Occorrerebbe Fellini per descrivere il gradimento del futuro imperatore Hirohito, durante la sua visita giovanile in Italia e il non gradimento manifestato da Hitler suo futuro alleato, qualche anno dopo. Gli americani e i loro alleati nell’imporre nella rinuncia al titolo di “Figlio del cielo” a Hirohito, costituzionalmente definita, si assunsero la responsabilità dell’uso dell’arma atomica con i suoi effetti che potrebbero portare alla fine dell’umanità, ma temevano di perdere almeno 1 milione di soldati qualora, non usandola, avessero dovuto conquistare il Giappone isola per isola, casa per casa come accaduto a Iwo Jima.
Eppure, l’Imperatore non avrebbe voluto la guerra; infatti, parlando con il suo primo ministro che gli prospettava e gli chiedeva il via libera per effettuare il proditorio attacco alle Hawaii – che avrebbe distrutto alcune numerose vecchie carrette del mare statunitensi, quasi una trappola – ebbe a dire che nel Grande Mare il vento consentiva a tutti di esistere. Poi, il processo di Manila, dove alla stregua di quello di Norimberga, gli USA avrebbero voluto processare per poi impiccare lo stesso imperatore Hirohito, ma per fortuna vi fu la ferma opposizione di Stalin, di Mao e dello stesso Chiang Kai-shek peraltro cognato di Mao Tse Tung. Cultura e civiltà anche giuridica non vogliono vendette ma azioni puntuali e refrattarie ad accuse generiche e non provabili come di recente avvenuto nel caso delle armi chimiche imputate a Saddam Hussein e probabilmente inesistenti. Certo, i giapponesi – ma non l’Imperatore Hirohito – nella Cina occupata non erano andati leggeri, ma l’imperatore della Cina non era stato messo al muro, anzi. Dopo la guerra emarginatosi ma proclamata la Repubblica Popolare Cinese e nata la Cina nazionalista di Taiwan , l’imperatore finì per essere anche deputato al Parlamento cinese.
Stalin nel luglio del 1945 con la sua Armata Rossa ormai libera da impegni sul fronte occidentale, in pochi giorni si prese la grande isola di Sakhalin e altre minori, ma era azione di guerra, che rispondeva a Port Arthur e a Tsushima (è bene ricordare che l’ammiraglio comandante giapponese catturato il comandante russo ferito, gli rese visita e omaggio in ospedale), ben diversa dal toccare le strutture interne portanti del Giappone, continuando in ciò il percorso che lo stesso aveva seguito in tutti i paesi islamici facenti parte dell’URSS. Infatti, nei suoi territori popolati dagli amici musulmani, le università islamiche hanno continuato a funzionare per formare gli Ulema, cioè i dottori della legge e i vari capi dei diversi paesi associati erano solamente divenuti segretari del partito comunista locale e non sarebbero mai divenuti membri del Politburo (a quell’epoca così si chiamavano gli effetti del centralismo democratico). Nel paese in cui gli Avi, come i Lari e i Penati, ci guardano e ci giudicano nella nostra azione diuturna, come la musica di Puccini ha dimostrato prima nella Madama Butterfly e poi nella Turandot, il comportamento umano deve seguire un codice d’onore il “Bushido” che gli antichi romani praticavano; pensiamo solo a Catone uticense e alle lacrime di Caio Giulio Cesare sul cadavere di Pompeo Magno regalatogli dall’ennesimo Tolomeo fino al suicidio di Pilato nell’area dell’odierna Lucerna, nonché a quello assistito di Nerone, assistenza, peraltro, prevista dal “Bushido”. Non deve stupire il parallelismo fra l’antica società romana e quella giapponese, stante anche il fatto che ambedue i paesi sono sotto il segno del Leone e se facessimo un buco da Roma attraversando il centro della Terra, spunteremmo dritti dritti a Tokyo. Per capire la portata dell’onore, forse è il caso di ricordare quanto avveniva quando ancora esisteva l’URSS di Breznev. Una grande impresa italiana portatrice di tecnologia militare statunitense ed una giapponese altrettanto o forse ancor di più importante, cedettero la tecnologia di cui erano licenziatarie all’URSS, senza il consenso della licenziante americana e per quanto attiene all’impresa italiana senza il bene placido NATO e per la giapponese senza quello dell’ASEAN. Ma come ci insegnano anche fatti recenti, nulla si fa che non si sappia, motivo per cui fu fatto intendere a chi “puote ciò che vuole” che erano necessarie le scuse del Paese a parte le questioni causidiche connesse. Bene, il Presidente Cossiga in prima serata in televisione chiese scusa al suo omologo statunitense. Il Presidente dell’impresa nipponica fece seppuku per evitare che il suo Imperatore avesse a chiedere scusa a chicchesia.
L’Universo nipponico è un insieme unitario, limitato territorialmente, scarso di risorse naturali e per questo storicamente proiettato verso l’esterno, dapprima in chiave militare e poi dopo la seconda guerra mondiale in chiave politico – economica. Il Paese è comunque teso a realizzare una grande Asia al fine di accedere a quelle risorse naturali di cui ha estremamente bisogno anche se la sua economia volge ovviamente sempre più verso indirizzi immateriali; come si conviene a tutte le grandi imprese che hanno innestato una marcia verso il futuro e che caratterizzano l’economia di quel paese nel quale per costituzione sono vietate le holdings, ma continua a esistere sia pure con nomi diversi ai diversi raggruppamenti. I punti di forza del Giappone sono due: il primo è rappresentato dalla struttura educazionale. Essa in Giappone è sostanzialmente meritocratica ed evidenzia lo spirito di sacrificio dell’individuo – scintoista e/o buddhista che sia, che più è disposta a sottoporsi a prove di studio abbastanza onerose, più otterrà soddisfazioni anche e soprattutto sociali. Infatti, più egli frequenta scuole di alto livello e prestigio anche internazionali come avvenuto per l’attuale imperatore Akihito, maggiori saranno le sue possibilità una volta ultimato il periodo di scolarizzazione, di inserimento negli organismi produttivi del Paese o direttamente o negli organi di controllo dello stesso. Il secondo è rappresentato dall’intelaiatura economico – produttiva del Paese il quale si avvale di una pianificazione quadro, concertata a livello governativo dall’ente preposto alla programmazione che è diretto dal Vice Primo Ministro o Ministro addetto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Tale struttura è caratterizzata dalla capacità di intervento che le autorità pianificatrici hanno sulle attività poste in essere da quelle miriadi di medie e piccole aziende che specificano il sistema nipponico, sia sulle grandi “business companies” che definiscono come detto, il sistema produttivo giapponese.
Forse un ricordo personale potrebbe anche starci. Qualche tempo fa visitando il Giappone con borsa di studio di quel Governo offerta a me e al mio relatore in occasione della tesi di perfezionamento, non sentimmo poi così tanto la mancanza del cibo italiano. Premesso che la cucina autentica giapponese è formidabile, dalle ostriche al tempura e al sukiyaki, normalmente accompagnati dal prezioso sake e ad enormi mandarini, perché trovammo una miriade di pizzerie gestite da italiani nativi. Ci spiegarono il motivo di così numerosa presenza. Subito prima della guerra, un lotto di sommergibili italiani fu distaccato con 750 uomini a bordo, come ausilio all’impero del Sol Levante. Tale ausilio non entrò mai in combattimento, ma i nostri bravi marinai probabilmente accasatasi alla maniera degli antichi romani, pensarono bene essendo per la maggior parte napoletani di mettere in pratica nella nuova casa l’arte in cui andavano per la maggiore, la produzione di pizza. Il sistema economico giapponese non è fondato tanto sulle capacità economico – finanziare dell’imprenditore, quanto piuttosto sulle possibilità di accesso al credito bancario. Il sistema bancario a sua volta è direttamente controllato dalla banca centrale, che dipende nell’elaborazione delle sue politiche dal ministero dell’industria e del commercio e del ministero delle finanze. Attraverso il controllo che la Banca Centrale esercita di concerto con i ministeri addetti, sul sistema bancario, si possono orientare le politiche industriali di sviluppo e produzione verso quelli che sono gli obiettivi e le priorità individuate in sede politica dall’esecutivo. Si può dire praticamente, che nessuna azienda che operi in un settore economico non interessante per il sistema giapponese nel suo complesso, avrà credibilità economico – finanziaria e sarà costretta quindi a uscire dal mercato e ad essere quindi isolata rispetto a quelle che sono le altre strutture produttive.
Il Giappone negli ultimi decenni ha subìto un tracollo economico che ha determinato un superamento di uno dei punti di forza interni della sua economia, quello dell’adeguatezza degli stipendi al passare del tempo essendo i salari connessi all’età e non dipendendo da criteri di valutazione meritocratica, anche se rimane il principio del mantenimento tendenzialmente per tutta la vita del posto di lavoro. Il lavoratore giapponese entra in un’azienda a qualsiasi livello, svolge le proprie mansioni, sapendo che non uscirà mai da quell’azienda e a sua volta il lavoratore manifesta un notevole spirito di attaccamento. Il Giappone è un Paese caratterizzato da una relativa sete di successo personale, il termine individualismo in Giappone equivale ad egoismo e dove l‘espressione “NO” sta a indicare esclusivamente una delle massime figure teatrali e non una negazione, in quanto la negazione come espressione verbale non esiste. E’ un Paese dove il dovere come appartenenza alla comunità da parte del singolo è determinante e prioritario rispetto alla formulazione di qualsiasi diritto. Il Giappone, dove il ricorso alle Corti di Giustizia per la richiesta dell’applicazione del diritto positivo, viene esclusivamente quando sia stata evasa ogni altra possibilità di accordo tra le parti e dove la procedura arbitrale del lodo per la composizione e delle controversie, è norma, si può dire universalmente praticata. Il discorso di Akihito dell’8 agosto 2016, quindi non è affatto una resa, bensì è il messaggio del primo funzionario dello Stato. La mortificazione personale tesa all’eventuale liberazione da un incarico così importante, sia pure di pura rappresentanza, caratterizza invece la forza della persona e della sua funzione e non la sua debolezza e manifesta una certa idea, come avrebbe detto Charles De Gaulle, del Giappone inteso esso come Divino e non la figura imperiale, che comunque intronizza per tutti i tempi futuri l’attuale Imperatore. La possibile modifica costituzionale, tesa a consentire il ricambio generazionale, riporta nel mondo degli Avi figura dell’Imperatore e per ciò la sua richiesta non è una sconfitta o una resa, ma è semplicemente espressione dello spirito di servizio che lo rende vincente e imperituro nell’immagine collettiva che rimarrà comunque nel cuore di ogni giapponese. In tal modo si consentirà di liberare ulteriori forme di consenso e di adesione al modello costituzionale giapponese dove come visto, grande e piccolo si accompagnano in un tutto armonico che rappresenta il nesso di connessione per la coesistenza della pratica shintoista con la teoria buddhista.
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