“Furono invitati a scegliere tra l’essere re o corrieri dei re. Da veri bambini, tutti vollero essere corrieri. Perciò esistono soltanto corrieri, i quali galoppano attraverso il mondo e, non essendoci re di sorta, si gridano l’un l’altro i loro messaggi divenuti privi di senso. Ben volentieri la farebbero finita con la loro misera esistenza, ma non osano farlo per via del giuramento da loro prestato”
F. Kafka
Affronto questo tema da esperto di Organizzazione e da appassionato lettore di Franz Kafka (1883-1924), del quale sto rileggendo piacevolmente il castello con lo sguardo della maturità. Tra parentesi ritengo che Kafka e Jorge Luis Borges (1899-1986) siano l’espressione più alta della letteratura del primo novecento, per me, rispettivamente, inimitabili esempi di romanziere e poeta. Oggi si legge poco, nell’epoca della semplificazione, rinunciando così ad esplorare il mondo della complessità, e con ciò anche il realismo magico di Kafka e la capacità di visione di Borges, che riecheggiano alcune, ben note, tematiche organizzativiste. Per Borges, in ragione della sua attenzione al sogno come realtà e alla realtà come sogno, la connessione organizzativa è con il cognitivismo estremo di Karl E. Weick (1936-vivente), per il quale compito primario del manager è immaginare la realtà aziendale estraendola dai significati quotidiani e convenzionali (enactment end sensemaking)[1].
Ma partiamo dalla burocrazia, che ha origini remote.
Dandone solo un esempio, per tutti: il “mondo antico” e la necessità di un’autorità capace di organizzare la costruzione dei canali e dei sistemi di irrigazione, le cosiddette burocrazie “agroalimentari” o “idriche”[2], anche se in termini più generali si può associare la nascita della moderna burocrazia all’affermarsi dello Stato moderno, cioè alla definitiva crisi del feudalesimo (e del suo apparato di dignitari).
Fig. 1 La divisione del lavoro
La nascita della macchina organizzativa.
Ora, ragionando sul piano dell’analisi del fenomeno burocratico non si può non iniziare da Max Weber (1864-1920), sociologo, economista e storico tedesco. La sua elaborazione della teoria burocratica, semplificando al massimo, si basa essenzialmente su due punti: il primo riguarda la tipologia del potere e le forme dell’organizzazione corrispondenti; il secondo, definisce le caratteristiche, strutturali e funzionali, della burocrazia nella sua versione tipico-ideale[3].
Veniamo al primo punto: per Weber abbiamo tre tipi puri di potere legittimo, quello carismatico, il potere tradizionale e il potere legale, che definiscono anche differenti livelli di efficacia ed efficienza dell’autorità intrinseca ai contesti organizzativi o amministrativi nei quali viene esercitata. Se il carisma è legittimato dal valore esemplare della persona, ossia, da una sua qualità eccezionale, unanimemente riconosciutagli, il potere tradizionale è basato sui valori della tradizione o credenze riconducibili ad un certo periodo storico, in particolare, alle istituzioni e convenzioni del passato. Ma è il potere legale a costituire il motore delle burocrazie formatesi nell’epoca moderna, vero e proprio meccanismo propulsore per la realizzazione di grandi apparati amministrativi pubblici e industriali privati. Queste tre configurazioni del potere, e relative forme organizzative, ossia, rispettivamente, i discepoli, gli apparati storici dei dignitari nonché la moderna burocrazia, basata sulla razionalità e universalità nell’esercizio del potere, spesso convivono nelle organizzazioni, seppure in proporzioni differenti e a seconda del differente settore socioeconomico implicato. Dunque, la burocrazia moderna è, per definizione, l’apparato amministrativo proprio e conforme all’esercizio dell’autorità legale, ossia, razionale e universalistica, alla base della modernizzazione statale e della legittimazione dell’impresa privata nel corso della prima parte del ‘900.
E qui, veniamo al secondo punto, ossia, alla sua superiorità tecnica, derivante da una serie di parametri innovativi, rispetto alle forme pre-burocratiche: divisione del lavoro e stabilità delle competenze, specializzazione degli operatori e rapporto di lavoro dipendente, istituto della carriera e retribuzione fissa, impersonalità delle relazioni sociali e segreto d’ufficio, tutti elementi a supporto delle ragioni storiche della diffusione dei processi di burocratizzazione. Infatti, la forma burocratica si dimostrerà fondamentale, sia per l’avvento della democrazia di massa nel moderno stato di diritto (con la formazione di imponenti apparati amministrativi) che per lo sviluppo del capitalismo, data l’efficiente organizzazione tecnologica, sociale ed economica dell’impresa che ne scaturirà[4].
Le criticità dell’assetto burocratico.
Ma dopo aver definito i criteri e le logiche del disegno classico delle burocrazie, è opportuno inserire, in questo contesto, anche gli elementi di progressivo sgretolamento storico della progettualità burocratica.
Fig.2 Caos amministrativo
Ad andare in crisi è, in primo luogo, l’organizzazione macchina, molto efficiente ed efficace in un contesto ambientale relativamente stabile e poco complesso, come era quello della prima metà del ‘900, ma difficilmente adattabile ai successivi cambiamenti sociali e istituzionali in corso, nella seconda metà del ‘900, e alla medesima crescita culturale e professionale dei soggetti, nella società civile e, in particolare, sul mercato del lavoro dell’epoca. Oggi le organizzazioni sono molto cambiate, in meglio e talvolta in peggio. La stessa burocrazia moderna ha visto riemergere al proprio interno aspetti carismatici e tradizionalistici (o clientelari) che, benché residuali, sembravano superati dal tipo di autorità legale propria della forma burocratica, descritta da Max Weber, determinando, così, un percorso a ritroso rispetto ai vantaggi della legittimità formale, anche se il leader, e la stessa varietà dei modelli di leadership riemergono, attualmente, prepotentemente rispetto al tradizionale management e ai manager, come guida strategica per l’azione organizzativa, in un contesto ambientale oramai turbolento.
Ma la crisi della forma burocratica si gioca anche, e soprattutto, sulle disfunzioni interne e i circoli viziosi tipici, che l’operatività di questo modello organizzativo ha fatto emergere gradualmente nel corso del tempo.
Tutto parte, come sempre, dalle esigenze di controllo organizzativo, tipico di ogni organizzazione.
In alcuni casi, prevale l’inversione tra mezzi e fini dell’organizzazione (R. Merton, 1910-2003); quando il controllo organizzativo è affidato alle regole, conseguente rigidità del comportamento degli operatori, attraverso il formarsi di un rigido ritualismo burocratico, che mina progressivamente il rapporto con gli utenti, in quanto, dagli operatori, in primis, non è ammessa la varianza delle contingenze organizzative (o nuove aspettative dei clienti-utenti).
In altri casi, a prevalere è il principio di delega, come strumento di controllo organizzativo (Philips Selznick, 1919-2010); per cui il decentramento che ne risulta ha aspetti ambivalenti, determinando, per un verso, specializzazione delle strutture, e un miglioramento dei risultati rispetto agli obiettivi dati, e per l’altro, questi stessi processi, possono allontanare le organizzazioni dalle finalità originarie, con gli obiettivi parziali che divergono da quelli generali, per l’opportunismo insito dei soggetti e gli interessi ambientali distorsivi, rappresentati e imposti dall’esterno (ossia, dai gruppi di potere ambientali).
Mentre è un merito di Alvin Ward Gouldner (1920-1980) aver inserito nella sua analisi il terzo circolo vizioso, quello della conservazione dell’apatia. In questo schema ci si chiede: perché le burocrazie, spesso, hanno una cosi bassa produttività? Tutto parte, come sempre, dall’esigenza di controllo organizzativo, perché le regole impersonali e minime di lavoro, se da un lato favoriscono la regolarità e sicurezza delle procedure, determinando, anche, un buon clima organizzativo, dall’altro abbassano l’efficienza e l’efficacia dell’organizzazione. In effetti, una organizzazione del lavoro basata sullo sforzo minimo e livelli di performance ridotti, seppure universalmente applicabili, escludono, in partenza, ogni idea o obiettivo di prestazioni e risultati performanti.
Il quarto ed ultimo circolo vizioso è evidenziato da M. Crozier (1922-2013), e riguarda l’inefficienza e conseguenti strategie eversive dei soggetti.
Il punto di partenza è, anche in questo caso, il controllo organizzativo, tramite l’impersonalità e generalità delle norme, che assicurano sicurezza e indipendenza degli operatori, per la ridotta visibilità delle relazioni di potere, traducendosi, però, in potenziali strategie opportunistiche e parallele degli operatori[5], sulla base delle “asimmetrie informative” (per cui, spesso, l’agente ne sa più del principale).
Se dovessimo trarre delle conclusioni dalle disfunzioni e distorsioni tipiche delle burocrazie, queste riguardano, in primo luogo, la crisi globale di legittimazione, sociale e istituzionale, della forma burocratica, che aveva pilotato, nel corso della prima parte del ‘900, la crescita degli apparati dello Stato e lo sviluppo del sistema industriale capitalistico occidentale.
Altra cosa è l’organizzazione kafkiana.
In effetti Weber e Kafka sono contemporanei, ed entrambi affascinati dalla modernità industriale, potendo essere annoverati tra i più importanti, e lucidi, autori del XX secolo sulla burocrazia e le sue (potenziali) disfunzioni. Ciò che cambia, tra i due, è l’approccio: razionalità versus mancanza di senso, apertura della “scatola nera” del lavoro opposta al labirinto delle procedure, impersonalità della vita burocratica sostituita dall’esperienza alienante, e contraddittoria, del cittadino o cliente, a fronte della tortuosità o incomprensibilità delle procedure imposte. Autorità, specializzazione e gerarchia in Weber contrapposte a “distanza sociale”, arbitrio e complicità (delle stesse “vittime” del sistema) in Kafka. Se Max Weber disegna l’ideal-tipo di burocrazia moderna, Franz Kafka inserisce il suo personaggio principale del “castello”, K., in una organizzazione sociale che non promette una vita migliore, anzi lo mette dinanzi ad una promessa falsa e catastrofica, un’illusione della ragione, una negazione del desiderio moderno di ordine. Cosi, anche ne Il processo, altra opera fondamentale di Kafka, Joseph K. viene arrestato e perseguito da una remota e inaccessibile autorità giudiziaria, ma la natura del suo crimine non viene mai rivelata né al protagonista né al lettore. Mentre, riprendendo Il Castello, l’agrimensore, indicato con l’iniziale K., invitato dal Conte (chiamato non a caso West west[6]) a svolgere il lavoro di agrimensura, scopre, nel colloquio con il Sindaco, che si tratta di un errore, anzi di un equivoco. Difatti, secondo il Sindaco: “uno dei principi che regolano il lavoro dell’amministrazione è che non si deve mai contemplare la possibilità di uno sbaglio” … Errori non se ne commettono e, anche se ciò per eccezione accade, come nel suo caso, chi può dire alla fin fine che sia davvero un errore?[7].
Dunque, se Weber definisce la modernità burocratica come una “gabbia di ferro”, dinanzi alla quale occorre avere “Io sguardo addestrato a scrutare senza pregiudizi nelle realtà della vita, la capacità di sopportarle e l’intima maturità di fronte ad esse”, i personaggi di Kafka sono sedotti dalla promessa razionale di burocrazia, e benché lontani da ciò che si aspettano, non si arrendono mai alle loro aspettative deluse, anzi a volte, colpevolmente, ne accettano premesse e tragiche conseguenze (come ne il processo). Si può affermare, in questo senso, che Kafka è, ancora, il più grande cronista della vita in una burocrazia di “carte”. Ma c’è anche una questione etica in gioco tra la concezione del burocrate nella società moderna in Weber e quella dei funzionari e segretari del “castello”, che sovrasta il “villaggio” e i suoi personaggi minori: come i messaggeri, gli aiutanti, l’ostessa della locanda, le cameriere dell’albergo dei signori, tutti ambiguamente legati ai potenti o agli esclusi dalla comunità. Infatti, tutte queste figure, servi o autorità comitali (come il sindaco e il maestro), sono ordinati in una geometria gerarchica impenetrabile e immobile nel tempo. Ma se il burocrate di Max Weber ha, comunque, una vocazione professionale, nel caso del personaggio di Klamm[8], capo della X sezione, il più visibile e assiduo al villaggio, se non il più potente dei funzionari del “castello”, questi è caratterizzato per la sua estraneità rispetto alla comunità, su cui esercita, tuttavia, un potere che, paradossalmente, è maggiormente riconosciuto dagli umili personaggi del villaggio che imposto dalle stesse autorità comitali.
D’altronde, le stesse regole dell’organizzazione, per Weber, sono universali e applicate a un cliente o utente da trattare, non servendo nessuno in particolare e tutti in generale, mentre per Kafka ci sono solo imperscrutabili, invisibili e inconoscibili fonti personali di autorità, cui si cerca di giungere, comunque, attraverso mezzi leciti o, a volte, illeciti (nel senso di manipolativi degli stessi abitanti del “villaggio”).
C’è poi un contesto più allargato, in cui gli effetti dell’organizzazione kafkiana si possono applicare, per analizzare il livello macro dell’organizzazione sociale odierna. È significativo, in questo senso, uno studio (tramite interviste) condotto in Portogallo, durante la depressione che ha scosso l’Europa meridionale a partire dalla crisi dell’euro del 2009. All’epoca, la disoccupazione crescente ha, ovviamente, aumentato le spese statali, necessarie per mantenere in piedi le istituzioni del welfare, con i conseguenti piani di austerità e la retorica del mercato. Ebbene, in un tale clima, di recessione aziendale e difficoltà di accesso al credito, e ai servizi, molte persone hanno percepito come “kafkiane” l’azione delle burocrazie pubbliche e private[9].
Fig.3 Il castello di Kafka[10]
Le conseguenze dello studio si possono riassumere sinteticamente, nella costruzione di un nuovo circolo vizioso delle burocrazie, quello “kafkiano”.
L’esperienza “kafkiana”, infatti, esperita dai cittadini, si traduce in varie fasi interconnesse: in primis, la “rottura di senso”, perché entrare in contatto con l’organizzazione burocratica, secondo Kafka, corrisponde ad entrare in un territorio dove le abituali regole di senso sono sospese (e, allo stesso tempo, sfidate); ma il problema è, anche, la stessa “complessità integrata”, ovvero, la presenza di una macchina enorme e misteriosa, rispetto alla quale tutti i tentativi di penetrare sono condannati al fallimento, riportando i personaggi sempre al punto di partenza. La conseguenza immediata è l’”inazione”, creando una percezione di disempowerment, dovuta all’incuria dell’organizzazione; mentre la “restrizione all’azione” è dovuta all’impossibilità di raggiungere i propri obiettivi, in un contesto diffuso di “disattenzione organizzativa”. In effetti, la mancanza di “sostegno organizzativo” agisce a due livelli: il primo consiste nella neutralizzazione di ogni possibile apertura di opzioni comportamentali alternative; il secondo, la scarsità di interesse ai problemi individuali, da parte della burocrazia, determina, nell’insieme, come risultato, una paralisi comportamentale generalizzata. Gli esiti, a lungo termine, riflettono una reazione, individuale, emotiva e psicologica, di rabbia o frustrazione, per l’assenza di controllo sulla situazione, che sfocia nella assuefazione di K. ad un sistema incompiuto, come gli stessi romanzi di Kafka, sempre interrotti o incompleti, dimostrano.
In particolare, dunque, l’articolazione del circolo vizioso kafkiano parte dalla insensatezza che porta all’inazione che attiva l’impotenza che rinforza l’inazione, la quale riporta all’insensatezza, in un contesto di mancanza di significato globale che coinvolge, indifferentemente, il “villaggio” e il “castello”, i potenti e i servi, chi è dentro la comunità e chi, pur non volendo, ne rimane escluso.
Non possiamo, dunque, non concordare con Kafka quando scrive ne Il castello … “la strada principale del paese non conduceva alla collina del Castello ma soltanto nelle vicinanze; poi come deliberatamente, descriveva una curva e sebbene non si allontanasse dal Castello non gli si avvicinava neppure. K. s’aspettava sempre di vederla deviare finalmente verso il Castello e solo questa speranza lo induceva a perseverare”..
[1] Attivazione e produzione di senso. Cfr., Weick K. E., 1995, Sensemaking in Organizations, Sage Publications; trad. it. Senso e significato nell’organizzazione, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1997.
[2] G. Melis, La burocrazia, Dizionario di Storia, 2010.
[3] Max Weber, Economia e società, Edizioni di Comunità, Milano, 1961.
[4] G. Bonazzi, Storia del pensiero organizzativo, la questione burocratica, Franco Angeli, Milano, 2002.
[5] Cfr. in A. D’Antonio, Le regole dell’Organizzazione, ad est dell’equatore, 2017, nella terza sezione: i circoli viziosi della burocrazia, una puntuale ricostruzione storica e teorica dell’argomento in questione: il “funzionalismo debole”, e gli strumenti manageriali per il loro superamento.
[6] Metafora dello sviluppo occidentale.
[7] F. Kafka, Il castello, Mondadori, 1979 p. 98 e 99.
[8] In ceco “miraggio”.
[9]A.a.V.v., Potere e burocrazia kafkiani, Giornale del potere politico, 2016, http://dx.doi.org/10.1080/2158379X.2016.1191161
[10] Michele-Barbaro.-Il-Castello-di-F.-Kafka-21