Più di tremila anni fa, i greci vedevano un mondo simile al nostro. Coltivavano la terra, costruivano, avevano capito varie cose. Si chiesero da dove venisse tutto ciò. Le cose più grandi che vedevano erano cielo e terra: Urano e Gaia. Era plausibile l’opinione che le cose grandi avessero prodotto tutte le altre.

Come altri popoli, inventarono il concetto di divino; potente, creatore. Urano e Gaia si accoppiarono e produssero i Titani: Okeanos, Ceo, Crios, Iperione, Iapeto, Teia, Rea, Mnemosine, Temis, Foibe, Tethis, Kronos. Urano divorò molti dei suoi figli, ma fu castrato da Kronos e forzato a rivomitarli vivi. Okeanos creò il mare. Altri titani crearono memoria, paura, avidità. Kronos si accoppiò con la sorella Rea e generò Zeus, padre degli dei ben noti.

Kronos (o un altro dio omonimo) creò il tempo e lo simboleggiava. Più tardi fu rappresentato come decrepito. Contava anni, giorni e ore – “Ora” è parola greca. Agli inizi  di quella civiltà, le idee erano confuse. Ci vollero secoli  perché i ragionamenti migliorassero. La rozza definizione dei quattro elementi [terra, acqua, aria e fuoco] fu conservata per quasi due millenni. Intanto Euclide sviluppava  la geometria con i suoi teoremi. Altri grandi – cominciavano a creare la matematica e la fisica. Archimede, il genio più grande, scopriva anche il calcolo infinitesimale e tanto altro. Il problema dell’origine del tempo non veniva affrontato.

Nel 1854 nel suo libro “Le leggi del pensiero” il matematico inglese George Boole usò l’algebra della logica, da lui inventata, per trasformare in formule i ragionamenti  del teologo Samuel Clarke, di cui accettò due tesi antitetiche, considerate le sole possibili. La prima è “L’universo è sempre esistito”. La seconda: “L’universo ha cominciato a esistere in un certo momento del passato – ed è stato creato da un altro essere.” Sebbene nessuno avesse mai visto creare alcunché dal nulla, Boole ritenne di aver dimostrato logicamente l’esistenza di un creatore onnipotente, necessario, intelligente, eterno, infinito. Altri  notoriamente,  dissentono.

Siamo abituati a considerare il nostro mondo come esistente in 3 dimensioni geometriche: altezza, larghezza e profondità. Chi sa di geometria, parla di 3 assi perpendicolari fra loro: x,  y  e  z.  Poi c’è la quarta dimensione: il tempo. La elettrodinamica quantistica suggerisce ora che il mondo sia costituito sempre da 4 dimensioni, solo 2 delle quali, però, sono spaziali – geometriche. Le altre 2 sono dimensioni temporali, ma non sono reali: sono immaginarie o complesse [in senso matematico!].

I numeri complessi possono definire la distanza fra due punti nello spazio-tempo – separati da una lunghezza reale (in metri) e da un tempo immaginario (in  i-secondi). Il tempo reale in cui crediamo di esistere e di cui parliamo è, forse, un’illusione. Il tempo vero sarebbe quello a due dimensioni immaginarie. Non avrebbe più senso parlare, allora, di un inizio del tempo, nè di alcun punto singolare come quello corrispondente all’evento iniziale del Big Bang avvenuto circa 15 miliardi di anni fa e che taluno identifica con la creazione del mondo. L’universo ci apparirebbe come sempre esistito, senza discontinuità, confermando la prima fra le due tesi di Boole.

Questo non implica che sia immutabile. Possiamo considerarne le evoluzioni come transizioni su una superficie continua, simili al passaggio dal polo Nord al polo Sud del nostro pianeta.

E’ accertato, infatti, che l’universo si sta espandendo: e i fisici sono capaci di rispondere a domande come :”Quale è la probabilità che l’universo si espanda alla stessa velocità in tutte le direzioni quando la sua densità ha il valore attuale (che sappiamo calcolare)?”  Questa probabilità è alta. Il fatto che l’universo si espanda alla stessa velocità in ogni direzione è confermato dall’osservazione che la radiazione di fondo (costituita da microonde) è quasi costante in ogni direzione.

E torniamo al tempo. E’ rilevante la domanda: “Il tempo ha avuto un inizio oppure no?” Con le analisi e le considerazioni dei cosmologi moderni non ci avviciniamo a una risposta soddisfacente. È interessante che una matematica piuttosto semplice come quella dei numeri complessi (nota a tutti gli elettrotecnici che si occupano di correnti alternate) possa servire per dare un senso comprensibile ad affermazioni come “Esistono due dimensioni temporali immaginarie” che, altrimenti, ci sfuggirebbero del tutto.

Da quanto ho scritto qui non si possono trarre conclusioni semplici. Non si possono nemmeno intuire cose vere e interessanti sulla genesi dell’universo. Fisici famosi hanno detto che il tempo non esisteva prima del Big Bang. Per capire che intendano, bisognerebbe studiare a lungo e, forse, non basterebbe.

Ma torniamo a parlare in modo semplice. È ragionevole ritenere che qualche cosa ci sia sempre stato. Se quelle cose non avessero subito alcun cambiamento, un osservatore ideale  non avrebbe potuto concepire il tempo. Non sembra plausibile che un universo sia stato a lungo immutabile, in”fermo immagine”, per poi cominciare a variare. Anche il tempo ci sarebbe sempre stato. Per capire meglio dovremmo studiare molto di più – o chi ha già studiato dovrebbe riuscire a spiegarci meglio.

 

* Pubblicato su  L’Orologio il 17/11/2018