Qualche considerazione La domanda che si pone oggi l’operatore del diritto è quale sia il ruolo che l’Europa può e deve giocare nel nuovo contesto geopolitico che si mostra dopo la caduta dell’Impero Sovietico e dopo le guerre all’Iraq e poi a tutti gli altri paesi della regione. Innanzi tutto occorre che l’Europa riesca ad uscire dallo stato ibrido in cui si trova: divisa com’è fra sovrannazionalismo e intergovernamentalismo, attraverso l’approvazione della nuova linea d’intervento, che contiene al proprio interno quegli elementi che la possono condurre al superamento della linea Jean Monnet “community method”.
Tale linea era puramente funzionale allo sviluppo dell’unione economica e doganale e quindi funzionale alla formazione di un mercato interno unico, nonché ad imporre una visione eurocentrica delle relazioni di vicinato. Occorre ora dare vita ad una nuova forma di governabilità fondata sulla comune accettazione di un nuovo ordinamento giuridico, dei processi di elaborazione delle politiche da parte delle parti sociali, e, del comportamento delle aziende produttrici. Tali diversi fattori producono la politica a livello europeo, con particolare riguardo alla visione del mondo, alla partecipazione alla gestione della cosa pubblica e di quella privata, alla contabilità gestionale dell’area ormai allargata a 28 paesi, alla efficacia e all’efficienza dell’azione interna e internazionale e quindi alla sua coerenza temporale (tale definizione è figlia del libro bianco sulla Governabilità pubblicato nel 2001 dalla Commissione dell’U.E.). Non è possibile svolgere una politica estera anche puramente commerciale se prima non si definisce il proprio modo d’essere, particolarmente quando ci si deve confrontare con l’altissimo nuovo rischio rappresentato dalla criminalità, come mai prima: frodi e truffe finanziarie a livello planetario con l’ausilio del sistema bancario e di revisione, il riciclaggio di denaro, la conseguente distrazione di fondi, la contrapposizione, la violazione di ogni tipo di diritto soggettivo collegato ai diritti immateriali e ai diritti connessi alla proprietà intellettuale, la pirateria marittima e più recentemente il crimine cibernetico e l’onnipresente terrorismo, oltre a epocali flussi migratori e alle ormai universali violazioni di ogni tipo di privacy. Tuttavia, è utile non dimenticare che l’approccio pratico voluto da Monnet ha avuto pieno successo per la realizzazione del mercato interno unico e in certa misura per la creazione dell’Unione Monetaria Europea, diversamente da altre esperienze di unioni regionali. Per tale ragione, la Commissione futura, agendo come braccio esecutivo dell’Unione Europea, deve non solo immaginare le politiche ma anche pensare nell’interesse generale dell’Europa e arbitrare fra gli eventuali interessi in conflitto. Sulla scorta di tale effettiva presa di coscienza, l’Unione Europea deve innanzi tutto dare piena applicazione al “New Neighbourhood Instrument” al fine di consentire lo stabilimento di una piattaforma unica “Pan Europea” che possa proporsi al resto del mondo sulla scorta di un progetto e modello unitario e che vada da Casablanca a Kabul. Infatti, non è possibile agire nell’agone internazionale, se si continua a parlare di “Europa occidentale”, e, senza coinvolgere i nuovi vicini dell’Est e del Sud. Siamo davanti a una proposta di Wider Europe che, costruendosi economicamente e politicamente al proprio interno, in termini di stabilità e prosperità, sia a est che a sud, provveda ad avviare un dialogo planetario in termini di pari dignità e non di sfruttamento. Il dialogo fra Europa e Africa, storicamente, giuridicamente e politicamente deve purtroppo tener conto della perdurante esistenza della dottrina Regan che riserva all’America il diritto di agire a tutela dei propri interessi ovunque, tenuto conto del fatto che le politiche fra l’Europa e il NAFTA sono quanto meno conflittuali in sede OMC e nei confronti delle varie realtà planetarie, nonostante il progredire delle trattative per la creazione di un mercato interno unico esteso ai tre paesi NAFTA. Non è chi non veda come la Wider Europe abbia bisogno di una politica di investimenti diretti in entrata e in uscita fondata su un quadro giuridico efficace e certo. Bisogna ripartire dal fallimento della Conferenza di Cancun, sviluppando in carenza di una piattaforma planetaria una politica di accordi di partenariato e cooperazione bilaterale con i singoli stati e con le organizzazioni regionali esistenti. Certamente il processo di crescita dei paesi dell’Africa avviene a chiazze di leopardo in funzione della politica di investimento delle grandi multinazionali di diversa origine; contro cui l’Unione Europea non può e non deve combattere. L’Unione, invece, deve affrontare l’antico malessere dell’Africa rappresentato dalla continua fuga dei capitali dei ceti egemonici di qualsiasi origine verso gli Stati Uniti d’America e l’Unione Europea. E’ una operazione di psicologia politica e di credibilità nella stabilità di un processo di crescita armonico; è una filosofia che va ad introdurre i valori, i principi e gli standard europei nel continente africano. Il processo è tipico di una politica a lungo termine, ma è fondato sulla possibilità di compartecipare a nuove forme di sviluppo produttivo globale senza trascurare un comportamento sostenibile dal punto di vista eco-sistemico (mantenimento e sviluppo delle foreste e delle aree recuperabili attraverso un’accurata politica delle acque) e solidale nei confronti dei ceti più deboli della popolazione, attraverso l’elevazione delle misure di democrazia diretta applicata sia in sede politica che in sede economica (scelta della gente sulle priorità da soddisfare e impiego degli strumenti di microcredito partecipativo per consentire l’uscita dalla condizione di povertà). Il rispetto dei diritti umani, nella proposta europea, produce governabilità e la governabilità non corrotta promuove il rispetto del ruolo della legge e della sua funzione anche a tutela dei diritti degli investitori stranieri, sia di portafoglio che diretti. La certezza del diritto consente, cioè, la non discriminazione fra capitali di residenti e di non residenti. Il segreto è ovvio, il ruolo della Legge così come non deve consentire discriminazione fra stranieri e cittadini, non deve neanche danneggiare il produttore locale, rispetto all’invadenza anche scientifica dell’operatore economico straniero, trovando un modo partecipativo per far coesistere le due componenti, in un modello unitario di sviluppo. In tal senso, la normativa tripartita OCSE, OMC, MIGA che cerca la nuova via per la disciplina multilaterale dei movimenti di capitale, dopo la accennata “Crisi di Cancun” deve porsi la domanda di come dare certezza ai movimenti internazionali di capitali, senza per questo aggravare ulteriormente il problema centrale del mondo di oggi che è rappresentato e costituito dalla povertà. Essa è finalmente percepita e vista in tutta la sua tragica dimensione, avvertita grazie alla globalizzazione dei mezzi di informazione e comunicazione sociale e grazie al fatto che il capitalismo trionfante attuale per essere abbisogna sempre di più di coinvolgere nella sua ascesa e nella sua proposta di un modello unico di tutte le masse del mondo. Il socialismo ha fallito nel suo sogno di giustizia e di progresso per la gente, lasciando le società dell’Est europeo in uno stato di prostrazione economica e morale, il capitalismo “trionfante” della fine del XX secolo (e dell’inizio del XXI) si rivela sempre più incapace di assicurare alla maggior parte degli abitanti dei livelli di vita “liberi e dignitosi” (per usare una espressione della nostra costituzione). Alle povertà endemiche del terzo mondo a quelle sopravvenute dei paesi in transizione si accompagna una crescente povertà “strisciante” nelle società capitalistiche avanzate: negli stessi USA è relativamente elevato il numero dei senza tetto e alla crescita economica si accompagna un incremento della disoccupazione anche intellettuale, mentre buona parte dei cittadini non ha accesso all’assistenza sanitaria. In tale situazione occorre interrogarsi sulla consistenza dei valori fondanti la democrazia politica ed economica degli Stati Uniti, il cui modello si vuole esportare ed imporre in tutti gli stati del mondo anche con la forza delle armi: quando meno della metà degli aventi diritto partecipa alle elezioni e gli assenti coincidono in buona parte con le classi sociali più svantaggiate. Sorge il dubbio che certi consistenti aspetti del socialismo in termini di giustizia sociale fossero idonei, che la via cinese al capitalismo abbia una sua ragione d’essere, che il dibattito sulla cogestione e la partecipazione alla gestione abbia un suo peso specifico non solo germanico, pur mantenendo viva quella formidabile forza trainante che è la libertà d’impresa e nel rispetto comunque del meccanismo di mercato che ha dimostrato di essere l’unico strumento in grado di mobilitare le risorse al servizio della ricerca e quindi della innovazione volta alla ricerca del profitto, funzione tuttavia dei sempre nuovi confini dei bisogni dell’essere umano; motivo per cui forse il liberismo tatcheriano ha ormai raggiunto il suo limite e il pensiero di Lord Keynes e di Fr. D. Roosvelt incomincia a tornare d’attualità. Va però considerato che il mercato come affermato, è anch’esso un’istituzione e richiede in qualche modo delle regole, scritte o consuetudinarie per poter dispiegare tutte le sue potenzialità. Può essere necessario costituire una “veltanschaung” europea al mercato e al capitale. Taluni la chiamano “economia sociale di mercato” e hanno fatto propri alcuni parametri che si possono considerare importanti nel valutare i bisogni che il mondo deve soddisfare., in particolare in quell’area di vicinato che si chiamava UMA –UNIONE MAGHREBINA ARABA, voluta e prevista dalle norme sulle intese regionali dell’OMC. Come intuito dal Vescovo e Metropolita di Roma già di Buenos Aires e dall’attuale Segretario delle Nazioni Unite occorre dare contenuti e risorse in maniera nuova e partecipativa dalla società civile al FONDO MONDIALE DI SOLIDARIETA’, voluto a suo tempo dall’Assemblea generale dell’Onu, piuttosto che tentare di esportare una qualche forma di presunta democrazia in un paese dimenticato come l’Ucraina, in cui, inter alia, si è lasciata la gente morire di fame e di Chernobyl, per pura incuria, favorendo così il vigoroso germogliare di nuove mafie, come la storia processuale, anche italiana documenta. Per dare consistenza e contenuti non sterili alla nuova cooperazione italiana ed europea, con i paesi neo confinari occorre comprendere che la democrazia è un processo, per la gente il problema è primum vivere: soddisfacendo i 4 bisogni fondamentali, poi socializzare con tutte le conseguenti implicazioni, poi dialogare, principiando dal micro gruppo territoriale di appartenenza, come avviene di regola con l’intervento ausiliativo giapponese nel mondo, ma guarda caso Cina popolare e Giappone sono gli unici sistemi politici che hanno imparato qualcosa dalla lezione venuta dagli effetti postumi della seconda guerra mondiale . Collaborato per esempio con il Governo del Marocco per far acquisire anche educativamente i mezzi atti a consentire una dignitosa sopravvivenza, anche nell’area del Sahel, rimediata così la politica interventistica nel Corno d’Africa, nel Nord Africa, nel Medio Oriente, e, in Afganistan, paese un tempo di preclara civiltà, dove si è sbagliato tutto il possibile, ancora presumendo che sia un valore l’Occidente di per sé, e determinando così un’infinita migrazione di genti in cerca di quella mobilità sociale inesistente nei sistemi tribali, sarà poi possibile avviare il cammino verso il confronto onnicratico come affermavano A. Dubcek, D. de Rugemond, A. Capitini ed E. Cupertino: in atto solo qualche laico, le chiese cristiane e separatamente i vari aiuti di origine islamica per ora stanno operando. BIBLIOGRAPHY
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