Viviamo in un ambiente di parole. Immersi nella comunicazione. Anche quando ci sembra di essere in silenzio non siamo mai nel vuoto. La vita è rumore. Personalmente per me la vita è rumore liquido in cui si è immersi e si respira. Ogni parola ha un suo peso, anche se vediamo che troppo spesso sono usata senza cura, attenzione, gettate come fosse un osso per i cani che le addentano. Ci lamentiamo per delle banalità come l’uso dei continui anglismi, in nome di un termine come “identità”, parola che vuole dire tutto ed anche il suo contrario. Sentiamo le persone dire “ma abbiamo una così bella lingua perché dobbiamo usare le altre”. Perché quelle parole hanno un peso. Quanto tempo è che sentiamo e leggiamo la parola storytelling? Parecchio. Credo, però, che non siamo molti quelli che sanno cosa davvero si intenda. C’è anche una certa insofferenza, come quella emersa nell’invito della senatrice Liliana Segre a Chiara Ferragni. Nasce sempre insofferenza ed antipatia verso qualcosa che non conosciamo. Alcuni sono curiosi, altri dicono “non ci si capisce più niente.” Siamo soffocati dal “giudizio” affrettato e cattivo, che sappiamo molto bene quanto sia frutto di paura per l’ignoto ed insicurezza personale.
L’erba del vicino
Storytelling è un termine fondamentalmente intraducibile. Si è tentato con “affabulazione”, ma non rende fino in fondo e credo che se si fa un sondaggio la maggioranza delle persone non conosce il significato preciso di questo termine italiano. Allora perché usiamo le parole straniere? L’inglese e l’italiano sono due lingue diverse. La prima è una lingua fortemente tecnica e precisa. L’italiano è una lingua più lirica, molto amata nel mondo, oggi è la quarta lingua più studiata nel mondo, ha superato il francese. Anche questo è l’ennesimo segno di quando il modo di vivere italiano, una sorta di slow style, abbia sempre più non solo ammiratori ma veri e proprio wannabes, questo lo dico per i continui ed eterni detrattori del nostro paese – certamente ricco di storture e problemi – che mi ricordano molto Alberto Sordi in “Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo” del 1956 che diceva sempre “ma lassù al nord certe cose non succedono“. La famosa “erba del vicino è sempre più verde” come diceva Cary Grant nell’omonimo film di Stanley Donen.
Umani: animali narranti
Oramai con stoytelling si indica una scienza che indica lo studio e l’uso, quindi tecniche e strumenti, della narrazione. Ancora oggi qualcuno si chiede se questo sia importante. Non è questa la sede per proporre una dissertazione sulla cultivation theory, la funzione bardica e argomenti ad essa connessi. Però l’uomo, come creatura sociale, quindi per come lo intendiamo noi, non esiste senza narrazione, senza le “storie”. Il “bisogno di narrazione” è insito nell’uomo. Non è solamente una necessità biologica della testimonianza, della memoria e di poi della storia. Diremmo piuttosto che è inerente il bisogno di socialità e interpretazione di ciò che avviene e che riguarda una comunità ad i suoi singoli membri. Da qui viene il fondamento del mito, che prima della scrittura vede nei segni e nei disegni, il suo antesignano. Ancora oggi noi rimaniamo rapiti dai pittogrammi delle grotte di Lascaux, il complesso di caverne che si trova nella Francia sud-occidentale, oppure dagli ultimi ritrovamenti degli scavi di Ercolano e Pompei. L’evoluzione ha portato con sé la necessità, da parte dell’uomo, di collaborare con i propri simili. Le storie, secondo queste teorie, sarebbero il mezzo con cui vengono tramandate le proprie norme sociali: la cooperazione è spesso uno dei temi principali della narrativa popolare mondiale. Il tema della cooperazione, come afferma Brian Boyd nel suo libro L’animale narrante, compare anche nell’ Odissea, dove i Proci, prevaricanti e viziosi, finiscono per essere puniti. La cultura contadina e delle società agricole ha nella narrazione un elemento chiave non solo nel suo tramandarsi, ma nel suo porsi in essere. La grande rivoluzione che porta il passaggio dalla società di cacciatori-raccoglitori alla civiltà contadina passa per il seguire il ciclo delle stagioni, il “racconto delle stagioni” che si susseguono l’una dopo l’altra.
Lo storytelling è una disciplina sempre più complessa e soprattutto non univoca. “Lo storytelling culturale lo fa per una sua propria mission, che è quella, prima di tutto, educativa e formativa; lo storytelling turistico lo fa per vendere un prodotto turistico, che sia un territorio, un itinerario, un monumento, un albergo. Le due finalità ti potranno sembrare profondamente distanti fra loro, ma lo storytelling culturale sta deviando verso una seconda finalità convergendo con lo storytelling turistico: in questo caso “vendere” un prodotto: la cultura. Non si scandalizzino i puri di cuore e di spirito! La cultura non campa d’aria! I beni culturali, così come chi è impiegato nel settore in modo diretto e indiretto, necessitano di risorse, sia per autofinanziarsi che per preservarsi.” Dice bene Elisa Bonacini in “Digital Storytelling nel marketing turistico e culturale”, Flaccovio, 2021, un punto di vista fortemente condiviso e condivisibile, soprattutto se pensiamo ad un mondo dove l’economia è basata sui servizi e non sull’industria manifatturiera.
Storia, Memoria e l’Anarchia dell’Esistenza
Soprattutto è tutto pervaso da un pensiero soggiacente: le storie sono un prodotto umano e sono umane.
“La storia non è una fuga dalla realtà, ma un veicolo che ci conduce nella nostra ricerca della realtà. È il nostro massimo sforzo per dare un significato all’anarchia dell’esistenza.”
Questa citazione è di Robert McKee, l’autore di un libro come STORY, pietra angolare per chi si occupa di narrativa e di sceneggiature. Troppo spesso noi non diamo peso alle parole e quando dico parole intendo anche suoni ed immagini. Se dovessi essere più preciso dovrei usare grafemi, fonemi e sintagmi, ma andremmo in una cornice di linguistica troppo settoriale.
Se c’è una parola davvero abusata non è tanto storytelling quanto identità! Ogni cosa è identità o identitaria. Un abuso che come sempre svuota di senso il termine. Siamo frutto di un continuo scambio e meticciato sociale e culturale e vogliamo parlare di identità come se vivessimo in comunità chiuse da muri alti fino al cielo. Suona ridicolo perchè lo è!
Come suona ridicolo opporsi al fatto di creare linguaggi comune fra le diverse persone, gruppi sociali, generazionali che hanno le loro differenze, codici e peculiarità. E perché non dovrebbe essere così. Più la comunicazione si espande e si spande più tutto diventa pervasivo e pervadente. E allora ci dobbiamo confrontare. Quindi vanno creati dei luoghi di codici di mediazioni dove ci si possa incontrare e raccontare le proprie storie. Dove gli umani ritrovino il loro “essere” umani e si leghino.
Io ho trovato di estremo interessante l’invita della senatrice Segre a Chiara Ferragni. Come ho apprezzato che Fedez l’abbia invitata al suo podcast. Uscire dalle proprio “cattedrali” può essere un modo per creare uno scambio senza mancare di rispetto alla sacralità delle storie delle sofferenza della Shoah. Dobbiamo, però, comprendere che se vogliamo che la memoria continua a vivere e a contare, c’è bisogno di aprire quelle cattedrali che non possono solo essere musei costruiti per prendere polvere. La memoria vive finché la si racconta, per questo lo storytelling è centrale. Oggi sta trovando un nuovo corpus scientifico grazie all’evoluzione del marketing che punta alla costruzione dei brand come soggetti basati su dei valori.
E le istituzioni? La scuola? Ok. Possono partecipare anche loro. Nessuno esclude i soggetti, bisogna costruire narrazioni comuni e condivise: l’attività più antica del mondo. Come la mitologia.
Qual è la paura? Che si facciano i selfie e li postino sui social? Non lo escludo. E’ il loro modo di parlare, il loro linguaggio. Io non emetto sentenze né giudizi. Sono più contento che magari conoscano la storia dei vari genocidi o delle varie diaspore migratorie nel mondo.
Lavorando con turismo delle radici e col rooting, quindi con gli italodiscendenti, mi sono accorto di quanto vogliano ed abbiano bisogno di raccontare, di essere ascoltare le storie degli altri.
Siamo umani ed ogni parola per noi è un pezzo di vita e la memoria se rimane a prendere polvere su uno scaffale muore.
“Potresti anche telefonarmi
e dirmi in un soffio di vita
che hai bisogno del mio racconto:
favole di una bimba che legge i sospiri,
favole di una donna che vuole amare.”
ALDA MERINI