Di questi giorni la notizia del prossimo progressivo aumento del salario minimo per gli addetti nel settore fast food che, nello spazio di una manciata di anni, arriverà ai tanto contestati 15 dollari all’ora.
Intanto centinaia di migliaia di lavori retribuiti al minimo salariale o quasi (circa 10 dollari l’ora a New York) si trovano con un reddito annuo sotto la soglia di povertà a non sapere come chiudere il mese. E se non fosse abbastanza, non hanno diritto ne’ a pensione ne’ ad assicurazione medica. Lavorano anche 60 ore a settimana ma cumulando 3 lavori part time che, presi singolarmente, non raggiungono le ore minime per poter ricevere, appunto, uno straccio di assicurazione medica e ancor meno qualsiasi forma di pensione.
All’altro estremo, spesso nella stessa fascia di età degli addetti nei Fast Food, decine di giovani studenti di alcune tra le più prestigiose (e costose) Università americane soccombono a pressione sociale e aspettative familiari e si tolgono la vita ogni anno: l’anno scorso 6 suicidi nell’arco di 13 mesi a Penn University.
Nessuna Ivy League ne è esente.
A Stanford la chiamano “duck sindrome” , la sindrome dell’anitra, con ciò riferendosi allo scivolare fluido sul pelo dell’acqua apparentemente senza sforzo mentre sotto la superficie, inosservate, le zampe palmate devono pedalare incessantemente.
La cultura dominante idealizza i vincenti e stigmatizza i perdenti,
raffigurando i primi come instancabili e sempre sorridenti e i secondi come esausti e lamentosi. Lo stesso accade a qualsiasi livello sul posto di lavoro.
La stessa Hillary Clinton, quando era ancora Segretario di Stato, fu ad un certo punto presa di mira -e non considerata all’altezza del ruolo- perché vista con la coda di cavallo e gli occhiali di ritorno da uno dei numerosi ed estenuanti viaggi.
Manuali di “self help” su come superare con successo colloqui di lavoro, suggeriscono di nascondere eventuali gravidanze se nello stadio iniziale con ciò ammettendo la diffusa percezione della maternità come fattore di debolezza.
Sheryl Sandberg, prima donna nel Board di Facebook, laureata ad Harvard, nelle pagine del suo libro “Lean in”, confessa di avere lavorato fino agli ultimi giorni di gravidanza e di essere ritornata al lavoro a due settimane dal parto.
Gli Stati Uniti sono uno dei pochi Paesi al mondo a non concedere alle madri un congedo maternità degno di questo nome. Wall Street, dietro a guadagni stratosferici di alcuni, nasconde settimane di 100 ore per la maggior parte dei giovani analisti finanziari. Goldman Sachs ha da poco invitato i suoi analisti a non lavorare di sabato.
JPMorgan Chase ha di recente ammesso che almeno un weekend libero al mese debba essere garantito.
Ma resta diffusa a tutti i livelli una cultura aziendale che premia lunghe ore indipendentemente da una reale produttività.
Tanta è la pressione che diventa accettabile mentire fingendo appuntamenti fuori ufficio a fine giornata piuttosto che rientrare apertamente prima del solito. E non è solo questione di salvare le apparenze, quanto alla necessità di conformarsi allo standard richiesto. Inizialmente pensati per creare omogeineità nell’insegnamento nelle varie scuole, i test che gli alunni fin dalle elementari devono sostenere sono anche strumento per valutare gli insegnanti e allocare risorse alle scuole.
Tanta è la pressione che ad aprile scorso una preside di una scuola elementare di Harlem si è suicidata gettandosi sui binari della metropolitana dopo avere ammesso di avere completato i test rimasti incompleti.