Oggi si parla tanto di storytelling o, per dirla all’italiana, di narrazione. Pare che se non si è capaci di narrare non si ha più il diritto di comunicare! Ma come per tutte le mode, molti di quelli che parlano di storytelling quando poi si trovano alla prova dei fatti non riescono a raccontare storie, ma continuano a fare comunicazione come avevano sempre fatto, solo che la chiamano narrazione.
Le storie hanno sempre affascinato l’umanità, fin dai miti più antichi. Grandi e piccini amano sentirsi raccontare storie, e se ne sono capaci amano raccontarle.
E sì, saper raccontare è un talento che alcuni hanno, altri no. Saggisti, filosofi, scienziati, insegnanti, sono bravissimi a enunciare, spiegare, dimostrare, confutare, divulgare, ma possono essere incapaci di raccontare.
Il racconto è una delle strutture della comunicazione. E’ sequenziale, diacronico, ha un inizio, un corpo e una fine. Volendolo rappresentare visivamente, è come un serpente che comincia da una parte e finisce dall’altra, o una montagna su cui si sale per poi ridiscendere.
Fra le altre strutture troviamo l’albero, che raffigura la comunicazione ipertestuale dei siti web e di molti libri di saggistica; la scala, che prevede una serie di passi da compiere per comprendere i successivi; la rete, con testi che si intrecciano con altri testi, come in genere accade nel web.
Il metodo Story Lab si rivolge a chi vuole aggiungere la modalità del racconto al proprio modo di comunicare, ma non sa bene come fare e da che parte cominciare, e si lascia prendere dall’ansia del foglio bianco.
Consiste in tre cartelli che rappresentano il viaggio del protagonista, un tipo comune che viene chiamato a compiere un’impresa e a trasformarsi in eroe, per poi tornare alla normalità con qualcosa in più per sé e per gli altri. E in sei dadi con icone che aiutano a sbloccare l’immaginazione e ad inventare situazioni, metafore, vicende.
In tal modo anche chi non ha mai narrato nulla può cimentarsi con la sua narrazione, ma soprattutto chi dispone di contenuti professionali e tecnici e vuole trasformarli in un tipo di comunicazione più leggero e coinvolgente, magari per farne un video, una conferenza, uno spot pubblicitario, ha in mano qualche strumento che lo aiuta, o quanto meno lo mette in condizione di dare un buon briefing ai professionisti del multimediale che realizzeranno il prodotto finito.
Il protagonista della storia sarà una persona, un animale, una cosa, un ente. Quindi può essere un manager, un gatto con gli stivali, un nuovo prodotto, un’azienda.
Il mondo ordinario è la routine quotidiana in cui si verifica qualcosa che turba la tranquillità, emerge un problema che deve essere affrontato e risolto.
Dapprima si cerca di minimizzare il problema e di lasciare le cose come stanno, poi però c’è qualcuno che spinge a muoversi, a darsi da fare per cambiare.
Il protagonista deve varcare una soglia che lo introduce nel mondo straordinario della storia, il percorso di problem solving dove nulla è più come prima, dove si devono affrontare prove, fare esperimenti, correre rischi di fallimento, vincere resistenze di stakeholder contrari.
Nelle storie di successo il protagonista trova la soluzione malgrado tutte le difficoltà, nelle storie tragiche fallisce e a volte muore.
La soluzione è il dono che viene offerto alla comunità, che ringrazia il protagonista/eroe con una ricompensa, e tutto finisce bene.
Un esempio di storytelling è il problema del lavoro precario, più volte discusso in questa webzine. Se ne può fare un libro, come “La fine del lavoro” di Rifkin, articoli come quelli pubblicati qui, oppure un film come “Tutta la vita davanti” di Virzì, dove la neolaureata Ragonese vive l’inferno del call center, tormentata dall’antagonista Ferilli.
Il metodo Story Lab è applicato da me nel laboratorio permanente di Exploring Elearning, la rassegna di formazione e nuove tecnologie che si è tenuto a Milano, Officine del Volo, l’1 e 2 dicembre 2016.
http://www.exploring-elearning.com/
Per saperne di più sul metodo: http://www.umbertosantucci.it/il-metodo-story-lab/