministeri, la cassa integrazione, enti, imprese e progetti che non servono ad altro che a dare un salario alle persone, e sarebbe un bel risparmio di soldi, vero? Sembra una cosa impossibile? De Simone spiega come si fa nei suoi godibilissimi libri.
Sento già chi dice: se togli tutto quello che hai detto sopra, quanta gente resterà a spasso? Risposta: comunque avranno i mezzi minimi per vivere, e potranno dedicarsi senza angoscia a cercare o inventare altre cose da fare, molto più utili a sé e agli altri.
Qualcuno potrebbe dire ancora: se paghiamo la gente per non fare nulla, avremo una moltitudine di parassiti che penseranno solo a drogarsi, divertirsi, sprecare la loro vita. Molti si annoieranno e non sapranno che fare. Un momento, prego. Quanti di voi si sentono più realizzati con ciò che fanno per guadagnare qualcosa invece che con ciò che fanno per piacere personale o per amore degli altri? Con un salario di sopravvivenza, se uno si accontenta può restare in panciolle: comunque consumerà beni e servizi. Se vuole qualcosa di più, cerca o inventa un’attività che può farlo diventare ricco. D’altronde basta vedere che cosa fanno i pensionati. Alcuni passano le giornate in panchina o davanti alla tv, altri giocano con i nipotini, coltivano un orto, viaggiano, studiano, fanno volontariato.
Un tale salto di paradigma impone un analogo salto con la scuola, che ora serve a preparare operai e impiegati, ma che domani servirebbe a insegnare come impiegare il proprio tempo in modo interessante anche se non c’è qualcuno che ci obbliga a fare qualcosa. Oggi la scuola insegna a fare i compiti per essere promossi e arrivare ad un posto di lavoro o di disoccupazione. Domani insegnerebbe a studiare, imparare, conoscere, convivere.
Che bello! Però, i lavori sgradevoli che oggi si fanno per bisogno, chi li farebbe se nessuno avesse più bisogno? I lavori sgradevoli già da tempo man mano li fanno le macchine, e con l’automazione lo faranno sempre di più. Quindi se vogliamo che qualcuno faccia un lavoro sgradevole dobbiamo pagarlo tanto da motivarlo: posso dirigere un’impresa anche gratis, ma per pulire i cessi devono pagarmi bene! Potremmo avere quindi le nuove élites dei macellai, degli infermieri, dei becchini, dei benzinai.
P.S. Invece di sbizzarrirvi nel gioco facile e banale di trovare tutte le ragioni per cui una cosa del genere non si può fare, fate un gioco più interessante, provate a domandarvi: perché no? E a cercare i modi in cui, magari per gradi e cominciando da progetti pilota, la cosa potrebbe diventare possibile.
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