“La preoccupazione che sentiamo o leggiamo più spesso circa il destino degli animali nel mondo di oggi è la loro grave diminuzione numerica, compresa l’estinzione di un numero crescente di specie”.
Michael Osterholm
La prima domanda che ci poniamo è questa: Covid, origine naturale o di laboratorio?
La risposta è imbarazzante: “entrambe plausibili”. Lo precisa il virologo italiano Guido Silvestri docente negli Usa alla Emory University di Atlanta, il quale condivide quanto scritto su ‘Science’ solo alcuni giorni fa da un gruppo di giganti della virologia, tra cui Pam Bjorkman, Ralph Baric, David Relman, Ruslan Medzhitov, Michael Worobey, secondo i quali: “Dobbiamo prendere sul serio sia l’ipotesi dell’origine naturale che quella dell’origine di laboratorio. Una indagine valida deve essere trasparente, oggettiva, basata sui dati, fatta da esperti di varie discipline, soggetta a revisione indipendente, e gestita in modo tale da limitare i conflitti di interesse. Agenzie di salute pubblica e laboratori di ricerca devono aprire i loro archivi al pubblico”[1]. Il sito AdnKronos, segnalato in nota, riporta dettagliatamente i meccanismi biologici delle due versioni, entrambe compatibili. In questo breve contributo ci limiteremo a segnalare le ipotesi naturali non perché più accreditate ma in quanto più accessibili e forse utili ad analizzare il contesto ambientale favorevole a trasformare una epidemia in pandemia. In effetti l’ipotesi endogena (fuga dal laboratorio) ci porta inevitabilmente a un bivio: errore e disattenzione? O frutto di una manipolazione (ingegnerizzazione) avvenuta nei laboratori di Wuhan? Un’osservazione che era stata fatta già mesi fa dal Premio Nobel per la Medicina Luc Montagnier, uno dei principali studiosi del virus Hiv. Montagnier dopo le sue dichiarazioni fu oggetto di grossolani attacchi da parte dei virologi di regime, che lo bollarono come complottista. Stesse conclusioni cui è arrivato anche lo scienziato Joseph Tritto al termine degli studi condotti con la sua équipe di ricerca, fornendo rivelazioni che sono accessibili al pubblico nel volume Cina Covid-19[2]. Sta di fatto che Diciotto autorevoli virologi hanno scritto una lettera su Science chiedendo espressamente una nuova indagine, più accurata e indipendente di quella portata avanti finora dalla Oms, sulle origini del Covid-19, sottolineando come l’ipotesi di un incidente di laboratorio sia da verificare attentamente. Non è mai troppo tardi per appurare la verità.
Certo l’ipotesi colposa (fuga dal laboratorio) non ci esime dal valutare l’economia del Covid (ipotesi dolosa). Chi ha guadagnato nella pandemia? Due osservazioni per tutte, la prima aziendale e la seconda finanziaria: nel primo caso, introiti da zero a oltre 50 miliardi di dollari a livello globale solo nel 2021. È quanto vale in termini di ricavi il mercato dei vaccini per il Covid19, sulla base dei contratti di fornitura noti finora e dei dati divulgati dai produttori. L’affare del secolo per le case farmaceutiche. Senza contare il russo Sputnik V e i vaccini cinesi. E neppure quelli ancora in fase di sperimentazione che arriveranno sul mercato solo verso la fine dell’anno. Nel secondo caso, scrivono Andrea Franceschi e Marigia Mangano, sul Il Sole 24 Ore del 14 marzo 2021, che vi è stata “Una rivalutazione di oltre 160 miliardi. Tanto è valso, per la Borsa, l’effetto Covid sui giganti dell’anti-Covid, ovvero le case farmaceutiche che da ormai un anno sono in prima linea nella produzione del vaccino e delle cure per il Coronavirus. Il valore esprime l’incremento in termini di capitalizzazione di Borsa rispetto ai livelli di inizio 2020. Ma è solo una soglia di partenza, perché nei fatti, tra profitti attesi e giro d’affari stimato, il beneficio complessivo per i protagonisti dell’immunizzazione sarà molto più alto”.
Sull’ipotesi fuga (colposa o dolosa) dal laboratorio ci fermiamo qui; provando a definire un punto fermo: le versioni complottiste non risultano poi tanto campate in aria rispetto all’imperante mainstream istituzionale dell’epidemia naturale trasformatasi in pandemia attraverso le peculiarità del nostro modello di sviluppo neo-liberista dilagante negli ultimi trent’anni.
È interessante a questo proposito la lettura integrale del sito OMAR (osservatorio malattie rare) su “Coronavirus; SECONDO IL QUALE non possiamo fidarci neppure di un premio Nobel”, appunto Luc Montagnier, nel quale vengono analizzate teorie fantasiose e versione ufficiale, quella dell’OMS che ammette ““Non sappiamo ancora come è nato”.
Se tutte le prove disponibili suggeriscono che il virus abbia un’origine naturale (animale) e che non sia stato quindi creato in laboratorio: il suo serbatoio ecologico è “molto probabilmente” nei pipistrelli. Ma si pensa, anche, che SARS-CoV-2 abbia saltato la barriera della specie, dal pipistrello all’uomo, attraverso un “ospite intermedio”, ovvero un’altra specie animale più vicina all’uomo, come un animale domestico o selvatico addomesticato. “Ad oggi, però, questo animale non è stato identificato”.
Se si trattasse invece di un virus creato in laboratorio a scopi di ricerca, e sfuggito all’esterno per un tragico errore? Nell’occhio del ciclone c’è l’Istituto di virologia di Wuhan che sorge vicino al famigerato mercato del pesce della città cinese, inizialmente indicato come fonte del primo focolaio. “Non è un mistero che all’interno di questo laboratorio siano stati condotti degli studi sui pipistrelli “ferro di cavallo”, i vettori intermedi della SARS: dal 2005 al 2017, l’Istituto ha pubblicato varie ricerche in proposito”. Però, finora, niente può dimostrare la fuoriuscita accidentale del virus dal laboratorio[3].
Quali sono, a questo punto, le ragioni sociali della pandemia? La loro incidenza, l’inevitabilità o le condizioni di rotta che possano deviare la traiettoria pandemica in fenomeno ricorrente?
Veniamo all’ipotesi di un modello di sviluppo che favorisce epidemie potenzialmente pandemiche. La cosa che colpisce è la convinzione che questa pandemia Covid non è stata la prima della storia né l’ultima e che dovremo abituarci a convivere con virus più aggressivi e pandemie più frequenti. A questo proposito un report di un pool di 26 scienziati presentato al Global Health Summit di Roma, tenutosi il 21 maggio 2021, afferma che “La frequenza e la natura delle prossime pandemie dipendono fortemente dalla nostra capacità di adottare stili di vita sostenibili, dall’implementazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile e dall’approccio “One Health”;[4] la visione olistica, ossia un modello sanitario basato sull’integrazione di discipline diverse, è antica e al contempo attuale. Si basa sul riconoscimento che la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema siano legate indissolubilmente.
Il mondo sta entrando, dunque, in una “age of pandemics”?
Forse sì, se nel citato Global Health Summit di Roma, co- presieduto da Peter Piot, “special adviser” della presidente Von der Leyen e dal presidente dell’Iss Silvio Brusaferro è stato elaborato un vero e proprio decalogo per il contrasto all’epidemia in corso ma anche ad assicurare una migliore preparazione in vista delle future minacce pandemiche, tracciando una mappa per il futuro: “accesso globale equo alle forniture mediche e agli strumenti necessari ad affrontare il Covid-19 e le altre minacce alla salute, ricerca e innovazione, coinvolgimento dei gruppi di ricerca nei paesi a medio e a basso reddito, sorveglianza integrata delle malattie e condivisione dei dati, ascolto delle indicazioni scientifiche, rafforzamento del personale e dei sistemi sanitari, capacità produttive regionali, fiducia pubblica, governance ben coordinata e salute sostenibile”.
Ma quali sono le variabili coinvolte nel “tempo pandemico”?
Povertà, disuguaglianze e degrado ambientale potrebbero causare le future epidemie amplificandole in pandemie; perché, ha affermato Silvio Brusaferro presidente dell’Iss, durante il summit, la frequenza e la natura delle prossime pandemie dipendono fortemente dalla nostra capacità di adottare stili di vita sostenibili, dall’implementazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile e, dal citato, approccio olistico e personalizzato “One Health”.
A lungo termine, tuttavia, la più importante radice delle epidemie potenzialmente pandemiche può rivelarsi come “zoonosi”, e cioè “malattia animale”.
La malattia coronavirus 2019 (COVID-19) sembrerebbe essere “l’ultima di una serie di malattie infettive a rapida diffusione causate da virus provenienti da animali che sono riusciti a superare la barriera interspecie e a infettare l’uomo (le cosiddette malattie zoonotiche)”[5]. A questo proposito i ricercatori sospettano che la fonte dell’attuale diffusione del coronavirus sia il mercato della carne a Wuhan, dove molte specie di animali selvatici e domestici sono stati venduti in condizioni terribili, all’interno dei cosiddetti “Wet Markets”. Anche se le autorità cinesi stanno attualmente eliminando gradualmente tali mercati in tutto il paese a causa della minaccia che rappresentano per la salute pubblica. Ma secondo Włodzimierz Gogłoza, autore di numerose pubblicazioni di ricerca empirica sugli stati della natura, il problema non è esotico (mercati asiatici) ma riguarda “attualmente il sistema convenzionale di allevamento del bestiame”. Particolarmente pericolosi a questo proposito sono gli allevamenti intensivi, dove viene confinata la stragrande maggioranza degli animali destinati al consumo umano. L’altissima densità e la bassa varietà genetica degli animali “offrono uno spazio eccellente per la rapida diffusione dei virus”. In particolare, il trasporto su lunghe distanze e la vasta catena di approvvigionamento utilizzata dall’industria agroalimentare.
Anche se ci sono voci contrarie al rapporto tra epidemie pandemiche e il nostro modello agricolo, per cui i legami tra agricoltura intensiva e le epidemie sono eccezionali. Secondo Daniel Marc, veterinario e ricercatore in malattie infettive e virologia molecolare presso Inrae (Institut national de recherche pour l’agriculture, l’alimentation et l’environnement) l’istituto per la ricerca in agricoltura del Governo francese, l’”allevamento intensivo o estensivo non cambia nulla”. “In entrambi i casi, è il fatto di essere in contatto con gli animali a spiegare la trasmissione, non il loro numero o le loro condizioni di allevamento”. E allora come si spiegano epidemie e pandemie? “Una delle spiegazioni è che siamo sette miliardi di esseri umani rispetto ai due miliardi all’inizio del XX secolo. Abbiamo una densità di popolazione molto più elevata e l’aumento del flusso di merci e persone consente agli agenti infettivi di diffondersi in pochi giorni in tutti i continenti, soprattutto tramite trasporto aereo. Un’epidemia rimarrà un evento eccezionale e difficile da prevedere. Se dobbiamo credere a fonti storiche scritte risalenti a prima del XX secolo, “possiamo vedere che ci sono circa tre o quattro epidemie di influenza per secolo, e questo molto prima della nascita del nostro modello agricolo”.[6]
Ebbene, se ci guardiamo alle spalle vedremo “che le più grandi epidemie o pandemie della storia moderna, sono state più d’una con implicazioni sanitarie, culturali e socioeconomiche che possono far riflettere ancora oggi”. La peste, ad esempio, imperversò in Europa dalla metà del 1300 fino all’ultima pandemia (fra la seconda metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento), quando finalmente fu scoperto l’agente responsabile e la modalità di trasmissione. Anche la sifilide, la prima pandemia europea che scoppiò fra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento per cause ancora non ben chiare, merita una riflessione. Per concludere, può essere interessante citare le epidemie di vaiolo che furono particolarmente virulente nel corso nel 18° secolo[7].
Dunque, oggi la situazione potenzialmente pandemica è certamente molto più complessa.
Renzo Rosso, Docente di Costruzioni idrauliche e marittime e Idrologia a Milano, scrive sul suo Blog[8]: “La globalizzazione ha favorito la diffusione della pandemia. Ora cambieremo modelli di vita e di consumo?”
Certo, nei primi vent’anni del millennio, i paesi avanzati hanno esternalizzato gran parte della produzione industriale. “Lo hanno fatto dove le norme ambientali possono essere aggirate, quelle sanitarie e di sicurezza del lavoro non vanno rispettate alla lettera. E le garanzie sindacali sono ridotte o assenti”. In queste aree le condizioni economiche sono migliorate “ma hanno pagato un prezzo sociale non irrilevante, subendo danni ambientali forse irreversibili che, a medio termine, si trasferiranno a tutto il pianeta”. Parliamoci chiaro: “dal 1989, il Pil pro capite globale (misurato a parità di potere d’acquisto) è quasi raddoppiato mentre la quota delle persone in condizioni di povertà è scesa da più di un terzo a meno di un nono, nonostante la popolazione sia cresciuta da 5 a quasi 8 miliardi. In un pianeta a forte crescita demografica, milioni di cittadini hanno evitato la fame”. Ma “Un passeggero infetto vola da Wuhan a Milano, un virus informatico attacca Internet, i sub-prime nel Midwest degli Stati Uniti innescano una crisi economica globale”.
La pandemia ha, quindi, messo in crisi le mutue dipendenze globali.
La produzione asiatica si è fermata, all’inizio del 2020, i porti europei hanno perso fino a metà dei loro traffici, la produzione industriale ha subìto un brutto colpo. Ma anche “i lavoratori bengalesi del tessile hanno perso ogni mezzo di sussistenza”.
Secondo Noam Chomsky (1928), che ha pubblicato nel 2020 “Crisi di civiltà. Pandemia e capitalismo”, l’attuale pandemia è un altro enorme e colossale fallimento della versione neoliberista del capitalismo. In primis è un problema di finanziamenti se è vero che i governi di tutto il mondo avevano destinato mediamente il 6% della spesa pubblica agli eserciti e meno di un centesimo alla prevenzione delle pandemie, nonostante questa minaccia sia ben più grave. A livello internazionale, il bilancio della Organizzazione Mondiale della Sanità non arriva a quello di un grande ospedale americano. È certo poi che sul piano ideologico e materiale il settore pubblico dell’assistenza sanitaria (gli ospedali) è stato rilanciato dalla pandemia come unico presidio per fermare l’epidemia nei paesi avanzati.
Invero, l’efficacia delle vaccinazioni nei paesi avanzati dà ragione a chi guardava con fiducia alla tecnologia, ma la mano pubblica è stata fondamentale sia per la ricerca, sia per lo sviluppo industriale dei vaccini.
Se le mutue dipendenze globali vanno in crisi durante una pandemia, bisogna riportare la produzione a scala locale, a garanzia della popolazione anche in tempi di crisi? ripensando ciò che è meglio produrre a casa propria e ciò che può essere esternalizzato (diversificando le loro catene di approvvigionamento).
Ma la globalizzazione è anche una strada senza ritorno. Per la maggior parte delle aziende europee, i processi di internalizzazione (ritorno alla gerarchia) renderebbero la produzione assai più costosa, se adottate su larga scala a ogni bene di consumo. D’altronde per ragioni tecnologiche e macroeconomiche lo sfruttamento e l’ingiustizia sociale hanno una loro irreversibilità dopo il periodo d’oro dello Stato del Benessere, i Gloriosi Trent’anni del dopoguerra.
D’altronde se i paesi in via di sviluppo dovessero perdere ordini enormi senza alcuna compensazione, il risultato sarebbe disastroso. Secondo Ian Goldin e Mike Mariathasan, autori nel 2014 di “The Butterfly Defect: How Globalization Creates Systemic Risks, and What to Do about It”, molte più persone morirebbero di fame che di pandemia, se uno scenario di questo tipo dovesse concretizzarsi.
[1] https://www.adnkronos.com/covid-origine-naturale-o-di-laboratorio-silvestri-entrambe-plausibili_7JPWJWFn9uDUuOAxCfFW5R?refresh_ce
[2] Joseph Tritto, Cina Covid-19. La chimera che ha cambiato il mondo, Cantagalli, 12 agosto 2020.
[3] https://www.osservatoriomalattierare.it/news/attualita/15986-coronavirus-non-possiamo-fidarci-neppure-di-un-premio-nobel
[4] https://www.fanpage.it/attualita/il-mondo-entrera-in-unera-di-pandemie-la-previsione-di-un-pool-di-26-scienziati/https://www.fanpage.it/
[5] Greta Di Fiore, Gli allevamenti intensivi sono uno dei principali fattori di rischio per la prossima pandemia globale – ma abbiamo un’alternativa, https://animalequality.it/
[6] Daniel Marc, C’è un nesso fra Covid-19 e allevamenti intensivi? Lunedi 5 Luglio 2021, https://www.anmvioggi.it/
[7] Fabio Zampieri, Epidemie e pandemie, cosa insegna la storia, https://ilbolive.unipd.it/it/news/epidemie-pandemie-cosa-insegna-storia
[8] https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/05/18/la-globalizzazione-ha-favorito-la-diffusione-della-pandemia-ora-cambieremo-modelli-di-vita-e-di-consumo/6201305/