Tutte le arti aspirano costantemente alla condizione della musica
Walter Pater
In principio era l’arte poi il lavoro astratto oggi la tecnologia e forse domani il lavoro creativo.
Certo, arte e imprese possiamo considerarle anche una strana coppia, due mondi separati e contrapposti o quanto meno paralleli. In molti casi con il primo (l’arte) che risarcisce il senso perduto dai soggetti nel secondo (l’impresa); ma c’è chi crede in una convergenza storica, dovuta al clima di incertezza che coinvolge tutti noi e la stessa impresa che dovrebbe (o potrebbe) rifondarsi attraverso i contributi artistici. Una specie di “pensiero laterale” in grado di rilanciare la sua strategia, attraverso la sua creatività, le emozioni e la “narrazione”, come nuove leve o competenze aziendali.
Come non citare, a questo proposito, l’esperienza storica legata al nome di Adriano Olivetti e al suo tentativo di fondare un Umanesimo Aziendale. Lo stesso Adriano Olivetti si domandava (retoricamente) “Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica, giusto?”. E a Torino, nel 1911, quando all’Esposizione Universale avviene il debutto dell’impresa di Camillo Olivetti, padre di Adriano, nel momento in cui si presenta al pubblico la M1, prima macchina da scrivere italiana, non è sicuramente casuale la scelta del testimonial del primo manifesto pubblicitario: Dante Alighieri, raffigurato nella locandina mentre indica orgogliosamente l’innovativo prodotto (e la sua funzione).
Ma se è chiaro ciò che l’arte può trasferire all’impresa meno chiaro è ciò che le imprese possono cedere al mondo dell’arte, che non sia aziendalizzazione e messa a valore (benché sociale) del management artistico.
Ma ritorniamo a ciò che l’arte può insegnare all’impresa e al suo management, soprattutto nella dimensione di “crisi”.
In qualche modo l’arte è sempre capace di “uscire dalla storia”, dalla narrazione prevalente, dalla linearità, attraversando liberamente la nostra realtà storica. Ma non è compito dell’impresa apprendere, trasmettere e innovare ogni giorno? Occorre forse a questo proposito, che la creatività divenga una competenza aziendale non limitata al “gruppo dei creativi”, spesso presente in ogni organizzazione (si pensi al “team dei prescelti”); ma una qualità diffusa, cui orientare, educare e formare, e in grado di essere gestita operativamente dal management, per realizzare, aumentare e mantenere il business d’impresa.
Ma come legare le due cose: l’arte e l’impresa? Come trasferire i valori dell’arte nella progettazione e direzione aziendale (ossia, nelle decisioni dei manager)?
La risposta è: politiche creative basate sulla “inventiva intesa come competenza”.
Ma qui il discorso si complica, per lo meno a due livelli: livello alto (management) dove la creatività non è ancora considerata una competenza chiave, e livello basso (nucleo operativo) con modelli teorici organizzativi prevalentemente “funzionali” (secondo la metafora della macchina) che dovrebbero essere sostituiti da uno spazio di relazioni ed esperienza conoscitiva (secondo la metafora del cervello o del collage). Una via d’uscita dal mainstream tecnico-razionale è “rompere e trasgredire l’ordine esistente” (come presupposto del càos), “aprirsi allo sconosciuto” per confrontarsi con l’incertezza (nuova complessità) e “creare mondi” (nuove forme di armonia secondo la metafora del “cosmo”). Ma questo è possibile solo nei settori avanzati, innovativi, digitalizzati, basati sui “servizi alle persone” e non nelle tradizionali burocrazie amministrative; mentre nell’ambito del lavoro manifatturiero l’unica salvezza è, pur sempre, la tecnologia che libera l’uomo dai lavori gravosi e ripetitivi, permettendogli di entrare, entro certi limiti, in questo nuovo “campo organizzativo” (la soggettività della conoscenza).
Certo il panorama imprenditoriale del XXI secolo è basato su di una cultura della produzione “sempre on”. 24 ore su 24, 7 giorni su 7, pertanto i manager e i leader non possono che imparare a gestire il càos e abbracciare la nuova complessità, oramai parte integrante della loro vita. L’unica costante è il cambiamento e l’unica certezza è l’incertezza oltre alla imprevedibilità del futuro. Di fatto, al giorno d’oggi, l’economia globalizzata e gli sviluppi organizzativi sono “un paradosso da abitare e da attraversare”, nell’ambito della managerializzazione dell’economia. Nel tempo, sul piano delle metafore il progetto della Torre di Pisa potrebbe corrispondere all’ordine, agli sviluppi classici della teoria e del management, continuamente adattato all’ambiente, alla storia e alle circostanze storiche del suo declino. Mentre la Torre di Babele è il càos, il progetto che è fallito, il tentativo di dover gestire le molteplici e spesso irriducibili differenze tra famiglie di professionisti, culture, modi di pensare e specifiche competenze. Insomma, difficile immaginare di “gettare ponti tra terra e cielo”. Rimane la “navigazione a vista” per affrontare la nuova complessità odierna, tensioni e dilemmi a tutt’oggi presenti e sfidanti. Per esempio, la misurazione scientifica del lavoro è ancora una realtà anche se negli ultimi decenni si sono affermati i controlli Evidence –based dei processi. Ma le contraddizioni sono sempre più evidenti, per esempio, sulla gestione del “fattore umano”; sollevando le note domande: motivazione e informalità o manipolazione del “clima” organizzativo sono una forma di controllo più sottile (mascherata) del comportamento dei dipendenti? Bisogna applicare razionalità e linearità nelle pratiche manageriali o intraprendere percorsi incerti, piuttosto frammentati, in rapporto alla unicità e molteplicità di ambiti e situazioni? Infine, occorre privilegiare solo gli azionisti o tutti i portatori di interessi?
Ritorniamo alla creatività e alla sua declinazione aziendale.
La creatività del dirigente aziendale.
In questo caso si parla di Creative Director, Art Director, Chief Creative Officer. Il Direttore Creativo stabilisce l’identità visiva di un’azienda. Esperto in tutte le fasi del processo creativo, agisce nei Dipartimenti Marketing, Comunicazione, Pubblicità e Vendite e collabora con i team operativi creativi nell’ambito della produzione. I settori deputati sono Moda, Media o Intrattenimento e le principali attività consistono nello stabilire la filosofia creativa della società; supervisionare, istruire e motivare il team di lavoro creativo; collaborare con i reparti Vendite, Marketing e Pubblicità per interpretare la visione del cliente e trasformarla in un prodotto reale per il consumo. Ma oltre queste capacità i dirigenti creativi hanno, anche, per lo meno tre competenze uniche: creatività e senso artistico, eccezionali capacità interpersonali, comunicative e di leadership, ottime capacità organizzative e di appropriata gestione del tempo.
Ma la creatività è anche un concetto polisemantico.
Riguarda, infatti, la dimensione estetica, etica, esecutiva; il prodotto e i processi; il pensiero complesso, divergente e laterale; il rapporto tra risultato creativo e risorse utilizzate. D’altronde I settori creativi sono quelli in cui da una parte i clienti acquistano prodotti o servizi per il loro contenuto di immaginazione e, dall’altra, le organizzazioni che offrono questi prodotti o servizi agiscono in maniera tale per cui l’innovazione e l’inventiva siano il fattore competitivo fondamentale.
L’azienda creativa.
Non c’è dubbio che il lavoro creativo è legato all’azienda creativa, il lavoro standardizzato alla organizzazione meccanica, le competenze e l’innovazione rispettivamente alle organizzazioni professionali o adhocratiche (e innovative). Ma che cosa ci insegna, ancora, l’arte sul piano delle competenze? Non so se la personalità del lavoratore, moderno polimath, corrisponda ad un nuovo Rinascimento, segnato dall’ingresso delle arti umanistiche nelle più tradizionali competenze STEM (che diventano STEAM); quello che è certo è che il lavoratore diventa creatore e propagatore di idee, e aziende (anche in Italia) come Ferrari, Lamborghini, Ducati, Luxottica e tante altre sono titolari di una tradizione che coniuga arte, artigianato e tecnologia. Per cui il futuro del lavoro e del management “disegna il ritratto dell’ideatore che abbatte le barriere disciplinari, generando così tensioni creative, conversa per espandere la conoscenza e fa leva sulle idee adiacenti alle sue per innescare innovativi processi imprenditoriali”.
Se abbiamo acquisito qualche tratto dell’organizzazione del futuro (conoscenza, rete, istituzionalizzazione, azioni esperenziali o contaminazioni interdisciplinari), ci è ancora, largamente, ignoto il passaggio dal “càos” al “cosmo”, attraverso il disordine e la gestione della complessità per un nuovo (e temporaneo) ordine (equilibrio). Purtroppo, come detto, la “crisi” sistemica attuale ancora non trova alcuna strategia di cambiamento paradigmatico capace di superare i criteri di competitività economica e finanziari che sono divenuti lo strumento primario per “cronicizzare” i gravi squilibri sociali che stanno conducendo al collasso il vecchio ed ormai obsoleto sistema di produzione industriale. Ma anche in questo campo qualcosa si muove. In primo luogo al collasso irreversibile ecologico e sociale, si può opporre lo sviluppo strategico della “conoscenza condivisa”, basata sulla bio-economia o KBBE (Knowledge Based Bio-Economy), dove l’innovazione tecnologica avvenga in un nuovo contesto creativo finalizzato allo sviluppo trans-disciplinare tra scienza, arte ed umanesimo; che traghetti lo sviluppo da un paradigma “meccanicistico” versus modelli concettuali, dinamici e relazionali, che perseguano criteri di crescita “qualitativa anziché quantitativa”, e che pertanto non saranno più pensabili come “progresso illimitato”. L’obiettivo sembra essere, dunque, realizzare una innovazione sostenibile della futura società della conoscenza. Occorre però accettare il disordine come condizione del nuovo ordine per comprendere il passaggio dal “càos” al “cosmo”.
La persona creativa.
L’immagine standard del “creativo” è quella dello scienziato e/o dell’artista. A noi interessa individuare la disponibilità creativa dei soggetti nell’ambito aziendale. Spesso è un problema di personalità altre volte di competenze, altre ancora di contesti organizzativi che promuovono creatività degli attori e innovazione aziendale o viceversa la deprimono. Per quanto concerne la personalità creativa è collegata alla nozione di “capitale psicologico”, inteso come il patrimonio psicologico che caratterizza un individuo rispetto a un altro e che facilita l’espressione dei talenti che ognuno di noi possiede. Mentre in riferimento al “contesto organizzativo” creativo, le competenze dei soggetti variano dalla personalità alla autoefficacia, dalla determinazione alla resilienza, dai valori individuali alla motivazione, e dalla loro influenza sulla prestazione lavorativa e sulle caratteristiche del contesto necessarie alla loro ottimizzazione.
Alla fine, sarà l’arte, la fusione delle visioni tecniche, culturali e creative delle organizzazioni, sempre in affanno sul piano del controllo, identità e crescita degli attori.
Se il futuro del lavoro è il futuro della persona e della nostra società, ci salveranno l’arte e la bellezza?
L’articolo è un estratto dall’epilogo del mio ultimo libro “La musica del management” ad est dell’equatore 2022.