L’orientamento costante della Corte di Giustizia Europea è quello di considerare le discriminazioni in termini di razza, sesso, età, religione, disabilità, come contrari al diritto dell’Unione Europea così come sancito nei suoi regolamenti e nelle sue direttive, peraltro recepite all’interno dei singoli stati con legge ordinaria. Ciò premesso, a seguito del voto britannico che ha determinato l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, si è ampiamente dibattuto sul fatto che sembrerebbe che a determinare la vittoria del “leave” sia stato il voto degli anziani, dei più poveri, dei meno istruiti, dei disoccupati e degli inoccupati. Tali atteggiamenti ai sensi e agli effetti della citata normativa europea e della costante giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, pare assolutamente discriminatoria in termini di applicazione di strumenti di democrazia diretta.
In un sistema pienamente democratico come quello inglese, non è ammissibile sindacare il voto in sé e chi, di volta in volta, sia chiamato a darlo. Non va dimenticato infatti come a seguito di imposizioni dirette del Re Carlo I d’Inghilterra, per finanziare la guerra contro la Francia, il Parlamento inglese non esitò a condannarlo a morte perché aveva tentato di esautorare le prerogative parlamentari e aveva levato le armi contro lo stesso Parlamento. Elemento focale dell’attività dell’Unione Europea è il rafforzamento della democrazia diretta non solo all’interno degli Stati includendo non solo le varie categorie parlamentari dai comitati di quartiere fino alle Camere di massimo livello (nel caso inglese la Camera dei Lord e la Camera dei Comuni), ma anche la società civile nel suo complesso dalle ONG alle Fondazioni, ai sindacati, alle scuole di vario ordine e grado, peraltro rappresentate anche nel Consiglio Economico e Sociale dell’Unione Europea e nell’ECOSOC delle Nazioni Unite.
Interferire con la legittima espressione della volontà sovrana del popolo, significa rimettere in discussione i fondamenti stessi della democrazia, così come voluta e vissuta dal Senato della Repubblica Romana dal momento della sua costituzione dopo la cacciata dell’ultimo Re di Roma. Infatti, le attività esterne dell’Unione Europea sono inequivocabilmente fondate sull’impegno morale e finanziario di procedere negli accordi di collaborazione nella misura in cui i singoli paesi contraenti rafforzano in senso democratico la capacità di partecipazione alla gestione della cosa pubblica, sia dal popolo nella sua integrità che nelle sue rappresentanze sociali. Questione poi è quella relativa alla capacità di elettorato attivo e passivo che sembra riportare indietro nel tempo l’orologio del diritto a partecipare alla costruzione della cosa pubblica.
Hanno diritto di voto tutti gli appartenenti alla razza umana come diceva Einstein, a prescindere dall’età, dalla religione, dal sesso, dalla cultura, dall’intelligenza, dalla pazzia e da eventuali difetti fisici o morali, salvo l’assenza di quel diritto di voto in capo ai delinquenti ad alta pericolosità sociale, sempre che siano condannati con sentenza passata in giudicato. Da qui viene un ultimo interrogativo: per quale ragione le persone che abbiano superato i 68 anni di età, debbano essere esclusi in Italia in contrasto con le vigenti norme europee e nazionali, dalle attività a vario livello giurispurudenziali come il caso dei giudici di pace e dei giudici onorari nel complesso con piena discriminazione in termini di età e non di valutazione di efficienza e di efficacia della loro azione. Ma il giovanilismo imperante, sembra indifferente alla discriminazione “contra legem” sembrerebbe.