Le opere d’arte sono da considerarsi appartenenti al corpus dei beni “culturali”, in quanto oggetto di specifiche disposizioni di tutela e possono riguardare, in particolare, le opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d’arte.
Lo scopo principale è quello di poter garantire, da un lato la tutela giuridica dei beni culturali, dall’altra la libera circolazione degli stessi, mediante l’uscita e l’ingresso nel territorio italiano e l’esportazione dal territorio dell’Unione europea.
Uno degli obiettivi, infatti, fissati dal Trattato di Roma del 1957, nel prevedere la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali in ambito comunitario, era quello di assicurare “un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno” e “il riavvicinamento delle legislazioni nazionali nella misura necessaria al funzionamento del mercato comune”.
I principali interventi legislativi in ambito nazionale e sovranazionale, di tutela e valorizzazione del patrimonio storico-artistico, in ordine temporale annoveriamo: la Carta del Restauro italiana (Roma 1931), di iniziativa del Consiglio Superiore per le Antichità e Belle arti; sempre nello stesso anno la Carta di Atene a cura della Commissione Internazionale di Cooperazione Intellettuale per “la conservazione del patrimonio artistico ed archeologico dell’umanità”; la Convenzione per la protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale dell’Unesco (Parigi 1972) riguardante “le misure da adottare per impedire e vietare l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà di beni culturali”; a Granada nel 1985 la Convenzione per la tutela del patrimonio architettonico europeo; in particolare la Convenzione dell’Unidroit nel 1995 a Roma avente ad oggetto “il ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati” (l’Italia ha ratificato tale Convenzione con la legge 7 giugno 1992, n. 213); infine la legge 30 marzo 1998, n. 88 (di recepimento della Direttiva 93/7/CEE) poi abrogata dall’attuale Codice dei beni culturali e del paesaggio previsto dal D.leg.vo 22 gennaio 2004, n. 42.
La movimentazione dei beni culturali, in ambito nazionale, è regolata da detto Codice, dagli artt. 63 (intitolato: “obbligo di denuncia dell’attività commerciale e di tenuta del registro”) e 64 (intitolato: “attestati di autenticità e provenienza”).
La circolazione in ambito internazionale, invece, è regolata dagli art. 65 e s.s., sia per l’uscita in via definitiva, sia per quella temporanea dei beni “culturali”, mentre la restituzione di beni illecitamente usciti o di beni culturali rubati o illecitamente esportati, è rispettivamente prevista dagli artt. 86 e 87 stesso Codice.
Di sicuro interesse è che secondo una stima dell’Unesco, L’Italia detiene circa il 45% del patrimonio storico-cultuale mondiale.
Per fare un paragone più concreto, risulta che la sola regione Toscana custodisce un numero di opere artistiche e storiche, pari a quello posseduto da un’intera nazione, quale la Spagna.
Il nostro bel Paese è un immenso museo a cielo aperto, misurato in oltre 30 milioni di opere, che soprattutto a seguito della riapertura delle frontiere, ne ha facilitato la fuga all’estero e pertanto oggetto di forti interessi, in particolare della criminalità organizzata, anche a fini di riciclaggio.
La circolazione internazionale dei beni (artt. 66 e 67 del Codice) è subordinata all’attestato di libera circolazione (art. 68 del Codice), che consiste nel documento di cui avvalersi, necessario per l’uscita definitiva dei beni, aventi più di 50 anni e di autore non vivente.
Con una precisazione.
Nel caso in cui tali opere, individuate dall’art. 11 lettera d) del Codice (“…opere di pittura, di scultura, di grafica, e qualsiasi oggetto d’arte..”), non abbiano più di 50 anni o siano di autore vivente, pur non essendo necessaria l’autorizzazione, l’interessato ha tuttavia l’onere di comprovare tali requisiti al competente ufficio di esportazione.
La tutela prevista è giustificata in un’ottica di una società globalizzata e multiculturale, quale è quella contemporanea, dove vi sono Stati che mirano a salvaguardare i loro “tesori nazionali” attraverso una politica di nazionalismo culturale, che comporta la chiusura del mercato interno e l’adozione di misure restrittive in materia di esportazione e di scambi di opere d’arte e di beni culturali e mobili in genere.
Nel contempo ci sono altri Stati, che continuano a detenere sul loro territorio e nei loro musei, beni e oggetti di sospetta o illegittima provenienza, in origine appartenenti ad altri Stati, che non sono più disponibili nella più gran parte dei casi, ad una loro restituzione.
La Comunità internazionale rappresentata dall’insieme degli Stati, è però portavoce di un interesse generale alla promozione, tutela e salvaguardia del patrimonio culturale, in funzione del benessere dell’intera umanità, oltre che delle singole collettività statali.
Le misure di protezione del patrimonio culturale, sono diventate peraltro necessarie, soprattutto a seguito di sottrazioni di beni culturali in tempo di guerra, fissate a livello internazionale nelle Convenzioni dell’Aia del 1899 e del 1907 e mediante la Convenzione dell’Unesco del 1970.
Il fenomeno del commercio e la circolazione “illecita” di opere d’arte e di altri beni culturali, è un fenomeno molto antico, costituendo una seria minaccia per l’identità culturale di ogni Stato, quando viene illegittimamente privato di propri beni “culturali”.
E’ quello che abbiamo assistito durante il conflitto nella ex-Jugoslavia con la distruzione di libri, monumenti, chiese e beni culturali ivi custoditi, con il proposito di cancellare per sempre i “simboli” dell’identità e delle origini, rappresentata in particolare dai giacimenti e dalle relative memorie viventi, quali ad esempio gli archivi e le biblioteche.
La Convenzione Unidroit ha cercato di porre un freno ad un fenomeno allarmante, derivante dal traffico illecito di opere d’arte, che secondo un’inchiesta a livello mondiale del 1994, pubblicata dal settimanale Trace, lo colloca al secondo posto come volume d’affari, preceduto solo dal traffico internazionale di droga.
Occorre, in conclusione, saper governare i processi di mutamento culturale proponendo modelli di interazione, di esistenza comune, di comune progettazione, basati sul valore delle origini (archivi, biblioteche e musei come “contenitori” del messaggio) e quindi sul rispetto delle diversità e sull’accettazione delle differenze.
Le attività di ricerca che trovano a fondamento, in particolare gli archivi e le biblioteche, su qualsiasi supporto mediatico, hanno dunque la finalità di formare risorse umane per le politiche culturali territoriali, per la pace, la cooperazione e lo sviluppo locale, oltre a sinergizzare la capacità di dialogo e di collaborazione operativa con altri centri di ricerca dei Paesi terzi.
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