QUANDO LAVORARE ALL’ESTERO E’ UNA SCELTA PROFESSIONALE E DI VITA DI QUALITA’
Con uno sguardo attento fuori dagli stretti confini locale e nazionali per i giovani è possibile essere cittadini del mondo, scegliendo e realizzando percorsi professionali e di vita impensati. E’ questo il caso di Roberto Aiello, qui di seguito la sua storia.
Secondo i dati resi noti agli inizi di ottobre 2016 dalla Fondazione Migrantes (www.migrantesonline.it), in 10 anni, dal 2006 al 2016, la mobilità italiana è aumentata del 54,9%, passando da poco più di 3 milioni di iscritti all’AIRE (l’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) a oltre 4,8 milioni al 1° gennaio del 2016. Rimane senz’altro primaria l’origine meridionale dei flussi, ma si sta progressivamente assistendo a una variazione a favore di persone che si spostano dalle regioni del nord.
Dai recenti studi condotti sempre dalla Fondazione Migrantes, però, molti degli attuali migranti italiani non riescono né a concepirsi né a definirsi tali, ma parlano di sé come di viaggiatori “portatori sani di italianità”, che si esplica in modi molto diversi: il gusto, la lingua, il business, la sensibilità artistica e, quindi, la moda e il design, la musica, la pittura e cosi via.
Vero è che la mobilita è una risorsa che rischia di diventare negativa se si considera a senso unico, quando cioè è una emorragia di talenti e competenze da un unico posto e non è corrisposta da una forza di attrazione che spinge al rientro, creando così la circolazione, che è l’espressione migliore della mobilità in quanto sottende tutte le positività che derivano da un’esperienza in un luogo altro e dal contatto con un mondo diverso. Questo eviterebbe il depauperamento dei giovani e più preparati di alcuni paesi a favore di altri – cosa sempre più spesso denunciata in Italia – spingendo la migrazione come effettivo e concreto fattore di sviluppo sociale ed economico, tema tanto caro ai padri fondatori dell’Unione Europea il cui sogno originario – oggi ancora disatteso – era grande, difficile, complesso, ma lo è ancora di più per chi lo ha ereditato ed è combattuto oggi sempre più spesso tra le proposte comuni e le rivendicazioni di autonomia.
Consapevole di questi limiti ancora oggi presenti nel nostro paese, mi ha però sorpreso un articolo, a firma di Marco Ventura, pubblicato su Panorama lo scorso 8 ottobre, dal titolo “Figli all’estero vittime di un ‘delitto perfetto’ (http://www.panorama.it/news/figli-estero-vittime-delitto-perfetto/). Pienamente convinta che per i giovani oggi il fatto di avere l’opportunità di andare a lavorare in un paese diverso dal proprio significhi, in realtà, aprirsi a una visione più allargata del mondo e possa diventare una scelta e non una costrizione, ho approfittato di un incontro a Milano con Roberto Aiello, 38 anni, una laurea conseguita presso l’Università della Calabria e alcune esperienze giovanili in Italia e all’estero, che a 32 anni ha deciso di andare “oltre” e da sei anni vive e lavora in Irlanda.
Curiosità e intraprendenza due qualità che aiutano
Durante la chiacchierata che abbiamo fatto a margine di un workshop dell’azienda per la quale Roberto lavora attualmente, abbiamo cercato di approfondire tutti gli aspetti di un percorso che dura ormai da più di dieci anni, a partire dalla scelta degli studi.
Nella sua vita Roberto è stato sempre attratto dalle cose creative, dalla musica, dall’idea del viaggio, dalla lettura e dal cinema e dunque quelle sono state le passioni che nel 1997 lo hanno spinto all’iscrizione al DAMS dell’Università della Calabria, dove proprio quell’anno era stato istituito l’indirizzo “multimediale”. Questo fatto rappresentava una fortuita coincidenza, perché così non avrebbe dovuto lasciare la sua terra per andare a studiare altrove e anche dal punto di vista dei costi questo avrebbe rappresentato un vantaggio per lui e la sua famiglia. Essendo sperimentale, l’ambiente che si era creato attorno all’indirizzo Multimediale era quello della novità, in fermento creativo: si univano le materie umanistiche con quelle tecnologiche, c’erano docenti dalla facoltà di Lettere, ma anche altri che provenivano da Ingegneria.
Roberto nel 2005 si laurea, non senza ricevere riconoscimenti per alcuni progetti di comunicazione realizzati in una software house con la quale collaborava, come l’inserimento nel Web Design Index nel 2004, e la qualificazione alla finale del premio nazionale DAMS dell’Università di Bologna del 2005. Durante il corso di laurea, infatti, stimolato dal fatto di mettere in pratica tutto quello che stava imparando sul design grafico, web design e multimedia decide di entrare contemporaneamente nel mondo del lavoro, mettendosi in contatto con un’azienda locale, dove viene inserito part-time, grazie a un Piano per l’Inserimento Professionale, e questo lavoro gli permette anche di pagarsi gli studi.
Nello stesso tempo l’utilizzo delle tecnologie della comunicazione lo fanno entrare in contatto con il mondo, pur continuando a vivere in Calabria, raccogliendo anche riconoscimenti a livello nazionale e internazionale, senza muoversi da Rende, in provincia di Cosenza, cosa che solo pochi anni prima sarebbe stato impensabile. L’uso di Skype per collegarsi con persone di ogni paese e nazionalità lo aiuta anche ad approfondire e migliorare la lingua inglese, e questo gli consente di distinguersi da altri colleghi grafici che non erano in grado di utilizzare le ultime versioni dei software e delle documentazioni e che dovevano attendere le traduzioni. Nel 2007 Roberto è stato tra i primi finalisti al concorso internazionale per il rilancio della FIAT 500 e grazie a questo e altri successi è stato nominato come membro di giuria per varie edizioni del premio Mediastars (il premio tecnico per la pubblicità, ndr). E siccome in questo settore le relazioni sono importantissime, la visibilità ottenuta in quel periodo gli ha consentito di ricevere richieste dal mercato aziendale, ma anche da quello accademico per tenere lezioni agli studenti.
A un certo punto, nel 2010, la svolta
Nel 2010 Roberto decide di guardare oltre, ipotizza di poter lasciare la sua città, la sua famiglia, il suo paese d’origine, ma nel frattempo non era stato fermo e aveva iniziato a lavorare come freelance, aprendo la partita Iva. Simpaticamente mi racconta che, però, “Il mio problema in quel periodo era essere ‘il cugino che può fare un certo lavoro gratis’, come esplicitazione di una cultura molto deleteria e di poco rispetto per la professionalità, che non viene riconosciuta, e che si basa sul concetto diffuso del ‘prima fai il lavoro, poi (forse) ti pago’”. E cosi la prima fase è stata quella della “resistenza”, ma fortunatamente non tutti erano cosi ed è bastato cominciare a dire no e a scegliere solo quei clienti che mostravano serietà, che provenivano in egual misura dalla sua città e da altre parti del sud e del nord Italia.
L’occasione per la svolta arriva nel 2010 quando, complice la crisi, i clienti che fino a quel momento gli avevano permesso di tenere aperta la partita Iva cominciano a proporre di lavorare presso la loro sede, ma sempre con partita Iva. A questo punto le commesse diminuiscono, mentre non diminuiscono i costi fissi, come ad esempio le contribuzioni INPS, anche in assenza di reddito. Questo e altre cose del quotidiano che riguardano anche comportamenti poco corretti di quel tessuto sociale (ad esempio, richiesta di lavoro senza compenso per mesi, esplicitata durante i colloqui), fanno crescere in lui sempre più il desiderio di cercare altrove altre esperienze.
E la prima opportunità arriva da un progetto Leonardo, che lo porta a fare un’esperienza di tre mesi a Berlino come Interaction designer, il che gli apre gli orizzonti e gli fa apprezzare gli ambienti creativi e cosmopoliti ancora di più. Al ritorno in Italia la situazione è ancora la stessa, come ricorda lui stesso, Roberto avrebbe potuto rimanere in famiglia ad aspettare “che la crisi passasse”, ma lui aveva molta voglia di continuare a sperimentarsi in ambienti internazionali e così a 32 anni decide di inviare il suo curriculum in vari paesi del mondo e la proposta concreta arriva da Dublino, una città che non aveva mai considerato.
Da qui ha inizio un rapido percorso di sperimentazioni e conferme professionali, a partire da un contratto a tempo indeterminato come supporto tecnico per Xbox, Roberto si trova dunque in una capitale europea, un aeroporto internazionale da cui raggiungere a basso costo i principali centri europei e soprattutto, la sede europea di Google e altri colossi, il che lo porta a dare il massimo e a cercare di scalare la vetta in un periodo relativamente breve. Dopo soli tre mesi una promozione a supervisore per il mercato EMEA. Dopo due anni, non vedendo altre possibilità, Roberto aggiorna il suo profilo Linkedin e ottiene un contratto annuale in Google, come quality control per le inserzioni online, poi un breve passaggio in Facebook e infine l’offerta che lo porta alla situazione attuale, Zendesk, che solo due anni fa era una startup e che oggi è una società che conta più di 80mila clienti nel mondo, tra i quali Vodafone, Groupon, Airbnb e Uber solo per citarne alcuni. In questa situazione Roberto ha inizialmente il coraggio di fare un passo indietro per andare avanti (accettare inizialmente l’attività di supporto tecnico), ragionando sul lungo termine, quello che in Italia non si fa quasi mai. Ricorda Roberto “Ho iniziato partecipando a tante attività e progetti collaterali e dopo circa un anno e mezzo mi muovo internamente fino a ricoprire il ruolo di instructional designer, un bel salto di qualità.”
Il valore aggiunto dei lavoratori italiani in altri paesi europei: sei anni in Irlanda di sfide e opportunità
Lasciare la famiglia non è stato facile, soprattutto perché dopo solo un mese dal trasferimento a Dublino viene a mancare suo padre, i momenti di scoramento ci sono, ma proprio la morte di suo padre lo ha spinto a non lasciare, in considerazione di tutti i sacrifici fatti. L’Italia gli manca e la sua famiglia d’origine anche, ma nel frattempo ne ha costruita una tutta sua in Irlanda, è felice che la sua bambina parli già tre lingue (inglese, polacco, italiano) ed è convinto che questa condizione di partenza sia già una grande ricchezza, che la renderà una cittadina del mondo per alcuni versi migliore di lui.
Roberto pensa che lo stimolo che spinge ad andare avanti, sempre e comunque, i giovani che scelgono di trasferirsi all’estero sia il fatto di provenire da un ambiente più “ostile” dal punto di vista lavorativo, e sostiene “diventiamo per forza di cose creativi e pronti ad imparare e poiché all’estero spesso l’educazione punta sull’acquisizione di processi, il nostro vantaggio competitivo è che in Italia, nella fase pre-universitaria, si punta sulla cultura generale. Se da una parte è vero che questo non ci prepara al mondo del lavoro, forse ci prepara ad apprendere meglio di altri nostri colleghi europei”.
La sfida più grande all’inizio è stata il clima, soprattutto in considerazione del fatto che Roberto proveniva dalla Calabria ed andava a vivere in una cittadina appena fuori Dublino, con un sistema di trasporti basato quasi interamente su bus e taxi, grandi aree residenziali, dover camminare in spazi aperti in mezzo al vento che letteralmente prende a schiaffi la faccia e la pioggia che non manca mai. Anche la lingua è sicuramente un’altra sfida: all’inizio, il fatto di aver cominciato a lavorare usando quasi soltanto l’italiano lo ha aiutato, ma a differenza di altri suoi colleghi, i primi mesi lui ha voluto passarli con altri stranieri e laddove vedeva gruppi italiani che si costruivano la loro “little italy” piena di sicurezze, lui andava in cerca di diverse nazionalità per riempire il senso di appartenenza all’Europa. Sicuramente il fatto di essere su un’isola remota, ai confini dell’Europa si sente, anche dal punto di vista dei costi, perché tutto ciò che arriva dal “continente”, cioè quasi tutto, ha costi più elevati. Anche la qualità delle abitazioni è un altro argomento “caldo” per ogni italiano in Irlanda: lontanissime dai nostri standard.
Ma Roberto è convintissimo della sua scelta e dice “quello che fa rimanere qui, come faccio io, sono appunto le opportunità, la possibilità di cambiare lavoro in poco tempo, di passare da una multinazionale all’altra, di avere un impatto reale sull’azienda e di avere una progressione nella carriera, cose impensabili se si pensa a chi in Italia fa lo stesso lavoro per 30 anni e più, con la stessa mansione. La serenità di trovare lo stipendio accreditato sul conto a fine mese non ha prezzo. Quello che si acquisisce è la dignità sul lavoro e l’opportunità più grande è quella di fare in pochi anni un’esperienza che equivale a decenni, in Italia. Cosi facendo, ci si aprono le porte ancora di più per il futuro.”
E ora uno sguardo al futuro
Sostiene Roberto “Ho imparato che non si è mai troppo vecchi per prendere delle decisioni che cambiano la vita e che non dovremmo farci fermare dall’età biologica se non siamo contenti di ciò che ci circonda. Al tempo stesso ho imparato a vedere con occhi diversi quello che avevo prima, proprio guardando la diversità attorno a me con i miei occhi più che con quelli filtrati dai media. Mi rendo conto che in Italia abbiamo tante cose che sarà impossibile trovare altrove, nel bene e nel male, e che nessun posto è perfetto. O meglio, il posto perfetto può esistere, ma è confinato anche ad un momento perfetto, per una data persona. Ho imparato la tolleranza, mi sento veramente europeo e mi spiace che l’idea di Europa che molti hanno sia solo quella di una moneta unica.”
La società Zendesk gli sta dando parecchie opportunità, l’azienda cresce, il suo ruolo cresce, ma nel tempo libero lui si dedica anche ad altri progetti, più personali, come ad esempio realizzare il logo per un commercialista di Singapore, che aveva trovato il suo sito per caso. Un altro progetto che lo ha coinvolto molto e che gli ha dato grandi soddisfazioni e di cui è molto fiero è stato terminare un libro fotografico per un suo amico fotografo di Berlino, che ha realizzato un reportage sul Pakistan dopo averlo viaggiato in lungo e largo per alcuni mesi. Il libro è in corso di stampa in Cina e sarà pronto orientativamente a dicembre.
Il progetto di Roberto è di rimanere sicuramente ancora in Irlanda per un po’ di tempo, ma è convinto anche di potersi spostare in altre capitali europee, un posto caldo possibilmente e che non sia un’isola. Avrebbe anche occasioni oltre oceano, ma lui si sente decisamente europeo e privilegia i valori di questo nostro continente che, anche se un po’ “ingessato”, rappresenta la culla della cultura e della storia, nel bene e nel male. Quello di cui è più sicuro è che non tornerà in Italia per lavorare per aziende o con clienti con la stessa mentalità che lo ha fatto decidere ad andare via. Una buona soluzione potrebbe essere il lavoro remoto, che già utilizza, l’ideale sarebbe continuare a lavorare per aziende alle quale si è abituato, anche da freelance, ma dalla bella Italia. In quel modo dovrebbe uscire di casa solo per godersi il sole e un gelato, ma anche questo è per ora soltanto scritto nel libro dei sogni.