Un giardino non può essere progettato come una casa, perché i muri rimangono come sono stati costruiti, le piante evolvono e crescono a modo loro. Anche un progetto informatico o sociale deve essere agile e flessibile, e deve tener conto delle potenzialità del sistema più che dello stato attuale, del diventare più che dell’essere.
Da cinque anni vivo in una casa con un giardino di 400 mq, progettato da un architetto di giardini amico di mia figlia, e ispirato alle teorie del jardin sauvage di Gilles Clément, secondo cui non si usano prodotti chimici, si piantano solo specie locali, si osserva il comportamento del giardino cercando di assecondarlo, si limitano le specie troppo dominanti, si offre un ambiente accogliente agli animaletti e si ha cura della biodiversità.
All’inizio il giardino era brullo, per lavori edilizi dei proprietari precedenti che avevano modificato la casa originaria. Quando abbiamo piantato le prime piantine, ci sembrava che le distanze fra di loro fossero eccessive. Ora invece le piante sono cresciute tanto da coprire qualsiasi lembo di terra con i loro ciuffi che si intrecciano l’uno con l’altro.
Le due foto sono scattate dallo stesso punto di vista. In quella in alto, del marzo 2017, io e mia figlia piantiamo le minuscole piantine secondo le prescrizioni del progettista. A differenza di lui, non avevamo nessuna idea di ciò che sarebbe successo nel tempo, e ci sembrava che fossero troppo distanti l’una dall’altra.
Nella foto in basso, scattata oggi, ecco lo stato attuale delle piante, che sono cresciute in modo rigoglioso, si contendono gli spazi, ridondano sul muretto della terrazza e tendono a invadere perfino il vialetto che abbiamo seminato solo a erba.
Osservando il giardino si ha conferma delle teorie darwiniane, perché alcune piante, come la salvia, tendono a cacciare via le piante vicine, soffocandole e conquistando i loro spazi vitali. Queste sono le piante “generose”, come sono chiamate dai giardinieri sauvage, che preferiscono non parlare di piante invasive o di erbacce, perché tutte le piante sono buone, o meglio non sono né buone né cattive, ma più o meno forti e generose. Altre piante si trasferiscono, perché scompaiono dai posti in cui le abbiamo piantate, per ricomparire 20 o 30 metri più in là, in un angolo a loro più congeniale.
Quando si prende l’abitudine di osservare i comportamenti delle singole piante e del giardino nel suo insieme, ci si rende conto che è lui che ci dice come vuole svilupparsi, quali piante preferisce e quali non gradisce. Abbiamo imparato ad assecondarlo, a farci guidare da lui, e sta diventando proprio un bel giardino sauvage.
Ripensando al progetto iniziale, e confrontandolo con la situazione attuale, mi pare che la progettazione di un giardino sia una metafora molto adatta ad una progettazione di tipo caotico, sistemico e complesso.
La progettazione tradizionale si applica alla costruzione di manufatti che assumono la forma finale identica al progetto iniziale. Un ponte, un traliccio elettrico, il pistone di un motore, sono costruiti rispettando i disegni, le misure, le prescrizioni del progetto, che deve prevedere tutto, dalla struttura generale ai minimi particolari.
La progettazione caotica o dinamica ha solo un’idea vaga e approssimativa dell’aspetto compiuto di ciò che progetta, e si imita a creare le strutture generali, gli elementi necessari, le condizioni più adatte perché quegli elementi si sviluppino nel modo desiderato.
La progettazione tradizionale di scuola tayloriana progetta l’organizzazione come fosse una macchina, dall’organigramma generale fino alle più piccole operazioni della catena di montaggio, e tutto si svolge nello stesso modo, fino a quando tutto l’impianto diventerà obsoleto, e andrà sostituito con un nuovo impianto.
La progettazione agile dinamica è più adatta alle aziende informatizzate di oggi, o addirittura alle aziende e organizzazioni che non trattano più materiali, ma informazioni, perché le informazioni crescono come piante, le reti informatiche sviluppano nodi e collegamenti allo stesso modo in cui una pianta generosa si propaga con la sua rete di radici, dai cui nodi spuntano altre piante che a loro volta sviluppano altre radici.
Oggi le organizzazioni più agili si basano su piccoli centri di produzione e su collaboratori ben collegati che lavorano in modo autonomo e smart, collegati in rete come le piantine di ranuncolo che fanno parte dello stesso rizoma ma ognuna cresce, fa fiori e attira api per conto suo.
In conclusione, quando il progettista, il manager, l’imprenditore, sviluppa il suo progetto, è preferibile che lo faccia come un bravo giardiniere che non pensa alla pianta com’è, ma come sarà, e la colloca in un punto in cui potrà esprimere al meglio le sue potenzialità. E quando il progetto è concluso, diventerà di cruciale importanza curare il dopo progetto, coltivandolo nel tempo per favorirne la crescita in modo naturale, armonioso e fluido.