Prendo spunto dall’attacco dell’articolo “Interactive Knowledge Exchange (IKE)” scritto qualche tempo fa da Giuseppe Monti e Marisol Barbara Herreros per affrontare, da semplice cittadina – ma attiva – il tema dell’eredità che EXPO 2015 lascerà nel suo complesso. Naturalmente non ho la pretesa di dare qui delle risposte, perché il percorso è molto, molto lungo e articolato.
Scrivevano Giuseppe Monti e Marisol Barbara Herreros:
“Complessità. I problemi che l’umanità si trova a fronteggiare diventano sempre più resistenti alle soluzioni, in particolare alle soluzioni unilaterali. Si tratta di problemi complessi, ovvero che coinvolgono numerosi fattori economici, ambientali, tecnici, politici, sociali, morali: pertanto la soluzione, per essere efficace, deve tener conto di tutti questi aspetti, che interagiscono fra loro…”.
Ecco, il problema è proprio qui e mi spiego.
Nel comunicato stampa dello scorso 1° settembre la società Expo 2015 (http://www.expo2015.org/it/news) ci ha informati che alla data del 31 agosto 2015 il numero di accessi totale all’esposizione, dall’apertura del 1° maggio, è stato di 12,2 milioni, calcolati a partire dal numero di accessi registrati dai sistemi di lettura digitale alle entrate, cui vengono sottratti gli accrediti e viene poi aggiunto un 4% per tener conto degli ingressi non registrati per cause tecniche e operative.
Bene, questi i dati ufficiali – direi soddisfacenti – sugli accessi, ma come ho potuto constatare nelle mie quattro visite all’esposizione (due delle quali in compagnia di amici francesi che avevano visitato l’EXPO 2010 di Shanghai) e come ha affermato lo scorso maggio Carlo Petrini all’inaugurazione dello spazio Slow Food, denominato Piazza della Biodiversità, EXPO rischia anche di essere un’opportunità persa per mancanza di contenuti. Infatti, secondo Petrini “…all’Esposizione è stata data molta enfasi agli Stati che hanno fatto grandi investimenti in strutture architettoniche, ma molte di queste strutture, all’interno, non hanno contenuti e questa è un’opportunità persa…”.
La Carta di Milano, eredità culturale di Expo Milano 2015
Ed è su questo punto che emerge il mio spirito critico di cittadina attiva. Perché, se la Carta di Milano (di cui esiste una versione in tutte le lingue possibili) rappresenta l’eredità culturale di Expo Milano 2015 dal tema così delicato “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”, perché se ne trova traccia solo al Padiglione Italia e non negli altri Padiglioni e se ne parla, in fondo, così poco? Se la Carta è un impegno anche della società civile, dovrebbe essere firmata anche da tutti i visitatori di Expo.
Infatti, anche sul sito di EXPO 2015, nella sezione dedicata alla carta, si sostiene che “…I singoli cittadini, le associazioni, le imprese sottoscrivendo la Carta di Milano si assumono responsabilità precise rispetto alle proprie abitudini, agli obiettivi di azione e sensibilizzazione e chiedono con forza ai governi e alle istituzioni internazionali di adottare regole e politiche a livello nazionale e globale per garantire al Pianeta un futuro più equo e sostenibile”.
Sempre nella stessa sezione si viene a sapere anche che “Per la prima volta nella storia delle Esposizioni Universali, l’evento internazionale di Milano è stato preceduto da un ampio dibattito nel mondo scientifico, nella società civile e nelle istituzioni”. Questo tipo di scelta ha portato per volontà del Governo italiano alla definizione di un documento partecipato e condiviso, frutto di un percorso di scambio nel quale i maggiori esperti italiani e internazionali hanno contribuito a identificare le principali questioni che interessano l’utilizzo sostenibile delle risorse del Pianeta. In particolare, i grandi temi affrontati dalla Carta di Milano sono quattro, tutti inseriti all’interno della cornice del diritto al cibo:
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quali modelli economici e produttivi potranno garantire uno sviluppo sostenibile in ambito economico e sociale;
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quali tra i diversi tipi di agricoltura esistenti riusciranno a produrre una quantità sufficiente di cibo sano senza danneggiare le risorse idriche e la biodiversità;
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quali sono le migliori pratiche e tecnologie per ridurre le disuguaglianze all’interno delle città, dove si sta concentrando la maggior parte della popolazione umana;
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come riuscire a considerare il cibo non solo come mera fonte di nutrizione, ma anche come identità socio-culturale.
A questo punto mi chiedo: sarà bastato l’incontro “Il cibo dello Spirito nella Carta di Milano” organizzato da ExpoNet, il Magazine ufficiale di Expo Milano 2015 in concomitanza con la 10° Giornata per la Custodia del Creato a cui hanno partecipato 11 esponenti del tavolo interreligioso, in rappresentanza delle principali religioni, a dare maggiore evidenza al ruolo della Carta di Milano? Certo quello che è avvenuto nel corso dei lavori è senz’altro molto importante. Da una parte la firma della Carta di Milano di ogni rappresentante religioso, che ha poi benedetto il cibo secondo la propria formula religiosa. Dall’altra il coinvolgimento dei non credenti attraverso la lettura di una “preghiera laica” in tre lingue diverse (italiano, inglese e francese) da parte di tre bambini, uno ucraino, una bimba italo-croata, un’egiziano. Questo tipo di “preghiera” era stata condivisa dai partecipanti della Società Civile di Expo, da Cascina Triulza e da LabE Fondazione Feltrinelli, e mette in luce tutti gli aspetti chiave dell’Esposizione Universale di Milano: sostenibilità, lotta allo spreco alimentare, rispetto per il cibo e per tutti gli esseri viventi.
E se è vero, come riportato sul sito della FAO che la fame nel mondo è scesa quest’anno sotto gli 800 milioni di persone e che 72 paesi hanno raggiunto l’obiettivo di sviluppo del Millennio di dimezzare la proporzione delle persone cronicamente sottoalimentate (La fame nel mondo scende sotto gli 800 milioni di persone.) resta il fatto che le previsione di crescita demografica da qui al 2045-2050 pongono all’ordine del giorno le sfide della capacità di previsione reale di cosa e come le diverse nazioni si impegneranno a fare per nutrire adeguatamente il pianeta.
Ci fa ben sperare, comunque, la recentissima definizione, da parte dell’ONU, dei 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile al 2030, il cui documento ufficiale sarà approvato alla fine di questo mese da oltre 150 leader mondiali. Il documento fissa l’agenda di sviluppo dei prossimi 15 anni, mettendo in relazione i vari aspetti della vita delle persone, dalla sostenibilità economica, sociale ed ambientale agli aspetti cruciali della pace, il buon governo, lo stato di diritto. Il raggiungimenti di questi obiettivi dovrà comportare, ovviamente, degli investimenti, stimati tra i 3.300 e i 4.500 miliardi di Dollari all’anno tra spese statali, investimenti e assistenza, una somma analoga al budget degli interi Stati Uniti (fonte: Corriere Sociale).
Se queste sfide sono impegnative per gli Stati, ci si interroga su quanto siano alla portata dei singoli cittadini e delle comunità. E sul tema “Oltre il 2015. Ue, enti locali e società civile: un’alleanza per lo sviluppo umano sostenibile” si sono incontrate per tre giorni, a fine agosto, le comunità locali, in un’iniziativa promossa dal Coordinamento La Pace in Comune (che riuniscono 30 amministrazioni locali dell’area milanese e alcune tra le più importanti organizzazioni no profit come Acli Milanesi, Arci Milano, Legambiente Lombardia, Libera Milano), in collaborazione con le Acli Milanesi e Fondazione Triulza.
Le risposte sono ancora tutte da verificare strada facendo, mettendo in campo idee nuove ed esempi concreti di buone pratiche, che richiedono anche l’impegno della società civile e che possono realizzarsi solo a condizione di lavorare tutti insieme.