Sto leggendo “Iperoggetti” di Timothy Morton, un filosofo appartenente alla recente scuola filosofica OOO (object oriented ontology), che considera la realtà come un insieme di oggetti indipendenti dall’uomo e dalle sue categorie di conoscenza. Gli iperoggetti sono entità reali, non astrazioni, perché esistono, sono in mezzo a noi, sono limitati nel tempo, agiscono su di noi e sull’ambiente in cui viviamo, ma non riusciamo a “vederli” perché sono fuori scala rispetto alla nostra percezione. Per Morton, sono iperoggetti il riscaldamento globale, le scorie nucleari, il petrolio, o anche oggetti più ridotti derivanti dai primi, come il plutonio o la chiazza di petrolio sversatasi nelle Maldive. Noi non riusciamo a percepire un iperoggetto nella sua essenza e nella sua interezza, ma ne percepiamo solo alcuni particolari, episodi, manifestazioni che ci toccano da vicino. Percepiamo il riscaldamento globale attraverso la crema a massima protezione che dobbiamo mettere quando prendiamo il sole, o quando arriva un inaspettato e violento temporale. Un iperoggetto è tale in relazione ad altri oggetti. La foresta è l’iperoggetto degli alberi. Io non riesco a vedere tutta la foresta, ma solo un insieme di alberi, dei quali comunque mi sfuggono le radici. L’albero che percepisco non è una mia immagine mentale, è qualcosa che esiste comunque al di fuori di me, è un non-umano, un estraneo con cui entro in contatto attraverso qualche discontinuità, qualche slabbratura che mi fa percepire qualcosa. Non è una fantasia o un concetto, è un oggetto.
Gli iperoggetti hanno alcune caratteristiche, come la viscosità (ci sono, ci si attaccano addosso e non possiamo liberarcene, come l’inquinamento o il riscaldamento globale), la non-località (non stanno né tutti qui, né tutti altrove, ma contemporaneamente qui e lì, o né qui né lì; il riscaldamento globale non sta solo qui, ma ovunque), l’ampiezza di fase (il plutonio perde radioattività dopo 24.000 anni, un lasso di tempo impercepibile, così come non riusciamo a percepire il crescere di un albero o lo sciogliersi di un ghiacciaio), l’interoggettività (il riscaldamento globale si manifesta attraverso oggetti diversi, come le gocce di pioggia, il vento fra gli alberi, la pelle che si scotta).
Ora veniamo al Covid19, denominando così la pandemia che stiamo vivendo. L’iperoggetto comprende oggetti come il virus, i veicoli di diffusione, le terapie, gli oggetti di protezione individuali, le ricerche scientifiche, i provvedimenti pubblici. La pandemia è viscosa, perché ci riguarda tutti, è non-locale, perché sta dappertutto, è fuori fase in quanto enormemente grande (globale) o piccola (virus), è interoggettiva perché riguarda varie cose come il lavoro, la scuola, il turismo, gli spettacoli, il mercato (dai mercati finanziari al mercatino sotto casa). Morton dice che tutto quello che si dice di un iperoggetto è sbagliato, perché l’iperoggetto si ritrae, si allontana e si nasconde, restando invisibile e mostrando solo alcune sue tracce o suoi effetti. Anche per la pandemia tutto ciò che si dice e si fa è sbagliato, come abbiamo visto con dichiarazioni e provvedimenti di politici, scienziati, amministratori.
La pandemia è stata favorita dalla globalizzazione dei trasporti e dei commerci, perché un virus che prima della “grande accelerazione” impiegava anni per diffondersi da un paese all’altro ora si diffonde in tutto il pianeta in una settimana. Al tempo stesso però è una manifestazione della globalizzazione intesa a sua volta come iperoggetto. Non avevamo sperimentato veramente la globalizzazione prima che fossimo costretti a restare chiusi in casa in tutto il mondo. Ora sappiamo che cosa vuol dire “globale”, dopo aver visto le piazze delle grandi metropoli tutte ugualmente vuote.
Morton dice che noi riusciamo a percepire le cose solo attraverso un filtro estetico (aistesis in greco significa proprio sensazione, percezione), e segnala opere musicali, installazioni visive e multimediali di LaMonte Young, John Cage, Bridget Riley. Tara Donovan ha realizzato “Plastic cups” con comuni bicchieri di plastica che, impilati in grande quantità, generano un iperoggetto geomorfico completamente diverso, e rappresentano in piccolo, e come esperienza estetica, quello che in grande può essere l’iperoggetto “plastica”.
Tara Donovan, Plastic cups, 2017.
Io sto dedicando quest’anno di clausura allo studio e alla pratica dell’arte vettoriale, dove le immagini sono costruite con oggetti grafici (linee, poligoni, tinte piatte e sfumate, trasparenze). Ogni particolare, ogni variazione di luce o di colore è un oggetto o un insieme di oggetti, organizzati in una struttura gerarchica. Ho cercato di rappresentare la dialettica fra oggetti e iperoggetti con questo mio “Ipercontrosole”, dove ho raffigurato l’albero che sta nella strada davanti alla mia casa, estraniato in una grande terrazza con balaustra panoramica su un lago montano. Non vediamo direttamente il sole, se non attraverso le ombre. Albero, ombre, lago e monti sono oggetti non-umani, che contrastano armonicamente con gli umani ridotti anch’essi a silhouette ed ombre. L’ombra è l’oggetto dell’iperoggetto albero o dell’iperoggetto sole? L’albero è il “controsole”, l’antagonista che ne rende percepibili gli effetti-ombra? E il sole è l’oggetto dell’iperoggetto galassia? Ecco come l’iperoggetto si ritira continuamente, nascondendosi e rivelando alcune cose di sé.
E il Covid19? E’ l’atmosfera generale di vuoto, solitudine e distanza di tutto l’ambiente, apparentemente sereno, ma inquietante come l’attimo prima che accada qualcosa, o poco dopo che è accaduto.
Umberto Santucci, Ipercontrosole, 202