Steso il Che, Cristo di Mantegna, il torso denudato, gli occhi aperti, increduli, stupefatti,
il capo rialzato come se stesse svegliandosi da un sonno, lungo, profondo.
Schernito dai carnefici, le mani sui capelli, le dita a toccarlo con gesti cauti di chi ha ancora paura.
2 Novemmbre 1975, Ostia, Roma
Un mucchio di stracci, quel corpo riverso in una pozza di fango è come un sacco vuoto, lacero, di plastica nera.
Piove. Una mattina uggiosa di Novembre, resa più tetra da un cielo di pietra che spande una luce d’ovatta sulla periferia ostiense di vecchie case e vite umane.
Un corpo rannicchiato, feto senza più ventre, senza più madre. Un uomo dormiente in un letto di polvere.
Pier Paolo Pasolini sulle prime pagine dei quotidiani di quel 2 novembre appare con il jeans sbottonato, immagine del peccato, dettaglio e prova di reato, marchio a fuoco sulla pelle di un animale al macello.
Bastonato, colpito una, due, tre volte fino a spaccargli il costato con le ruote della macchina.
Avanti e indietro. Avanti e indietro. Avanti e indietro.
9 maggio 1978, Cinisi, Sicilia.
Un boato apre brecce nel cielo notturno di Sicilia. Il corpo si frantuma in piccole lamelle di cristallo, scomparendo sul terreno, tra le foglie delle siepi, tra il ferro delle rotaie, sui tralicci del telefono.
Di lui resta solo l’orma di una presenza, il colore di una voce.
I resti di Peppino Impastato, vengono raccolti, brano a brano, in sacchetti di plastica. Nemmeno più ossa, sangue, carne da porre in una fossa. Inebetita, spaurita, stravolta la città.
Attonita la terra.
3 Febbraio 2016, Il Cairo, Egitto.
Un corpo dilaniato, quasi ammasso di sangue e carne. Un corpo giace tra il verde dell’erba sul ciglio dell’autostrada che unisce Il Cairo ad Alessandria.
E’ lì come trasportato dal vortice di un uragano, è lì come precipitato da una stella morente.
Giulio Regeni è nudo dalla cintola in giù. Sul suo cadavere segni di un martirio lento e prolungato, per ore, per giorni: mutilazioni, ustioni, ferite da taglio, ecchimosi, percosse, profonde lacerazioni.
Verità incoffessabili, inaccettabili si fanno spazio lungo il corpo esamine che racconta una storia di terribili sofferenze.
Solo le madri riescono ad ascoltare le parole di tali storie.
Le madri.
Sono le madri a piangere oceani di lacrime in nome dei figli massacrati, in nome della verità.
Sono sempre le donne, novelle Antigoni, a seppellire i propri morti.
Antigone volle restituire dignità al fratello Polinice, lasciato sul campo di battaglia per essere divorato dai cani.
Di Peppino, PierPaolo e Giulio, in un bilancio di vite perdute, abusate e violate, con lacrime mai versate, ricordo la bellezza incontaminata, la pura intelligenza, la gentilezza nobile, la genialità
squisita. Rivedo il volto legnoso da “proletario” di Pasolini, la dolce sicilianità della voce di Impastato, il sorriso di sole, di luminosa gioia di Regeni.
Come Antigone seppellirò i loro corpi pietosamente: ricoprirò Peppino con un manto di gelsomini di Sicilia, i più profumati; rimetterò in ordine le vesti di Pier Paolo e lo cingerò di rami di glicine in fiore; curerò le ferite di Giulio e le rivestirò di petali di fior d’arancio.
Così, solo così, si potrà restituire alla morte la sua dignità.
Come oro nel greto dei fiumi, ogni piccola pietra può far esplodere la verità.
E’ lì per essere trovata.
VERITA’ PER GIULIO REGENI