L’orologio scandisce il tempo, è il metronomo della vita, il centro della nostra esistenza.
Il tempo è un valore che sprechiamo. Ci comportiamo dissennatamente, siamo prigionieri di una successione regolare e costante di istanti che si susseguono ordinatamente e cronologicamente, della forza prescrittiva dell’orologio, del calendario, delle agende, delle cadenze e delle scadenze. Siamo vittime del tempo. Corriamo e ci dimentichiamo di vivere, di rendere vero ogni momento, come fossimo destinati a vivere in eterno. Abbiamo così tante cose da fare, da realizzare, impegni, obblighi, impellenze di ogni tipo. Ogni giorno tutto deve risultare in perfetta sincronia. Situazioni e incontri si devono incastrare alla perfezione. Basta un imprevisto ritardo, un piccolo intoppo e tutta la meticolosità della nostra pianificazione quotidiana svanisce in un attimo. Abbiamo paura del tempo che scorre via e il tempo stesso diventa un nemico che ci insegue in ogni cosa che facciamo, come se non ce ne fosse mai abbastanza. Dedichiamo tutto il nostro tempo ad attività che ci fanno sentire efficienti, soddisfatti, affidabili. Nella fretta perdiamo la qualità del nostro operare, la cura dei dettagli, l’attenzione ai particolari, il rispetto delle sfumature.
L’agenda fitta di impegni indica il nostro prestigio sociale. La gratificazione dell’arrivare davanti a tutti è il nostro punto di arrivo. Ci piace essere presi nella ragnatela di mille occupazioni e non avere tempo. Chi ha tempo è un nullafacente, un perdente, un fallito. Perennemente di fretta, sempre ansiosi, corriamo una staffetta senza fine tra le varie incombenze che ci riempiono la giornata. Se ci fermiamo un istante o rallentiamo la corsa siamo perduti. Vogliamo darci da fare come si danno da fare gli intraprendenti, i vincenti, le persone di successo, avvizzire dopo una vita passata a correre, farci annientare dal nostro sfiorire, invecchiare come invecchiano tutti quanti. Aspettare che il quadrante, i numeri, le lancette, le molle dell’orologio precipitino in una fulminea valanga per seppellirci sotto i minuti, le ore, gli anni e l’eternità. Tutto diviene grigio, senza qualità. Non abbiamo più tempo per noi stessi, per gli amori, per gli affetti, per la vita. Riserviamo a ciò che è un autentico valore solo gli avanzi della nostra vita. Il corpo si muove nel tremendo meccanismo dell’orologio, sospeso negli oli lubrificanti, trascinato dai denti degli ingranaggi, schiacciato tra molle compresse che cigolano senza mai fermarsi. Il battito del cuore, il ritmo della vita, palpita nei polsi, in testa e nel petto. Da un momento all’altro l’orribile strumento dentato e appuntito potrebbe tendere le molle, afferrarci e sfracellarci tra le ruote, per fare a brandelli il nostro corpo.
L’orologio prosciuga la vita, la rovina, ci fa balzare dal letto e ci insegue come un mastino dalla culla alla tomba, conta i giorni che non erano più e quelli che non saranno mai, invoca le primavere in cui eravamo stati giovani e tutto aveva avuto inizio senza fine, setaccia il tempo, i grani più grandi dei decenni e quelli più piccoli degli anni, fino ai chicchi minuscoli delle ore e dei minuti, li macina spargendo ai quattro venti la polvere del tempo. La vita ci dà tutto e poi se lo riprende. L’orologio pende sulla nostra vita con lancette incapaci di dire e fare alcunché. Tutto intorno non c’è che silenzio, silenzio e poi ancora silenzio, mentre le ombre si alternano alle ultime luci del giorno, e alla fine l’oscurità inghiotte tutto.
Abbiamo rinunciato al nostro vero io. Non siamo soddisfatti di noi stessi, non ci piacciamo. Non siamo del tutto autentici, e sappiamo di essere inclini al compromesso. Ci siamo trasformati in grottesche comparse di una messinscena teatrale. A volte abbiamo l’impressione di vivere la vita di qualcun altro, in una strana esistenza che abbiamo vissuto per sbaglio. Siamo terrorizzati dal mistero della vita e della morte. Non riusciamo ad affrontare l’idea del nostro io finito. Siamo un incidente della natura e pensiamo di essere al centro dell’universo. Siamo a pochi passi dall’oblio, ma in qualche modo speriamo di essere immortali. Trascorriamo la nostra vita in un carcere a blando regime, costruito da generazioni precedenti di detenuti. In un modo o nell’altro dobbiamo evadere.
Spezziamo le catene per percorrere nuove strade. Spazziamo via la polvere accumulata nel tempo, senza rimpianti. La vita è una specie di corsa a staffetta che nessuno sa dove porti. Sappiamo di averla avuta in prestito per un tempo limitato, cerchiamo di farne buon uso. Alleviamo la fatica e la frenesia che ci hanno invaso la mente, il corpo e l’anima. Il mondo aziendale della politica di corridoio sta sopraffacendo le nostre vite. Rallentiamo il passo, fermiamoci, abbracciamo le vere priorità, non cerchiamo di accumulare scadenze, ritroviamo la giusta serenità per realizzare i nostri obiettivi, per avere più tempo e decidere in piena libertà come e con chi usarlo. Doniamo il nostro tempo agli altri, facciamo scorrere il nostro sangue in altre vene e il ritmo della nostra esistenza in altri corpi. C’è qualcuno ad aspettarci al prossimo cambio, un’altra generazione a cui passare il testimone per continuare la staffetta. Viviamo secondo i nostri ritmi, e non quelli imposti da una competizione assurda, da una lotta dissennata tra reclusi. Riappropriamoci della nostra autenticità e integrità per darci il riconoscimento e l’amore che meritiamo. Per concederci la libertà di esitare, di sbagliare, di cadere, di cambiare. Di essere noi stessi.