Reengineering

La logica ti porterà da A a B, l’immaginazione ti porterà dappertutto.

Albert Einstein

Le emozioni al lavoro

La creatività è una competenza e capacità necessaria ad affrontare le incertezze (Morin, 2000); presuppone flessibilità e consente di costruire nuovi modi di adattamento all’ambiente, di comprensione e di costruzione di nuovi significati. Ma deve avere delle basi: le capacità e le specifiche abilità possedute dalla persona in un ambito conoscitivo, nell’ambito di un dominio del sapere, nel nuovo scenario umano e ambientale della flessibilità e processi adattivi. Perché la creatività si produce solamente all’interno delle conoscenze padroneggiate e non in quegli ambiti dei quali si ignorano contenuti e i linguaggi.

A questo punto bisogna distinguere la creatività individuale dalla creatività aziendale che alla fine, se ben coordinate, coincidono in un circolo virtuoso del rinnovamento organizzativo e professionale.

La prima domanda da farsi è: come sollecitare la creatività nel mondo del lavoro? Seguendo Daniel Goleman, psicologo cognitivista e professore di psicologia ad Harvard, occorre sdoganare le “emozioni” dal mondo razionale che ci siamo costruiti. Attraverso l’intelligenza emotiva tutti i sentimenti del soggetto inserito nell’OL vengono ad acquisire maggiore importanza e significato; si può, quindi, sviluppare un atteggiamento mentale e culturale, in base al quale nelle istituzioni sociali (dalla famiglia alla scuola, dalle istituzioni sanitarie all’industria e al commercio) vale la pena attivare e sviluppare negli individui, non solo competenze cognitive e tecniche, ma anche quelle esperienze emotive e relazionali necessarie.

Ma lo stesso contesto organizzativo può prestarsi come incubatore della creatività.

Appiattire la piramide aziendale decentrando le responsabilità, informare più che formare, per alimentare le possibilità, distribuire i presupposti decisionali, sono senz’altro buone regole; in effetti, una buona strategia è far sì che gli individui “firmino” il proprio lavoro per sviluppare consapevolezza e coscienza morale della propria appartenenza aziendale. Perfino il layout dell’azienda, la sua architettura, con uffici aperti, privi di pareti divisorie, favoriscono la comunicazione interpersonale, la condivisione, la fiducia; favorendo la creazione di “gruppi informali” potenzialmente creativi. Un gruppo unito può essere nel suo insieme più efficace dei singoli individui cosi come la creatività personale è il primo mattone con cui costruirsi l’innovazione organizzativa.

D’altronde, come sempre, l’organizzazione viaggia a due velocità: stabilità e routine versus cambiamento e innovazione (sistema chiuso e razionale versus sistema aperto e razionalità limitata). Sarà un compito del leader creare armonia tra i dipendenti inclini all’innovazione e quelli più versati per gestione e attività amministrative (gestione motivazionale delle risorse umane).

Sarà anche fondamentale, dunque, l’equilibrio tra valorizzazione della tradizione e sperimentazione di strategie d’azione più efficaci o addirittura trasgressive (purché innovative).

Il processo creativo

Nel repertorio teorico abbiamo svariati contributi relativi alle fasi di un processo creativo individuale e dunque organizzativo (apprendimento a ciclo singolo o a ciclo doppio).

Ma prima è opportuno chiarire le molteplici chiavi della creatività aziendale.

Innanzitutto la creatività non è solo quella informatica, oggi prevalente, ma più variegata e complessa. La creatività, infatti, è declinata perlomeno in tre diverse accezioni: individuando una creatività tecnologica, una economica e una artistico-culturale. La prima è basata sulle invenzioni, la seconda sul recupero della tipica mentalità imprenditoriale e infine quella per noi considerata “innovativa” che è basata su beni e contenuti artistici e culturali, l’arma in più delle imprese oggi.

Il concetto chiave delle ultime rivoluzioni industriali è forse quello di “classe creativa”; l’ascesa di una nuova classe sociale e di una nuova era in cui i processi del lavoro, l’organizzazione aziendale e con essi l’intera economia, si basano sulla creatività: ossia, l’era dell’”economia creativa”. In particolare nelle regioni metropolitane con alte concentrazioni di operatori tecnologici, start-up, artisti, musicisti, che presentano un più alto livello di sviluppo economico e potenzialità creativa. In questo senso, Richard L. Florida ipotizza che la “classe creativa” favorisca un ambiente urbano aperto, dinamico, personale e professionale. Questo ambiente, a sua volta, attira persone più creative, così come le imprese e il capitale, creando un “campo organizzativo” innovativo di stampo neo-istituzionale.

La persona creativa

L’immagine standard del “creativo” è quella dello scienziato e/o dell’artista.

A noi interessa individuare la disponibilità creativa dei soggetti nell’ambito aziendale. Spesso è un problema di personalità altre volte di competenze, altre ancora di contesti organizzativi che promuovono creatività degli attori e innovazione aziendale o viceversa la deprimono. Per quanto concerne la personalità creativa è collegata alla nozione di “capitale psicologico”, inteso come il patrimonio psicologico che caratterizza un individuo rispetto a un altro e che facilita l’espressione dei talenti che ognuno di noi possiede. Mentre in riferimento al “contesto organizzativo” creativo, le competenze dei soggetti variano dalla personalità alla autoefficacia, dalla determinazione alla resilienza, dai valori individuali alla motivazione, e dalla loro influenza sulla prestazione lavorativa e sulle caratteristiche del contesto necessarie alla loro ottimizzazione.

D’altronde la stessa teoria organizzativa (nel corso del ‘900) evolve dalla metafora dell’orologio, fondata sulla suddivisione dei compiti, ripetitività e regolarità delle attività, rispondendo a quel bisogno di precisione, generatore di affidabilità e di efficienza, che è a fondamento della concretezza dell’adempimento aziendale o istituzionale. In questo contesto la responsabilità è connessa al compito e la motivazione al compenso.

Altra cosa è l’organizzazione moderna o contemporanea, intesa come sistema vivente, basato sulla “combinazione”, l’unione di più corpi eterogenei che rifluiscono in un corpo omogeneo, flessibile, che interagisce con l’ambiente (esterno o interno), pronto a rispondere alle sollecitazioni verso il cambiamento, in grado di produrre idee, avere un’anima, che dia spazio alla creatività e, dunque, all’inventiva e allo spirito di iniziativa.

Ritornando al problema della personalità individuale, i tratti della creatività individuale intercettano diverse variabili.

Il tipo di motivazione che li spinge a creare, distinguendo persone creative versus persone non creative. La motivazione intrinseca o il piacere del compito stesso, contrapposta alla motivazione estrinseca, legata al riconoscimento sociale, una promozione al lavoro, uno stipendio più alto, la premialità aziendale.

Certo, “noi non siamo solo quello che siamo o che siamo stati finora, ma siamo anche e soprattutto quello che potenzialmente siamo”; ossia che potremmo essere, considerando che “la creatività potrebbe diventare un’abitudine”, una disciplina mentale non solo un lampo di genio. E alcune regole di comportamento psicologico individuale possono aiutare a ritrovare o scoprire il proprio lato creativo, riscoprendo sé stessi come creature creative; per esempio un maggiore ascolto di sé stessi (crescita creativa), oppure rompere con le routine (uscendo fuori dagli automatismi), o introducendo la varietà, visto che il cervello ha bisogno della varietà per creare delle interconnessioni improbabili e uniche, amplificando cosi questo database che è la nostra “conoscenza”.

Ma come è strutturata una personalità creativa? “Visto che le idee in sé non bastano per portare il successo alle persone”. Le differenze sono dovute a livello dei grandi tratti psicologici della personalità? O più semplicemente alle caratteristiche operative degli innovatori di successo? Se “cinque” è il numero perfetto (intendendo metaforicamente le dita della mano), valgono di più cinque caratteristiche dei soggetti e quale in particolare? una mentalità opportunistica, l’istruzione o la formazione, la proattività, una sana dose di prudenza o il capitale sociale? Oppure bisogna ricorrere al modello Big Five, i cinque grandi tratti che caratterizzano ogni singola personalità, i cinque fattori o dimensioni della personalità, collegate in misura maggiore o minore alla creatività?

Vediamo con attenzione come rispondere alla duplice domanda sulle origini soggettive della creatività, verificando successivamente le caratteristiche strutturali delle organizzazioni come facilitatori (e terminali) della creatività (ossia il contesto organizzativo).

Persona creativa: quale personalità e come tentare di accrescerla?

Per quanto concerne la teoria del Big Five, si tratta di cinque coppie di tratti della personalità che facilitano il pensiero creativo. La prima, Introversione- Estroversione, sembra orientare, nel secondo polo, emozionalità positiva e socialità. Mentre la scala Nevroticismo- Stabilità emotiva, indica che una eccessiva sensibilità affettiva, può portare alla produzione del pensiero creativo. Anche la scala Gradevolezza- Sgradevolezza mostra come più si è gradevoli, meno si è creativi (dovendo imparare a dire di no agli altri). Bisogna poi riconoscere che la Coscienziosità/Diligenza, come determinazione alla produttività, all’organizzazione, all’ordine, alla precisione, sembra sia controproducente per la creatività, in quanto quell’ordine ostacola la formazione delle nuove associazioni. Per ultimo viene selezionato il polo Apertura mentale- Chiusura mentale, con la prima (Openess to Experience) che si caratterizza per l’immaginazione (vs. la praticità), per la curiosità (vs. la routine), per il non tradizionale (vs. conformistico).

Ma ritorniamo alle cinque caratteristiche degli innovatori di successo riferite prima del modello Big Five.

Per esempio, cogliere l’”opportunità”, le lacune del mercato, cercando la varietà in tutti gli aspetti della vita. Ma anche la “formazione” a tutto tondo per notare nuove opportunità; contrariamente alla credenza popolare, gli innovatori di maggior successo non sono geni, ma “esperti” ben addestrati nel loro campo, in grado di cogliere la differenza tra rumori e segnali. Soprattutto, questi innovatori efficaci sono più motivati, resistenti ed energici rispetto alle loro controparti. Mentre la “prudenza” o il “rischio” sono direttamente proporzionati con il successo innovatore e/o alla formazione di imprese. C’è poi il “capitale sociale” cui attingono gli innovatori di successo, o meglio seriali, sempre in grado di utilizzare le loro connessioni e reti per mobilitare risorse e costruire solide alleanze (o reti), sia internamente che esternamente. Non geni individualistici dunque ma sempre il prodotto dei teams.

Secondo Frances Bowen c’è anche “un circolo vizioso dell’innovazione, per cui questa porta a prestazioni future superiori, ma tali investimenti possono anche dare origine a rigidità fondamentali e quindi meno innovazione in un periodo di tempo futuro”. In altre parole, l’innovazione porta alla crescita, ma la crescita ostacola l’innovazione … a meno che l’innovazione non sia veramente radicata nella cultura organizzativa, il che richiede una visione aziendale molto efficace e prospettica.

Non basta, dunque, che le persone abbiano queste cinque caratteristiche (opportunismo, formazione, proattività, prudenza e consapevolezza del capitale sociale) occorre anche una missione significativa o una chiara visione a lungo termine. Tutto questo ci riporta a un vecchio problema: il rapporto tra leadership e imprenditorialità, perché senza la prima non c’è innovazione, in quanto la sola creatività non è sufficiente per l’innovazione, in quanto le idee vanno sviluppate e guidata per evitare che rimangano latenti.

Ossia, la differenza chiave tra creatività e innovazione è l’”esecuzione” se come ha osservato William James, “la verità è qualcosa che accade a un’idea”, quel qualcosa appartiene alla mentalità imprenditoriale.

L’azienda creativa

Non c’è dubbio che il lavoro creativo è legato all’azienda creativa, il lavoro standardizzato alla organizzazione meccanica, le competenze e l’innovazione rispettivamente alle organizzazioni professionali o adhocratiche (innovative).

Prima domanda, abbiamo bisogno di creatività? La risposta è assolutamente affermativa. Il World Economic Forum (2018) predice che la creatività sarà una delle principali abilità richieste nel mondo del lavoro nei prossimi decenni. Ma come afferma H. Mintzberg, studioso di organizzazioni, già incontrato in questo libro, vedi la quinta sezione sui “guru del management”, il nostro modo di consumare inevitabilmente condiziona il nostro modo di produrre e di default i modelli di organizzazione del lavoro (schematicamente distinti in tayloristici o motivazionali). Sicuramente lo stilista, il pittore, il musicista o il fotografo, sono creature creative ma in realtà il problema vero per il management (e lo stesso lavoratore) è come applicare in qualsiasi nostro lavoro la creatività. D’altronde è sicuramente funzionale avere in azienda dipendenti capaci di andare oltre il pensiero che “abbiamo sempre fatto così”. Il pensiero creativo, infatti, significa guardare qualcosa in un modo nuovo. È la definizione stessa di “pensare fuori dagli schemi”. Le persone creative hanno la capacità di escogitare nuovi modi per svolgere compiti o risolvere problemi magari già noti. Offrono una nuova, e talvolta non convenzionale, prospettiva al loro lavoro. Ma, in concreto, cosa può fare l’azienda per rendere più creativo il proprio contesto lavorativo? Promuovere il problem solving e creare gruppi di lavoro, senz’altro, ma anche migliorare la fiducia in sé stessi e la motivazione delle persone. Anche se molti leader riconoscono e investono nella creatività, raramente la vediamo avere un posto credibile (se non declaratorio) nel processo di sviluppo aziendale. Anche se il digitale e in particolare il marketing, sono campi largamente battuti dalle aziende alla ricerca di creatività e innovazione. D’altronde come ribadiscono Raffaella Pederneschi e Marco Castiglioni, sulla più importante rivista di studi organizzativi italiani, innovazione e creatività si configurano come risorse strategiche per le organizzazioni, anche per quelle operanti nei business più “tradizionali”. Nello stesso articolo sopra anticipato, Creatività e Innovazione Organizzativa, gli autori riportano significative considerazioni sulla inventiva aziendale, sulla base di ricerche consolidate, ritenendo che la creatività sia una forma di intelligenza, radicalmente permeata dalla dimensione estetica, e che si manifesti come processo di apprendimento e di generazione del nuovo. Se tutti sono in grado di cogliere l’utile nell’analisi organizzativa pochi sono quelli in grado di raccogliere i frutti del bello (l’estetica). Spesso nelle organizzazioni si tende a separare queste due dimensioni, di norma a vantaggio di quella dell’utile. Esistono di per sé eccezioni come la moda e il design, settori in cui la “via italiana” all’innovazione gode di ampia visibilità internazionale, in cui “bello” e “utile” coincidono. Tuttavia, nel dibattito organizzativo tra estetica ed efficienza, il “bello” è talvolta percepito come un surplus sempre riconducibile a criteri di utilità pragmatica. Nelle organizzazioni e tra le organizzazioni c’è sempre la dicotomia tra una forma di pensiero divergente accanto al già noto pensiero convergente, distinguendo una sequenza analitica logico-lineare (regole predefinite) distinta dal flusso di pensiero che pone in luce elementi nuovi e diversi rispetto ai dati di partenza, affermando il criterio dell’utile opposto a quello del bello, fondamentale per generare e riconoscere il “nuovo”. Il percorso ci porta alla nozione di “intelligenza estetica” che si affianca o oppone alla intelligenza logico-razionale. Il metodo di ricerca creativa è la traduzione sistematica di un processo spontaneo, proprio di ogni essere umano, in cui sono ravvisabili quattro fasi.

Preparazione: attivazione di una ricerca, in cui si raccolgono informazioni attinenti al problema con una particolare attenzione ai “segnali deboli”.

Incubazione: affidando l’elaborazione a processi divergenti ed inconsapevoli, produzione di materiale creativo, selezione dell’inconscio, secondo criteri di natura estetica.

Illuminazione: il “sorgere dell’idea”, sintesi dell’incontro tra processi inconsapevoli e processi consapevoli.

Verifica e realizzazione: l’idea è sottoposta al vaglio della razionalità, elaborata e perfezionata, passando dal pensiero divergente a quello convergente (processi logico-analitici); l’idea è dapprima trasformata in un progetto e successivamente in una sequenza organizzata di azioni concrete atte a realizzarla, generando innovazione.

La creatività del dirigente aziendale

In questo caso si parla di Creative Director, Art Director, Chief Creative Officer.

Il Direttore Creativo stabilisce l’identità visiva di un’azienda. Esperto in tutte le fasi del processo creativo, agisce nei Dipartimenti Marketing, Comunicazione, Pubblicità e Vendite e collabora con i team operativi creativi nell’ambito della produzione. I settori deputati sono Moda, Media o Intrattenimento e le principali attività consistono nello stabilire la filosofia creativa della società; supervisionare, istruire e motivare il team di lavoro creativo; collaborare con i reparti Vendite, Marketing e Pubblicità per interpretare la visione del cliente e trasformarla in un prodotto reale per il consumo. Ma oltre queste capacità i dirigenti creativi hanno, anche, per lo meno tre competenze uniche: creatività e senso artistico, eccezionali capacità interpersonali, comunicative e di leadership, ottime capacità organizzative e di appropriata gestione del tempo.

È un problema principalmente di leadership di successo, che ai nostri giorni, si fonda sulla capacità di ogni individuo di guidare in maniera proattiva il cambiamento, in breve sull’essere creativi “in anticipo”.

Leadership, creatività e cambiamento, dunque; uno degli assunti fondamentali è che essendo i leader parte attiva del cambiamento, la creatività è una competenza chiave della leadership. Ma il problema è anche quello di far emergere il leader che c’è in ciascuno di noi, per liberarlo in una prospettiva quasi visionaria, in cui l’immaginazione può facilitare lo sviluppo delle potenzialità e dei progetti per orientare (anche) gli altri verso un cambiamento creativo condiviso.

Senz’altro Internet ha determinato l’esplosione di nuove forme di vita organizzativa, ciò induce le imprese a rivedere politiche e prassi di comunicazione, formazione, gestione interna e relazione con il territorio e con gli stakeholders in esso presenti. Per cui la “social organization” è un nuovo modo di fare impresa, che consente ad un vasto numero di persone di lavorare collettivamente, valorizzando le singole doti di competenza, talento, creatività, energia.

Come affermato da Pablo Picasso “ogni bambino è un artista. Il problema è come rimanere un artista una volta che cresciamo”. Nel mondo aziendale il compito del management di domani è far uscire il lavoro dalla gerarchia e dall’alienazione, e trasformare l’attività quotidiana in una forma d’arte in cui ognuno è libero di esercitare la sua creatività. L’eterno problema dei modelli di organizzazione del lavoro tradizionali, basati su performance e ottimizzazione, è la vulnerabilità psicologica dei dipendenti, l’economicismo spinto della relazione sociale, la strumentalità del rapporto aziendale. Nel nuovo modo di vedere le cose, proprio come un artista, un’azienda cerca di inventare nuovi modelli di OL, e di aprire nuovi orizzonti di ricerca, nuovi prodotti, inventando nuovi usi e consumi e più attuali e corrispondenti modelli di produzione. Il lavoro in futuro sarà radicalmente diverso da quello di oggi. Senza necessariamente sostituire gli esseri umani, i robot saranno orientati a svolgere i compiti meccanici più ripetitivi, lasciando il lato creativo agli imprenditori (e lavoratori) di domani. Certo l’obiettivo della creatività aziendale spesso contrasta con le ragioni di business, ma arte e impresa hanno molto da dirsi; il lavoro industriale nasce come mestiere e la stessa organizzazione può essere concepita come un’opera d’arte; quando coinvolge il personale attraverso esercizi di squadra e workshop e progetta tramite il Thinking Design (DT), che è centrato sulla persona, e sulla sua capacità di sviluppare un pensiero innovativo, sia come soggetto ideatore o leader creativo, che stabilisce la filosofia innovativa della società, gli obiettivi e le strategie, anche come destinatario del progetto (futuro consumatore). Ma la creatività non può prescindere da alcune precondizioni e finalità. Se il raggio d’azione della creatività coinvolge prodotti, servizi e processi, è necessario che alla fine produca un outcome non solo nuovo, ma che abbia anche una qualche implicazione concreta a livello di miglioramento di una situazione pregressa o di soluzione a un problema. Dunque la novità non può viaggiare senza l’utilità anche se spesso l’utile dell’inutile lo scopriamo solo dopo. L’obiettivo è la costruzione di un ecosistema creativo a partire dalla dimensione relazionale e contesto territoriale di riferimento (aspetti culturali, cognitivi, identitari e materiali).

Tecniche del pensiero creativo

Le imprese devono essere i principali esponenti dell’innovazione; è per questo che l’arte ha ancora molto da insegnare loro in termini di comunicazione e immaginazione, realizzando un universo veramente artistico, estetico e visivo intorno all’immagine di marca.

In un momento di grandi cambiamenti ed incertezze come quello che stiamo attraversando, la creatività è una competenza necessaria per affrontare le sfide lavorative che abbiamo davanti. Non parliamo di una moda quindi, ma di una necessità! Pensare creativo presuppone flessibilità, capacità di adattarsi all’ambiente in cui viviamo e lavoriamo, scovare nuovi metodi per non rimanere incastrati nei problemi e (anzi) uscirne vincitori.

Dunque, pensiero creativo e problem solving sono le skill del futuro.

Ora, bisogna considerare alcune pre-condizioni del pensiero creativo: in primo luogo, il creativo non inventa niente, perché le idee non nascono dal nulla, secondo il principio che un abile artigiano “mette insieme i pezzi più disparati che ha in magazzino”; ma anche la solitudine è potenzialmente creativa, sconfessando la radicata convinzione che la creatività ha bisogno di confronto, perché anche il pensiero creativo ha bisogno, molto spesso, di “silenzio”. Cosi come, sognare ad occhi aperti fa bene alla creatività: “la testa fra le nuvole, è molto importante per stimolare la mente ad essere più flessibile e visionaria”. E se il disordine, nella maggioranza dei casi, è una qualità positiva che influenza il pensiero creativo, bisogna porre dei limiti alla dissoluzione, perché è comunque necessario fissare un obiettivo con precisione e delimitarne il campo di azione.

Ma la creatività è anche un concetto polisemantico

Riguarda, infatti, la dimensione estetica, etica, esecutiva; il prodotto e i processi; il pensiero complesso, divergente e laterale; il rapporto tra risultato creativo e risorse utilizzate. Ma c’è anche un lato oscuro della creatività, perché a volte il pensiero creativo aiuta le persone a sviluppare idee originali, mettendo da parte o trascurando le regole morali. Ad esempio, ci siamo mai chiesti se ci sono zone d’ombra nei processi lavorativi a monte delle idee geniali? A questo proposito riporto una recentissima denuncia di una associazione no-profit americana l’International Rights Advocates che ha accusato, per conto di quattordici famiglie della Repubblica democratica del Congo, i big del Tech di essere complici della morte e delle gravi lesioni di bambini che, stando ai documenti portati a supporto dell’iniziativa legislativa, lavoravano nelle miniere di cobalto. Il cobalto è un elemento chimico usato in molte leghe impiegate nel campo tecnologico, e in particolare è essenziale per alimentare le batterie al litio ricaricabili, che si trovano nella stragrande maggioranza dei prodotti venduti da queste aziende (Apple, Google, Dell, Microsoft e Tesla). Il problema, come evidente, è il controllo della catena di fornitura di questi minerali non sempre possibile o non sempre efficace e voluto. La Apple, in particolare, ha emesso, a tal proposito, un comunicato replica secondo cui “Apple è profondamente impegnata nell’approvvigionamento responsabile dei materiali che entrano nei nostri prodotti”; mentre, nello stesso documento, si afferma che l’azienda è dal 2014 impegnata a mappare la propria filiera del cobalto fino alle miniere. Con il risultato che “nel 2019 abbiamo rimosso 6 raffinerie di cobalto “.

Parlare della Apple è parlare della storia di Steve Job, di cui si parla in qualsiasi ambito legato all’innovazione e creatività, che in un celebre discorso tenuto durante la consegna delle lauree all’Università di Stanford nel 2005, utilizzò la potente metafora “unire e dare una forma a tutti i puntini che abbiamo raccolto nella nostra vita”, in quanto “le idee creative, le soluzioni di un problema, i prodotti innovativi, spesso nascono sia dando un ordine nuovo agli elementi che hai raccolto, sia valutandoli da un punto di vista differente o più semplicemente aggiungere un nuovo elemento, esterno al problema e del tutto imprevisto”.

Ritornando alla metafora di Steve Job è significativo che egli pensasse al futuro guardando al passato, ossia che non è possibile unire i puntini guardando avanti, potete solo unirli guardandovi all’indietro”.

Impara bene le regole, così potrai romperle in modo efficace.

Dalai Lama XIV (maestro spirituale)

 

Antonio D’Antonio, La musica del Management, ad est dell’equatore, giugno 2022.