La sconfitta dell’ideologia è così potente da poterla definire una disfatta.

Eppure nessuno può affermare “Io non sono ideologico”. L’ideologia “si respira”.

Quando non aderisci volontariamente o razionalmente ad un’ideologia vi aderisci involontariamente. E, per paradosso apparente, l’ideologia esiste negando di essere tale.

Trova la sua identità nel negare la propria esistenze e nell’attribuire l’ideologismo a tutte le altre “rappresentazioni di valori”, in particolare quelle antagoniste.

Ormai sono decenni che la sinistra occidentale si autocondanna accusando il proprio retaggio culturale e politico di ideologismo.

Aprendo la strada alla vittoria ideologica e politica della destra.

 

Costituire” gli individui in soggetti

Louis Althusser, il filosofo marxista francese, una cinquantina di anni fa, nel 1969, sosteneva due tesi fondamentali:

1. «L’ideologia è una “rappresentazione” del rapporto immaginario degli individui con le proprie condizioni reali di esistenza»;

2. «ogni ideologia ha per funzione quella di “costituire” gli individui in soggetti».

Costituire i singoli individui in un soggetto collettivo politico e culturale. Ti pare poco!

La messa al bando dell’ideologia (di sinistra) da parte dell’ideologia (di destra) ha permesso, ad esempio, che le denunce contro la disuguaglianza (tutti sappiamo che dieci persone al mondo possiedono un patrimonio superiore a quello di metà della popolazione mondiale) si vivano come scontate, inevitabili; nell’ “ordine delle cose”.

Le disuguaglianze si percepiscono come un fenomeno ormai naturale (come le inondazioni o gli uragani) trasformato da contingenza a ineluttabilità.

Visto, dunque, che i dominanti (attuali) negli ultimi settant’anni hanno imparato dai dominati, ribaltando il ruolo dei dominanti di allora (la sinistra degli anni Sessanta) in dominati, rigiriamo le lancette dell’orologio e impariamo da chi imitando ha sconfitto il modello imitato.

 

 

L’ideologia neoliberista

La destra conservatrice ci ha mostrato con chiarezza il terreno dello scontro: l’ideologia, il fisco, la giustizia, l’istruzione, il debito.

I miliardari conservatori del Midwest (gli Olin, i Mellon Scaife, i Bradley, i Coors, gli Smith Richardson, i Koch), e le loro fondazioni, campioni della diffusione dell’ideologia neoliberista, ci hanno resi consapevoli del ruolo decisivo dell’ideologia e che il primo obiettivo è restituire allo scontro ideologico la sua dignità e centralità.

Probabilmente ha ragione Friedrich von Hayek (1949) quando sosteneva che nel periodo in cui erano egemoni i partiti della sinistra «hanno sempre diretto i loro sforzi ad acquisire l’appoggio dell’élite degli intellettuali».

Per “intellettuali” von Hayek intende i “rivenditori di seconda mano (secondhand dealers in ideas) quindi giornalisti, insegnanti, sacerdoti, conferenzieri, pubblicitari, commentatori radio (siamo nel 1949), narratori, disegnatori di cartoni animati, artisti e tutti coloro che padroneggiano l’arte di trasmettere idee ma sono dilettanti sui contenuti che trasmettono.

Ed è così che la sinistra, che all’epoca di von Hayek era elettoralmente sovrarappresentata tra gli strati a infimo reddito, a capitale quasi nullo e a bassissima istruzione; in settant’anni è cambiata al punto da essere sovrarappresentata tra gli strati della popolazione ad alta istruzione, reddito medio alto (patrimonio sempre basso) e sottorappresentata tra i ceti a reddito esiguo e bassa istruzione.

 

 Sinistra bramina

Per dirla con Piketty: sinistra bramina e destra mercante.

Ma il paradosso determinato dalla vittoria dell’ideologia di destra è che mentre gli intellettuali sono ritenuti importanti dai mercanti (come dimostrano i capitali enormi spesi dalle fondazioni conservatrici dei miliardari), gli intellettuali della sinistra subiscono una attrazione fatale per il denaro dei mercanti.

Come spiega Marco D’Eramo in “Dominio” la faccenda è confusa dal fatto che gli intellettuali di oggi, tutti sostanzialmente conservatori e conformisti (nel senso di voler essere conformi) al neoliberismo, si sentono di sinistra proprio come effetto della controrivoluzione ideologica neolib che, cancellando le categorie di “lavoro” e di “sfruttamento”, hanno fatto sparire le linee di conflitto immergendoci tutti in una sorta di marmellata sociale.

 

Non stiamo tutti dalla stessa parte

Ma il ruolo dell’ideologia, spiegava il generale Petraeus nel manuale ufficiale statunitense di controguerriglia, “The U.S. Army Marine    Corps Counterinsurgency Field Manual” (2007), è indispensabile proprio per ricreare la distinzione del chi sta con chi, chi sta contro chi; nel creare la dicotomia noi / loro; nel ricordarci che non stiamo tutti dalla stessa parte, che alcuni sono nostri avversari e noi siamo avversari di altri.

Che la pace sociale nasce dall’equilibrio del conflitto ideologico (nel caso del generale Petraeus dalla scomparsa dell’ideologia avversaria).

 

Che disuguaglianze, cambiamento climatico, conflitti imperiali geopolitici sono il risultato di un sistema organizzativo che è dettato dall’ideologia neoliberista.

 

La “lotta contro l’eufemismo”

Il primo passo per rilegittimare i “tumulti”, come li avrebbe chiamati Machiavelli, è la “lotta contro l’eufemismo”.

Per il Dizionario della Treccani l’eufemismo è “in linguistica, figura retorica che consiste nel sostituire, per scrupolo morale, per riguardi sociali o altro, l’espressione propria e usuale con altra di significato attenuato (ad esempio andarsene per morire).

Ma l’eufemismo è sbagliato vederlo solo come ipocrisia.

E’ tecnologia di potere, tecnica di comando.

«Può dire quel che dice solo in una forma che tende a mostrare che non lo dice». Una denegazione.

Come denegazione è la sintassi di dominio in cui il potere può essere esercitato solo mostrando che non viene esercitato.

 

Le neolingue

Ci ricordiamo di quel genio dispotico che fu George Orwell quando nel romanzo 1984 inventò la neolingua in cui il ministero della guerra era definito Ministero della pace; il ministero della repressione, Ministero dell’amore, quello della manipolazione delle notizie e della disinformazione Ministero della verità.

Orwell così riassunse lo scopo del linguaggio politico «è pensato per far suonare vere le menzogne e rispettabile l’assassino».

Ci ritornano in mente espressioni come “missione umanitaria” in Serbia, “operazione speciale” in Ucraina, o gli ossimori come le “guerre umanitarie” che uccidono per filantropia; o “l’invio delle armi per ottenere la pace”.

O il non uso della parola “Impero” per definire il ruolo geopolitico degli Stati Uniti d’America. Un Impero che rifiuta di chiamarsi così, pur avendo basi militari in tutto il globo, ricevere i tributi di vassallaggio attraverso l’acquisto di buoni del tesoro (federal bonds) che non verranno mai restituiti.

O, per tornare nei nostri confini, la parola “Riforma”. Originariamente una Riforma aveva l’obiettiva di far star meglio le persone, oggi è una minaccia.

Tutto diventa una marmellata sociale e semantica.

Il cittadino che sente parlare di “riforma delle pensioni” capisce che da vecchio rimarrà in mutande; “riforma della sanità” che diminuiranno le prestazioni sanitarie e morirà senza essere curati; “riforma del welfare” che si ridurranno le protezioni sociali.

Ed è così che in Occidente “pluralista” è una società in cui tutti hanno la stessa opinione, “libero mercato” c’è quando l’economia (e le scelte politiche che la favoriscono) sono decise da un cartello di multinazionali.