Come Neruda vorrei spiegare alcune cose, ma chi mai sono io per farlo.
Invece “vi racconterò tutto ciò che mi accade”
Una cosa è certa: se una congiunzione astrale non mi ucciderà prima, diventerò come alcuni alberi vetusti una centenaria.
I PUNTERUOLI ROSSI
Bellissimi coleotteri (diffidate della bellezza!) entrati in casa una mattina con il loro abito vermiglio punteggiato di nero. Li presi ed adagiai sulla siepe ignara e complice.
Quei magnifici insetti hanno divorato la mia gigantesca palma secolare sotto il cui sterile tronco, seduta su di un vecchio divano di legno svedese, sorbendo un tè freddo autarchico al limone, sto cercando di far questi conti.
LA PALMA
Albero vecchio di cent’anni, cresciuto insieme a me, ora simbolo fallico, si staglia corpo vuoto in questo strano cielo polveroso di guerra. Era già alta e possente quando arrivammo in questa casa.
La Salute, Materdei, la Sanità erano solo nomi per chi come me aveva abitato negli strati alti della città, Via Tasso, Via Cilea, Calata San Francesco. Vico Paradiso scimmiottava strade capresi : ” Mi piace” pensai.
E il palazzotto era una magione del settecento con cappella privata e stalle, riadattate a botteghe artigianali dove si lavorava il ferro e la pelle.
L’albero, la mia palma, era l’attore principale della compagnia della Botanica del mio giardino. Ha dato ombra a molte piscine gonfiabili e coperto nudità. In primavera si riempiva di caschi di datteri selvatici, che precipitavano nei viali divenendo chicche per la mia orda di Attile.
Le mie labrador, comprimarie sulla scena della mia vita (sic!), mangiavano quei frutti dal sentore dolciastro.
Se fossero state scimmie in una foresta pluviale avrebbero dato vita con i loro escrementi a tanti altri alberi.
I bellissimi punteruoli rossi dal volo sfarzoso e larve assassine sono riusciti, novelli Davide, a uccidere Golia.
Divenuto inutile totem al centro del mio Eden.
Di rossi pestiferi ce ne furono ben altri , inaspettati e pericolosi: i terroristi delle B.R.
LE BRIGATE ROSSE
“Everything happens to me”, cantava Alfredo con la voce di Chet Baker, aveva avuto il croup (gridare con voce rauca) da bambino, una malattia delle vie respiratorie con tosse “abbaiante”, che gli aveva indebolito le corde vocali dando un colore sensuale alla sua voce.
Tutto accade a me, qualcuno potrebbe accusarmi di eccesso di protagonismo, ma è solo il titolo di una canzone.
La storia inizia con un terremoto che ci scaraventa fuori di casa in giardino, sotto la grande palma. Il terreno palpita, gli alberi brontolano, Ulisse il nostro pastore tedesco-napoletano abbaia furioso contro la casa che ondeggia avanti e indietro. Attendo terrorizzata che la terra si apra e ci inghiotta. Dura un’eternità: quasi due minuti di boati cupi risaliti dal centro del Pianeta.
Furono i soldi della ricostruzione a maturare uno strano miscuglio di terrore e criminalità, che ci fece affrontare in un mattino di giugno in un vialetto stretto e fronzuto le armi silenziate di Senzani e i suoi Nap. Conoscemmo la inconsistenza di una ideologia creata per sostenere azioni reazionarie, travestite da rivoluzione; il bersaglio nel mirino era l’assessore all’urbanistica della giunta comunista di Valenzi che aveva cercato di difendere il danaro a pioggia che sarebbe arrivato per il terremoto.
L’assessore fu gambizzato, sostituito al Comune e La Nuova Camorra Organizzata usò quella pioggia d’oro per edificare il più vasto e potente mercato di stupefacenti guidato da Mr. Cutolo in persona, direttamente dalle patrie galere.
Mentre la Digos veniva a prelevare Alfredo un giorno si e uno no per ulteriori informazioni e Senzani circolava per Napoli come un turista, libero e felice, i compagni della sezione del PCI di Materdei, i nostri compagni di partito ci guardavano le spalle, sorvegliando a turno la nostra casa
LA SEZIONE DEL PCI PRIMO MAGGIO A MATERDEI.
Via Matteo Renato Imbriani, detta La Salute, era una strada che conduceva in collina, un’erta di campagna con rare dimore per il fresco soggiorno della borghesia.
La Sezione Primo Maggio era in un palazzo antico, un po’ sgarrupato: uno scalone, stanze ampie una dentro l’altra, porta pesante di legno sempre spalancata. Dentro fumo e parole, sentimenti e pensieri.
Ci accolse Rubino, un signore scarno gentile ed elegante come solo alcuni napoletani di una certa età sanno essere. Con un saluto ai nuovi compagni, un Tu senza fronzoli entrammo a far parte di una comunità di persone che “lottavano” per cambiare il mondo. I nostri compagni erano operai, insegnanti, figli di famiglia, studenti e pensionati. Era, quella sezione, piuttosto invisa alla Federazione per essere molto Ingraiana; una sezione a nostra misura: fuori dai canoni del Partito Comunista Napoletano, conservatore e sempre in odore di compromesso con la DC. Eravamo la sinistra del partito. Dissidenti in dubbio ragionato sulle scelte da fare. Sempre pronti a confrontarci sulle cose.
A Berlinguer piacevamo, accettava la dissidenza come forza vitale che dava senso all’azione politica.
Ma poi Enrico è morto insieme al suo, al nostro partito.
Finito definitivamente nel pianto di Achille Occhetto, e all’entrata in scena di una verdeggiante fitologia, tra una ghianda, una margherita e un ramo d’oliva la bandiera rossa e la falce e martello furono sotterrati, assieme ai milioni di uomini e donne che volevano solo rendere più grata la vita.
Ci fu la mozione Cossutta e noi votammo per entrare nel Partito della Rifondazione Comunista, guidato allora da uno stimatissimo e amato Fausto Bertinotti.
“Quelli” di rifondazione, ovvero noi ci incontravamo in un sottoscala buio e lurido del vicolo mentre intorno imperversavano gli spacciatori di droghe pesanti arrivati baldanzosi in queste zone della Napoli antica accompagnati dai nuovi camorristi organizzati.
LA DROGA E LA CAMORRA
Fu un’invasione barbarica, orde di tossicodipendenti attirati dalla visione onirica di sale di fumatori di oppio, vennero a comprare eroina da iniettarsi in vena. Ne era pieno il vicolo.
Nel palazzo si spacciava, ci si drogava imbrattando di sangue gli scalini di casa. Persone dall’aspetto estraneo al luogo arrivavano in sella a moto gigantesche e parlottavano fitto fitto.
La droga veniva nascosta nei tubi innocenti che coprivano i palazzi in via di risanamento dal sisma, e nelle crepe dei muri sbrecciati. Con la polizia a volte c’erano i cani esperti nella ricerca di stupefacenti.
Girava allora una storia orribile su come venissero addestrati i cani antidroga secondo la quale i cani erano costretti ad assumere a loro volta eroina per poterla poi riconoscere.
Una gran cazzata falsa e tendenziosa.
LAILA, ULISSE, CICCIA, BETTA, BLANCE E GLI ALTRI.
Il mio cane da bambina era Laila, un pastore tedesco femmina incredibilmente abile e amorevole. Fu travolta da un camion in strada. La sua morte mi devastò tanto che, quando decidemmo di adottare il primo animale da compagnia pretesi che fosse proprio un pastore tedesco.
Ulisse tra tutti i fratelli della cucciolata ci venne incontro, e la scelta fu facile. Bello con il suo manto nero focato, lo sguardo attento e serio e una naturale predisposizione all’obbedienza.
Dopo quattro anni dalla perdita di questo nostro maestoso e gentile amico ci fecero il dono di una labrador, un po’ disabile, dal pelo dorato e l’indole scugnizza. Quando la vidi salire in braccio al nostro donatore, piccola, spaesata e bellissima piansi per la troppa bellezza, colpita in pieno dalla Sindrome di Stendhal.
Si chiamava Carlotta, ma la chiamammo Ciccia.
Lei partorì otto cuccioli, il più piccolo mori e altri cinque dopo averli curati, nutriti e amati mi furono strappati via dal cuore per andare altrove, in altri luoghi e altre vite.
Infine rimasero con me Ciccia, Betta e Blanche.
I musi di sette cuccioli mi accoglievano per il cibo, le pulizie, i giochi. Quando mi sentivo esausta e impaurita (e accadeva spesso) entravo nel loro recinto, mi stendevo fra di loro e mi facevo leccare e carezzare fino a pacificarmi.
Ho amato alla follia i miei cani, i miei pastori e le mie labrador, novelle unne, che hanno reso altamente poetica e un po’ più felice la mia esistenza.
Vi ho raccontato “Tutto ciò che mi accade”. Saluto Neruda e la sua poesia “Spiego alcune cose”, incredibilmente bella, struggente e dolorosamente attuale.
Quindi “In bocca al lupo” a tutti, che “crepi” come vogliono i “cappuccettisti” oppure “viva” come desiderano i “lupisti”.