E’ almeno dal 2011, con lo scoppio delle primavere arabe e l’intensificarsi degli arrivi dall’Africa del Nord, che l’Europa ha sul tavolo la questione dei migranti, siano essi profughi che chiedono asilo o lavoratori in cerca di occupazione, che premono sul fronte sud del Continente. La questione si è negli ultimi tempi ulteriormente aggravata tra l’aumento degli sbarchi, le tragedie in mare, l’allarme umanitario, il peggioramento del quadro geopolitico regionale, l’irrompere sulla scena politica dei paesi dell’Unione di movimenti avversi all’immigrazione, sfiducia e reciproche recriminazioni. Nel maggio scorso la Commissione ha presentato un piano di ripartizione degli oneri tra Stati membri in materia di migrazione, articolato su tre punti: redistribuzione e re insediamento dei migranti richiedenti asilo, rimpatri degli irregolari economici e cooperazione con i paesi di origine e transito. Si voleva dare con il piano “un approccio all’immigrazione equilibrato e geograficamente completo, basato sulla solidarietà e la responsabilità”.
Ma di solidarietà e di responsabilità si è finora visto ben poco.
Al contrario, le soluzioni finora adottate sono state assunte sulla spinta dell’emergenza, della provvisorietà e dell’improvvisazione, relegando nelle secche dell’incertezza e della indecisione la disciplina globale del diritto di asilo e la regolamentazione degli afflussi dei migranti in cerca di un migliore tenore di vita, materie che sono da tempo entrate nella competenza primaria dell’Unione Europea.
Intanto la fuga verso l’Europa dei migranti da paesi piagati da conflitti interni, come la Siria, o sfiancati da anni di incompiuta transizione post-bellica, come l’Afghanistan e l’Iraq, ma anche dall’Eritrea e dalla Somalia, ha assunto le dimensioni di un esodo di massa. Secondo il Frontex, l’intervento dell’Unione Europea di controllo e soccorso nel Mediterraneo, sono oltre mezzo milione i migranti rilevati alle frontiere dell’Unione Europea nell’anno in corso (156.000 nel solo mese di agosto) contro i 280.000 di tutto il 2014. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, dall’inizio di quest’anno 647.581 migranti sono entrati in Europa oltrepassando il confine turco-greco e attraversando la rotta balcanica che si snoda tra Bulgaria, Macedonia, Serbia, Croazia e Slovenia, con l’obiettivo di raggiungere la Germania o la Svezia. Alle aperture della Germania, riferite ai soli profughi dalla Siria e poi richiuse in parte, si sono opposti il muro levato dall’Ungheria al confine con la Serbia sulla rotta verso la Germania e l’indisponibilità dei paesi dell’Est (Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Romania) ad accettare le quote previste dal piano della Commissione per la sistemazione di 160.000 profughi arrivati in Grecia e Italia. Al momento ne sono stati accolti nei paesi del Nord Europa (Svezia quasi esclusivamente) solo 732, Il presidente della Commissione Juncker ha così commentato: “Se si va vanti con questo ritmo e con queste cifre ridicole i ricollocamenti finiranno nel 2101”. Fallito finora miseramente il tentativo di ridistribuire, secondo quote prefissate, nei paesi europei i 160.000 profughi giunti in Italia e Grecia e messa di fronte alla ben più consistente ondata dei profughi che si mettono in viaggio per l’Europa passando dalla Turchia, i governanti europei, chiudendo un occhio sulle derive autoritarie del regime del turco Erdogan e sulla repressione della libertà di stampa e di riunione posta in atto dal medesimo, hanno il 30 novembre scorso approvato il “piano d’azione” negoziato dalla Commissione Europea con il Governo di Ankara, offrendo tre miliardi di euro per bloccare in Turchia i due milioni di profughi siriani arrivati finora e rispedire in Siria coloro cui è stato negato l’asilo in Europa, in cambio di una liberalizzazione dei visti per i turchi e della ripresa delle trattative per l’adesione della Turchia all’Unione. Analogamente, al Vertice di Malta del 12 novembre scorso, l’Unione Europea ha cercato di promuovere una strategia comune con i paesi africani di gestione dei flussi migratori, offrendo intanto 1,8 miliardi di euro ai paesi che accettano di riprendersi i migranti irregolari. Sia le trattative con il Governo turco che le intese con i paesi africani sono chiaramente indice dell’incapacità dell’Europa di risolvere in casa propria la crisi dei profughi, come si vede nel caso dei 160.000 provenienti da Italia e Grecia.
Per di più, in un’ Europa sempre più sotto pressione per l’ondata migratoria gli attentati di Parigi rischiano di accelerare le reazioni di chiusura se non di rigetto. Dopo gli attentati del 13 novembre a Parigi diversi paesi dell’ Est Europa, in particolare i quattro facenti parte del Gruppo di Visegrad (che riunisce Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia oltre a Romania e Bulgaria) hanno fatto marcia indietro sul fantomatico piano di smistamento dei 160.000 profughi sugli oltre 800.000 arrivati finora in Europa. Il nuovo governo conservatore polacco, ancora prima di insediarsi formalmente, ha fatto sapere che il suo impegno ad accogliere 7.500 rifugiati era diventato politicamente impossibile da applicare per mancanza di garanzie sulla sicurezza. Nella Repubblica ceca il passaporto siriano trovato a Parigi sul cadavere di un terrorista, che si suppone entrato in Europa come profugo, ha suscitato la viva inquietudine del presidente Milos Zeman per l’ondata di immigrati arabi che si sta riversando sul continente, mentre il vice primo ministro Babis chiede che l’Europa chiuda le frontiere e usi la forza militare per impedire ulteriore immigrazione. Nella Repubblica slovacca il primo ministro Fico si gloria di avere già avvertito i colleghi europei sui rischi di aprire le porte agli immigrati arabi e minaccia di far uscire il suo paese dall’Unione piuttosto che ricevere la quota di rifugiati prevista dal piano. In Ungheria, il primo ministro Victor Orba, dopo avere un muro di filo spinato di 175 km al confine con la Serbia (esempio ora seguito dalla Slovenia al confine con la Croazia) ha annunciato che porterà il piano alla Corte di Giustizia europea. A proposito di muri, un acuto osservatore come Timothy Garton Ash ricorda che la demolizione fisica della Cortina di Ferro iniziò nel fatidico 1989 con il taglio della recinzione di filo spinato che separava l’Ungheria dall’Austria: ora, egli avverte, “è l’Ungheria che per prima ha eretto nuove recinzioni ed è il suo premier il primo ad alimentare i pregiudizi”.
In generale, i governi europei hanno visto nella tragedia francese un ulteriore motivo per frenare l’arrivo dei migranti, ritenendo che tra loro si annidassero i terroristi. Anche paesi, come la Germania e la Svezia, che avevano all’inizio manifestato la migliore disponibilità ad accogliere i rifugiati, ha fatto rapidamente marcia indietro. In Germania, la cancelliera Merkel, pur difendendo a spada tratta la sua politica delle porte aperte che, secondo l’opposizione, porterà nel paese nel 2015 oltre un milione di rifugiati rispetto agli 800.000 previsti dal Governo, ha dovuto cedere in parte alle critiche mosse dagli stessi alleati, impegnandosi a rafforzare i controlli alla frontiera tedesca, oltre che alle frontiere esterne dell’Unione, e ad accelerare il rimpatrio di coloro ai quali è stato rifiutato l’asilo. In Svezia, a lungo riguardata come il paese più accogliente verso i migranti, il Governo, di fronte al previsto arrivo nel 2015 di 190.000 richiedenti asilo in un paese di 10 milioni di abitanti, oltre il doppio rispetto all’anno precedente, si è detto costretto a ridurre drasticamente il numero e a limitare il diritto alle riunificazioni familiari e a tre anni i permessi temporanei di residenza. L’arrivo in massa dei rifugiati ha sollevato paure ed ansie, amplificate dalla demagogia di forze politiche irresponsabili, e creato una sindrome fra fenomeni che non hanno relazioni l’uno con l’altro come fra immigrazione e terrorismo, e determinato i governi europei, in coincidenza di fatti come quelli di Parigi, ad indurire i controlli di sicurezza alle frontiere dell’Unione e a sottoporre alla registrazione sistematica dei migranti irregolari e dei richiedenti asilo che entrano nell’area Schengen, complicando ulteriormente la già drammatica emergenza immigrazione. In Danimarca, si è arrivati al colmo dell’assurdità con la presentazione da parte del governo espresso da un partito xenofobo il 18 dicembre scorso, il giorno della Giornata internazionale di solidarietà con i migranti, di un progetto di legge che impone ai nuovi arrivati il versamento anticipato di un contributo alle spese di asilo e di assistenza. Così, come ha rilevato lo stesso Garton Ash, “nell’attuale bouillabaisse dei timori europei, mescolata dai demagoghi, tutto si confonde: il migrante regolare, cittadino dell’Unione; il migrante irregolare che viene da fuori; il migrante mezzo migrante economico e mezzo rifugiato; il profugo di guerra dalla Siria; il classico rifugiato politico dall’Eritrea; il musulmano; il terrorista.”
Dopo i fatti di Parigi il vertice dell’Unione Europea a Bruxelles si è limitato ad avvertire della necessità di qualsiasi collegamento fra immigrati e terroristi ed insistito perché le misure di sicurezza introdotte alle frontiere dell’area Shengen abbiano carattere straordinario e siano limitate nel tempo, ciò che appare alquanto ingenuo poiché si sa che provvedimenti adottati in base a timori reali e presunti e fomentati da istinti xenofobi sono poi assai difficili da revocare. In questo contesto le azioni condotte o annunciate dalla Commissione per far fronte alla emergenza rifugiati mandano segnali di impotenza e di confusione strategica. Dapprima, come detto sopra, ha trattato sotto banco con il regime di Ankara, quindi con un interlocutore altamente inaffidabile, aiuti finanziari per trattenere in Turchia i profughi dalla Siria. Poi, ha costretto la Grecia, accusata di non controllare a sufficienza i propri confini, a chiedere l’intervento della agenzia per il controllo delle frontiere (Frontex) per attuare le identificazioni dei migranti nei centri di raccolta e frenare i flussi verso il Nord Europa. Infine, ha avviato una procedura d’infrazione contro l’Italia per il mancato rispetto dell’obbligo di identificare i migranti che arrivano sulle nostre coste. Sembra quasi con questi atti che l’Unione Europea voglia scaricare sui paesi membri (e principalmente su Italia e Grecia, che sopportano il peso maggiore dell’afflusso migratorio) la propria incapacità ad attuare il piano di accoglimento dei profughi che era stato concordato con gli Stati membri prima degli eventi terroristici.
Mentre la Grecia ha accettato “obtorto collo” il commissariamento dell’Unione Europea per il controllo dei migranti, si è aperto sullo stesso tema un inopportuno contenzioso tra la Commissione e l’Italia dopo l’avvio della procedura di infrazione.
Delle regole comunitarie.
La Commissione chiede all’Italia di aprire al più presto nuovi centri di accoglienza oltre a quello di Lampedusa, l’unico funzionante in questo momento, e di accelerare le procedure di identificazione dei nuovi arrivati, usando se necessario la forza nei confronti dei “recalcitranti”. L’Italia ribatte che le operazioni di registrazione avvengono con la speditezza possibile in una situazione di emergenza e nel rispetto delle norme e dei diritti umani e condiziona l’apertura di nuovi centri all’avvio concomitante dei ricollocamenti dei rifugiati e dei rimpatri dei migranti irregolari, temendo giustamente che senza ricollocamenti e senza rimpatri nuovi “hotspot” (come in inglese vengono denominati i centri di raccolta) rischino di trasformarsi in enormi campi profughi. Qualche fondata critica è stata rivolta a questa politica di rimessa che l’Italia sta conducendo verso l’Unione Europea, che in effetti impoverisce lo sforzo notevole che l’Italia ha condotto in passato per accogliere i profughi, pur con le inevitabili disfunzioni strutturali, senza la benché minima collaborazione, se non quella limitata degli ultimi tempi, della Commissione e degli altri paesi membri. Meglio sarebbe se l’Italia, con uno scatto di orgoglio e senza chiedere nulla a Bruxelles, provvedesse autonomamente a potenziare le strutture di accoglimento sul proprio territorio per togliere qualsiasi fondamento ai facili alibi altrui, fermo restando, come ha detto il premier Renzi, che se persisterà la paralisi degli adempimenti europei, l’Italia continuerà a salvare le vite umane nel Mediterraneo con o senza l’aiuto degli altri.
Intanto, mentre l’Europa, incapace di prendere una decisione, guarda inebetita al dramma dei profughi, tratta sottobanco con la Turchia perché li trattenga nel proprio territorio e mette l’Italia sul banco degli accusati perché non identifica compiutamente gli attivati, mentre nei sulle rotte di transito balcaniche si elevano muri e fili spinati, mentre la paura indotta dagli attentati terroristici spinge a chiudere le frontiere e i movimenti xenofobi rifiutano i pur minimi tentativi di integrazione, continua e si estende la marcia dei disperati senza che le dolenti immagini delle colonne interminabili di profughi e dei bambini morti sulle spiagge muovano le coscienze europee. Secondo l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, l’agenzia delle Nazioni Unite che censisce gli afflussi, il numero dei migranti ha superato il 22 dicembre scorso il milione di persone (esattamente 1.005.504), cinque volte il totale del 2014, e il più alto a partire dalla seconda guerra mondiale. Il maggior numero (821.008 persone) è arrivato in Grecia via mare; l’ Italia, al secondo posto, ne ha ricevuti 150.317 e la Bulgaria, al terzo, 29.959. Oltre il 14% del totale è costituito da minori, in gran parte non accompagnati. Nel 2015, 3692 persone sono annegate, o risultano disperse, nel tentativo di raggiungere l’Europa, 400 in più che nel 2014. Dall’inizio dell’anno, nell’ Egeo sono annegati 700 profughi bambini. Finché le cause delle fughe dai paesi dilaniati dai conflitti non verranno risolte, le partenze continueranno anche nel 2016. I primi spiragli di compromesso in Siria e di pacificazione in Libia non bastano a far prevedere per il 2016 un orizzonte di pace e di stabilizzazione. Con mezzi legali e documenti o senza gli uni e gli altri, per terra o per mare, i profughi continueranno a sfidare per necessità ogni misura di contenimento, perché, come ha detto il direttore del dipartimento per le migrazioni del Ministero dell’Interno austriaco, “la gente in marcia è come l’acqua: se mettete una barriera per fermarla, cercherà la via per defluire intorno”.Si aspettava che la soglia del milione fosse superata da quando l’onda dei disperati in fuga da guerra e povertà ha rotto gli argini, mentre l’Europa si è trasformata in fortezza, cinta da muri e filo spinato. Ma, come ha detto il direttore generale dell’OIM: “Non basta contare il numero di coloro che arrivano o dei quasi 4000 dati per dispersi o affogati. Dobbiamo anche agire. La migrazione deve essere legale, sicura e protetta per tutti, per gli stessi migranti e per i paesi che diventeranno la loro nuova casa”.
Sulla questione dei migranti, siano essi regolari o irregolari, profughi o rifugiati politici, si sono fronteggiate in Europa due strategie: dell’accoglienza e del contenimento. La prima, segnata dal fallimento del piano per l’accoglienza e la redistribuzione di 160.000 rifugiati e, da ultimo, dalla messa in mora di Italia e Grecia sulla questione dell’identificazione dei richiedenti asilo; la seconda incerta e inefficace, segnata dai muri elevati ai confini dell’est, dagli accordi aleatori con la Turchia per il trattenimento edei profughi e, da ultimo, dai controlli introdotti ai confini ed all’interno dello “spazio Schengen, dopo i fatti di terrorismo. Anche nel 2016 le misure di contenimento prevarranno su quelle dell’accoglienza per iniziativa di Germania e Francia perché, come dicono i tedeschi, “se i flussi attuali venissero confermati, lo Stato e la società rischierebbero di non reggere”: si tratterà si rendere effettivi i controlli alle frontiere esterne e di trasformare l’attuale agenzia Frontex in un sistema europeo comune di guardie di frontiera. Se l’Italia vorrà avere, come dovrebbe e come annunciato dal premier Renzi, una sua voce nella questione dei migranti, dovrebbe agire sul piano dell’accoglienza, in moda da riequilibrare le misure restrittive proposte dal duo franco-germanica con una politica più solidale e lungimirante sul piano dell’integrazione, a cominciare dalla trasformazione dei centri di accoglienza da luoghi di emarginazione a strumenti preliminari di inserimento nelle comunità locali e di avvio nei paesi di destinazione prescelti.