LE NUOVE TENDENZE DEL VIAGGIARE RESPONSABILE

“I viaggiatori sono quelli che lasciano le loro convinzioni (e i loro pregiudizi, ndr) a casa, i turisti no”, scrive il saggista inglese Pico lyer. Proviamo a capire quale sia la differenza tra viaggiatori e turisti, allora.

 

Premessa

Questo articolo era stato scritto e consegnato alla redazione della rivista nel mese di febbraio, poco prima che si cominciassero a diffondere, a livello mondiale, tutte le informazioni sulla gravità della pandemia da Covid-19 che avrebbe colpito il nostro pianeta e che, per la prima volta dopo un secolo, avrebbe modificato quasi totalmente il nostro modo di lavorare, di consumare, di viaggiare, di gestire le relazioni umane (sia quelle vicine sia quelle a distanza)…insomma di vivere, secondo modi e tempi a cui ci eravamo ormai abituati e che davamo per scontati. Ma questo, a dire il vero, solo nel nostro cosiddetto “primo mondo”, mentre eravamo, nonostante tutto, consapevoli che non era così per tutti i circa 7,7 miliardi abitanti della Terra (dati fine 2019).

La pandemia ci ha fatto comprendere – e personalmente sostengo per fortuna – tutta la nostra fragilità e precarietà, riportandoci anche a una necessaria riduzione dei consumi, dovuta sia alla perdita di migliaia e migliaia di posti di lavoro, sia a nuove riflessioni sul modello di sviluppo a cui ci eravamo “adagiati”.

Non è mio scopo affrontare qui tutte le tematiche economiche e sociali relative all’attuale situazione, che lascio ad autori più esperti e competenti di me in quei settori, e quindi, nell’attuale rilettura del testo prima della pubblicazione non cambierò la sostanza di quanto da me espresso, perché il modello del viaggiare responsabile proposto avrà sempre di più un senso, alla luce proprio delle nuove consapevolezze che, speriamo, avremo acquisito. 

 

Il concetto di mobilità

La notevole varietà di soluzioni di trasporto, anche a costi bassi, della nostra epoca, sia per lavoro sia per piacere, ha reso accessibile a un gran numero di persone la possibilità di aumentare la propria mobilità e di vedere luoghi che in passato potevano essere soltanto sognati o immaginati. “Il giro del mondo in 80 giorni”, di Jules Verne, del 1873, che prende spunto dalle innovazioni tecnologiche del XIX secolo che avevano aperto la possibilità di circumnavigare il mondo rapidamente, ne è stato un esempio lampante. E potrebbe essere stato ispirato dalle reali imprese di George Francis Train, che realizzò l’impresa nel 1870.

Come ho già scritto in alcuni articoli precedenti, pubblicati qui con l’occhiello “Viaggiare è conoscere”, il viaggio dovrebbe rappresentare un’occasione importante e significativa per conoscere persone e situazioni reali, il tessuto umano e sociale che vive, lavora, sviluppa le proprie esistenze nelle zone che si visitano. E questo è sempre stato l’atteggiamento con cui, personalmente, ho viaggiato e che ho affinato ulteriormente, negli ultimi anni, più di recente in Sardegna, in Tailandia e in Iran. Però, fino al 2018 tutti i miei viaggi erano stati organizzati all’insegna del “fai da te”, mentre per il viaggio in Iran del maggio 2019 mi sono affidata, insieme a un gruppo di amiche, a un operatore che propone itinerari nell’ambito del turismo responsabile, e questo ci ha portato ad incontrare nelle diverse città – in maniera strutturata e come parte del viaggio – associazioni con le quali abbiamo potuto confrontarci e famiglie con le quali abbiamo condiviso i pasti a casa loro (e su questo aspetto tornerò anche più avanti). Ma non per tutti il senso degli spostamenti è lo stesso, ed ecco il perché della differenziazione tra viaggiatori e turisti.  

 

Qualche dato da BIT 2020

All’inizio di febbraio si era tenuta la quarantesima edizione di BitMilano, la manifestazione che ormai costituisce un momento importante di networking e di presentazione di dati e proposte estremamente significativi nel settore del turismo. Approfitto dunque di alcune informazioni raccolte in quell’occasione per cercare di delineare uno scenario più generale, che ovviamente è attualmente in una situazione di “sospensione”, in attesa di nuove ripartenze. BitMilano 2020 aveva accolto più di 40.000 visitatori, tra viaggiatori, giornalisti e operatori di settore (confermando il suo taglio internazionale) provenienti in particolare, oltre che dall’Italia, da Grecia, Svizzera, Spagna, India, Federazione Russa e Usa. Inoltre, erano stati oltre 600 i buyer selezionati da Fiera Milano e arrivati da 65 Paesi, in particolare da USA, India, Russia, Ucraina, Argentina, Brasile, Sud Africa.

Gli andamenti evidenziati in occasione degli appuntamenti convegnistici confermavano, allora, i trend in atto nel settore, che riguardano il turismo enogastronomico, quello culturale, termale e del benessere, nonché quegli aspetti di attenzione all’ambiente che rientrano sotto la voce “ecoturismo”.

 

Visitatori a BitMilano 2020

 

Nel corso della prima giornata della manifestazione milanese era stato presentato il XXIII Rapporto sul Turismo Italiano, promosso da IRISS-CNR, che rilevava i dati del 2018, anno in cui il comparto, aveva visto 3,56 milioni di posti di lavoro, pari al 14% dell’occupazione totale nazionale. Cifre rilevanti quelle del turismo internazionale verso il nostro paese, con un +12,4% rispetto al 2015 ed un incremento medio annuo di circa il 4%, maggiore di quello di Spagna (3,8%), Germania (3,3%) e Francia (2,6%). A livello dei flussi internazionali, erano gli arrivi dall’Unione Europea a conservare una netta prevalenza (68%): le variazioni più rilevanti hanno riguardato la riduzione delle presenze tedesche, a fronte di un incremento di circa 2 milioni delle presenze statunitensi.

Anche il turismo interno – che vedrà in questo 2020 un notevole incremento, compatibilmente con le capacità di spesa degli italiani – registrava cifre in crescita, sempre nel periodo 2015-2018, con un +6%, pari ad un tasso medio annuo di +2,9%.  Rispetto alle singole regioni italiane, i dati davano al primo posto il Veneto (19,5 milioni), seguito da Lombardia (16,7 milioni), mentre in termini di presenze il Veneto confermava la pole position (69 milioni) seguito, a distanza, dal Trentino Alto Adige (51,4 milioni). La Campania registrava i valori assoluti più alti tra le regioni meridionali e insulari, con circa 6 milioni di arrivi e 21,6 milioni di presenze.

 

La formula del turismo responsabile ed esperienziale

E nell’ambito di questi volumi di circolazione di persone viaggianti, si parla ormai sempre più in maniera approfondita e circostanziata di turismo esperienziale. Se ne occupano molto anche i media e i social network, perché si sono evidenziate in anni più recenti esigenze diverse – forse più di nicchia – nei viaggiatori. Una cultura del viaggio che anche noi italiani abbiamo mutuato forse dai visitatori provenienti dal nord Europa, che da sempre hanno mostrato un approccio più attento al contesto. Infatti, come emerso anche nei report di BitMilano, si evidenziano i nuovi trend sulle scelte del viaggiatore contemporaneo, che ora come non mai è alla ricerca della possibilità di vivere esperienze uniche, con esigenze e richieste nelle quali la sostenibilità diventa un valore prioritario, in particolare tra i cosiddetti “millennials”, ma anche tra i senior. Anzi, proprio BitMilano ha evidenziato una crescita esponenziale del “turismo silver”, sul quale è stato organizzato un convegno dal titolo “Senior in viaggio: il boom del silver tourism” (organizzato da Letyourboat e I Viaggi di Maurizio Levi, in collaborazione con Altraeta.it e Lattanzio KIBS). Nel corso del convegno erano state evidenziate le abitudini dei senior, che vogliono continuare a viaggiare, esplorare, dedicare il tempo libero alle proprie passioni: la spesa turistica degli italiani over 65 è stimata in circa 5 miliardi di euro, ai quali vanno aggiunti gli altri 5 provenienti dai senior stranieri, che vengono in Italia attratti dall’arte, dalla cultura e anche dal contatto con la natura.

 

Un esempio di nuove proposte di accoglienza: l’albergo diffuso

Come emerge da uno studio condotto sui Millenials da Kantar Global Monitor 2019 (realizzato ogni anno a livello globale per rilevare i desideri e le aspettative delle persone nei confronti dei beni e dei servizi) il viaggio rappresenta uno stile di vita ed è la possibilità di vivere un’esperienza a fare da attrattore nella scelta, oltre che la volontà di decompressione dalla tecnologia. Il viaggio per i Millennials abbraccia, inoltre, una dimensione di attenzione al sociale e si scelgono destinazioni di “positive change”, quindi sostenibilità ambientale e supporto alle comunità locali. Il mondo sta cambiando, si è passati dal concetto di massa al concetto di personalizzazione e anche nei viaggi questo target vuole esperienze costruite ad hoc.

Ed è in questo ambito che nascono proposte nuove e innovative, come può essere l’albergo diffuso. Riprendiamo dal sito dell’Associazione Italiana Alberghi Diffusi (ADI) le informazioni di base su questo tipo di formula ricettiva, il cui modello è stato messo a punto da Giancarlo Dall’Ara, docente di marketing turistico. Nati in Carnia nel 1982, all’interno di un gruppo di lavoro che aveva l’obiettivo di recuperare turisticamente case e borghi ristrutturati a seguito del terremoto degli anni ’70, si distinguono per il fatto di offrire l’opportunità di vivere un’esperienza unica, all’interno di borghi antichi colmi di storia e di cultura, in una natura incontaminata e affascinante. In Italia se ne contano attualmente un centinaio dislocati nelle varie regioni, ma si stima un potenziale di 500.

L’Albergo Diffuso si rivolge a tutte le persone interessate a soggiornare in un contesto urbano di pregio (centro storico di una città o di un paese), vivendo a stretto contatto con i residenti, più che con gli altri turisti, potendo contare su tutti i servizi alberghieri, come la colazione in camera o il servizio ristorante, ma con i comfort della normale abitazione, compresa in alcuni casi la possibilità dell’uso della cucina. Il tutto alloggiando in case e camere che distano non oltre 200 metri dallo stabile nel quale è situata la struttura principale dove si trova la reception. L’albergo diffuso è un’impresa ricettiva alberghiera a tutti gli effetti, con gestione unitaria, in grado di fornire servizi di alta classe adatti a tutti gli ospiti, creata per evitare lo svuotamento dei centri abitati stessi e preservare il patrimonio edilizio esistente, favorendo lo sviluppo di logiche collaborative tra i diversi operatori del comparto e il consolidamento delle reti del mondo associativo esistenti in un dato territorio. Tra  gli obiettivi di un sistema di accoglienza simile, abbinata a un’offerta di visite culturali, escursioni, attività diversificate secondo i propri gusti, c’è anche quello di integrare e fondere le diverse tipicità e singolarità di un luogo, creando per il visitatore una serie di arricchimenti ed esperienze tali da renderlo attraente il luogo, i suoi abitanti, le sue imprese e le sue attività commerciali, superando anche i concetti di stagionalità, soprattutto per località dove in genere si privilegiano il mare e le coste.

 

Altri usi: consumare pasti nelle case private

Nei mese di febbraio era stata fatta, per la prima volta in Italia da un gruppo consiliare della Regione Sardegna la proposta di normare e trasformare in attività professionali i “ristoranti nelle case private”, cosa che ha fatto subito storcere il naso alle associazioni di categoria che riuniscono i commercianti e i ristoratori, messe in allarme dalla possibilità di un mercato allargato, con regole diverse sotto l’aspetto fiscale e di sicurezza sanitaria. Si tratta, di fatto, di prendere atto di una realtà già esistente e in crescita di “condivisione sociale del buon cibo”, che in questo caso arriva dalla Sardegna, ma che è già molto attiva in altre realtà, anche del nostro paese.

 

 

Nuove prassi: condivisione sociale del buon cibo

 

La prima perplessità che le associazioni di categoria (in questo caso Confcommercio Sud Sardegna) avevano sollevato riguarda il fatto di come possa essere promosso, a livello regionale, un comparto che ancora a livello nazionale non è stato normato, e l’altra era il timore di non poter competere ad armi pari, in termini di normativa, rispetto a un concetto di professionalità e obblighi quali l’adeguatezza dei bagni, le tariffe dei rifiuti e i divieti di somministrazione degli alcolici.

 

Contemporaneamente a queste perplessità, però, erano arrivati gli apprezzamenti dai circuiti di social eating e home restaurant più diffusi attraverso Internet, organizzati ormai in un vero e proprio sistema che si basa sulla sharing economy (primo fra tutti, la piattaforma Home Restaurant Hotel). A sostegno di queste iniziative, sono i dati riportati da Gnammo.com, il principale portale italiano del social eating, che conta oltre 250.000 iscritti, 23.000 eventi, 8.909 cuochi in 2538 città e che ha già registrato l’interesse anche di tanti sardi: 2.300 utenti e 400 iniziative in 70 centri dell’isola. 

Ma occorre prendere atto di un fatto: questi tipi di offerta, come nel caso degli alberghi diffusi e di altre soluzioni di ospitalità, si basano sempre più sulla domanda, differenziata, dei viaggiatori che, checché se ne dica, sono sempre più alla ricerca, anche di esperienze sociali più intime e autentiche. E i pasti in famiglia rientrano in  questa tipologia. Interessante, comunque, osservare, che le esperienze all’estero riguardano attività che non diventano continuative, gli ospiti non devono superare un certo numero di persone (es. 6/10), trasformando quindi questi momenti in normali cene in famiglia, il tutto giocato sulla passione e sulle emozioni. Non si tratta di ristoranti, ma vera e propria ospitalità locale. Ed è esattamente quello che noi abbiamo sperimentato in Iran, proseguendo, la sera dopo la cena in casa, anche con un picnic nella piazza principale di Esfahan.

Viaggiatrici, guida e parte della famiglia ospitante dopo il picnic in piazza Naqsh-e jahān, a  Esfahan.