Socialismo perdente è la traduzione in italiano più vicina al significato inteso da Rutger C. Bregman, giovane e brillante scrittore e storico olandese. Citazione dal suo bestseller “Utopia for realists and how we can get there”. In effetti la traduzione letterale per underdog sarebbe “the person or team considered to be the weakest and the least likely to win”.
Dei contenuti del bestseller di Bregman diremo in una altra occasione. Basterà’ qui solo accennare alla documentata lotta alla politica con la p minuscola di Otto von Bismarck, “La politica è l’arte del possibile”. E, forse ne avevamo già parlato, citare la “finestra di Overton”. Joseph Overton, un avvocato americano, inizia con una semplice domanda: perché così tante buone idee non vengono prese sul serio? Overton si è reso conto che i politici, se vogliono essere rieletti, per mantenere il potere, devono mantenere le loro idee ai margini di ciò che è accettabile. E questo non vale solo per i politici. In Italia, per esempio, oggi assistiamo ai lamenti di sociologi di grido che non sono riusciti in trent’anni a convincere ad attuare il lavoro in remoto. O forse non hanno voluto scontentare qualcuno? Questa finestra di accettabilità è la finestra di Overton. Quelli che fanno incursioni fuori dalla “finestra di Overton” saranno bollati come “non realistici” o “irragionevoli”.
Storicamente la politica con la P maiuscola era perseguita dalla sinistra. Sii realistico, chiedi l’impossibile! altro che Bismarck, la fine della schiavitù, l’emancipazione delle donne, lo stato sociale, tutte idee progressiste folli e “irrazionali” alla fine accettate. Negli anni cinquanta non prevedevamo che l’avvento dei frigoriferi, degli aspirapolvere e, soprattutto, delle lavatrici avrebbe aiutato le donne a entrare nel mercato del lavoro eppure è successo. E questo senza cadere nel banale riferimento alle tante idee considerate utopistiche ed irrealizzabili nella storia della umanità.
Negli ultimi tempi la sinistra sembra aver dimenticato l’arte della politica. Molti politici di sinistra tentano di reprimere le idee radicali per paura di perdere voti. Il fenomeno del “socialismo perdente” è un fenomeno internazionale, tra i movimenti di sinistra, dai sindacati ai partiti politici. La visione del mondo del socialista perdente è che i neoliberisti hanno ormai vinto. I socialisti perdenti trovano le politiche correnti profondamente ingiuste e cercano di salvare ciò che possono. Nel momento di decidere, poi, bisogna cedere alle esigenze delle banche, della confindustria, delle famiglie, delle multinazionali, degli evasori fiscali, di quel famoso uno per cento … ed allora via con il compromesso. Ridurre il contante? Bene questo favorisce le banche e forse fa diminuire l’evasione fiscale. Epperò non si può esagerare. Puoi mica pagare lo spacciatore con la carta di credito. Puoi mica corrompere il funzionario con il bancomat. Ed allora portiamo l’uso del contante a 2.000 Euro, e questo non risolve niente. Il lavoro in remoto e le riunioni a distanza comportano vantaggi enormi al clima ed all’economia. Pensate al risparmio se solo il cinquanta per cento delle riunioni dei rappresentanti della UE fossero avvenute a distanza. Epperò i baristi, i ristoranti, le agenzie di viaggio, gli alberghi avrebbero perduto parecchio. Ed allora bisogna trovare, e si trova, un compromesso: prima di tutto il profitto. O no? Ecco perché tante buone idee non vengono prese sul serio.
Il socialista perdente si schiera con i poveri, i richiedenti asilo, disabili e discriminati. Denuncia l’islamofobia, l’omofobia e il razzismo. Sono preoccupati per l’incremento delle disuguaglianze. Ma il problema più grande dei socialisti perdenti non è che si sbagliano. Il loro problema più grande è che sono noiosi e conservatori, opachi. Non hanno una storia da raccontare, né un linguaggio per trasmetterla. E, troppo spesso, sembra che a quelli di sinistra piaccia davvero perdere. Come se tutto il fallimento, il destino e le atrocità servissero principalmente a dimostrare che avevano sempre ragione.
La maggior parte delle persone non accetta pietà e paternalismo. Il socialista perdente ha dimenticato che la storia della sinistra dovrebbe essere una narrazione di speranza e progresso. La sinistra accademica è diventata fondamentalmente aristocratica, scrivendo in un gergo proprio che rende le cose semplici molto complesse. Se non riesci a spiegare il tuo ideale a un dodicenne mediamente intelligente probabilmente è colpa tua.
Ciò di cui abbiamo bisogno è una narrazione che parli a milioni di persone comuni. Ciò che manca al socialista perdente è la convinzione che esista davvero una via migliore. Forse è questo il momento di chiedere un reddito di base universale, una settimana lavorativa più breve e la sconfitta della povertà. Ci si dice che queste idee sono irrealistiche, utopistiche. Definire queste idee “non realistiche” vuol dire solo che non si adattano allo status quo. E questo non è assolutamente vero, visto che se ne parla sempre più frequentemente con esperimenti già in fase avanzata, Finlandia, Canada, Silicon Valley, Kenia, Olanda, Svizzera. Si racconta anche che Nixon stava quasi per metterle in pratica, ma di questo diremo un’altra volta.
Si sente parlare della necessità di più lavoro e più posti di lavoro. Ma dove sarà mai tutto questo lavoro visto che sempre più riusciamo a produrre e consumare con meno “risorse umane”. A meno che non parliamo di bullshit job (job si traduce lavoro, il resto non lo traduco). “paese Libero con al centro il Lavoro” è un OSSIMORO DISTOPICO. Dobbiamo quindi essere irrealistici ed irragionevoli. Quelli che chiedevano l’abolizione della schiavitù, il voto alle donne e il matrimonio tra persone dello stesso sesso erano considerati matti. Finché la storia non gli ha dato ragione. Ed allora chiediamo l’abolizione totale del lavoro attraverso l’automazione totale ed il salario base universale.
Come riferimento, oltre “protopia” desidero riportare un brano da” Inventare il Futuro. Per un mondo senza lavoro. di A.Williams, N.Smicek. Feltrinell”
cosa significa invocare la fine del lavoro?
“…Con «lavoro» intendiamo i nostri impieghi professionali, il lavoro salariato, il tempo e la fatica che cediamo a qualcun altro in cambio di un reddito. È un tempo di cui non siamo padroni ma che è sotto il controllo dei nostri capi, manager e datori di lavoro: al servizio di queste figure spendiamo circa un terzo della nostra intera vita. Il lavoro può essere qui compreso in opposizione a «tempo libero», laddove quest’ultimo è generalmente associato ai weekend e alle vacanze. Quello che però chiamiamo tempo libero non va a sua volta confuso con la semplice indolenza, anche perché molte delle attività a cui più ci piace dedicarci richiedono in realtà un impegno enorme: imparare a suonare uno strumento musicale, leggere, socializzare con gli amici o praticare uno sport, sono tutte occupazioni che comportano vari livelli di fatica e sforzo, ma che comunque scegliamo liberamente di intraprendere. Un futuro post-lavoro dunque, non è un mondo di pigrizia: piuttosto, è un mondo dove le persone non saranno più schiave del lavoro salariato, ma libere di modellare le proprie vite.”
Joe Magee – Arts Project – Tudorland