E’ qualche anno che i francesi scendono in piazza a protestare. Prima i gilet gialli, ora i movimenti di piazza spontanei contro la riforma delle pensioni. I francesi, si sa, sono giacobini per natura. Non a caso sono stati gli artefici di una delle uniche due rivoluzioni che hanno lasciato il segno nella storia europea, quella francese del 1789 e quella russa del 1917. Ma mentre quella francese portò ad una vera rivoluzione (si trasformò un regno in una repubblica e si scolpirono nelle menti, negli animi e nei cuori dei francesi i principi fondanti della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità), nel caso di quella russa si sostituì il regime degli zar con un altro regime che, purtroppo per i russi, al di là delle diverse nomenclature sostituitesi nel tempo, Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, Unione Sovietica, URSS, Repubblica Russa, nei fatti perdura ancora oggi, segno che la rivoluzione non ha permeato l’establishment russo che è rimasto sempre elitario, accentrato e accentratore ed ha gestito sempre la società con autoritarismo. Il popolo russo non ha ancora trovato in sé la forza di esprimere un regime istituzionale trasparente e realmente democratico.
Ma tornando ai moti francesi, sempre anticipatori in Europa di sentimenti e bisogni poi diventati comuni a tutti i popoli europei meritano un approfondimento attento e puntuale.
Cosa ci stanno dicendo i francesi con le proteste che da qualche anno stanno facendo? Cosa esprimono queste proteste? Al momento in Europa, come spesso è accaduto, gli altri Paesi stanno a guardare ritenendo il problema un fatto interno alla nazione ed al governo Francese. E’ accaduto anche con l’Italia a proposito del fenomeno dell’immigrazione, gli altri Paesi hanno sempre ritenuto che fosse un problema interno Italiano e solo ora dopo molti anni si stanno sensibilizzando le coscienze politiche e, con mille difficoltà, si cerca di affrontarlo a livello europeo.
I moti francesi sono ben più di un fatto interno. Che poi siano strumentalizzati dal governo piuttosto che dalle opposizioni è ovvio ma fa parte della normale dialettica o scontro tra le varie forze politiche in campo, ma non è questo il problema. I francesi ci stanno lanciando dei segnali forti e chiari e sarebbe ottuso non coglierlo.
I francesi si stanno di fatto ribellando allo smantellamento dello stato sociale ed allo smantellamento del tenore di vita acquisito dalla classe media ed operaia a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. Mai come ora c’è stato in Europa un arretramento così forte del potere di acquisto delle famiglie e delle prospettive economiche e sociali. E’ la prima volta nella storia moderna che le nuove generazioni hanno una prospettiva di benessere economico e sociale peggiore della generazione che li ha preceduti. I recenti aumenti dei costi dell’energia, piuttosto che le riforme pensionistiche sono solo le ultime gocce che rischiano di far traboccare il vaso della pace e della conquistata serenità europea.
Sono infatti molti anni che per motivi di varia natura, modulati con tempi diversi a seconda delle condizioni delle finanze pubbliche dei vari Paesi europei si sta smantellando quello che una volta veniva chiamato lo Stato Sociale, base e cemento della nostra comunità, una volta invidiata da tutti gli Stati in ogni continente. Ciò che ha fatto dell’Europa il continente nel quale si viveva meglio di ogni altro posto al mondo. Ma nel corso degli anni, via via i fondamenti dello Stato Sociale, del cosiddetto Welfare State in nome di non so che cosa (tornerò su questo punto) sono stati sgretolati. Se per un attimo ci concentriamo sul nostro Paese e volgiamo lo sguardo ai pilastri dello Stato Sociale – istruzione, salute e previdenza – rileviamo come:
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Istruzione: i nostri docenti hanno una remunerazione molto bassa in relazione alla funzione che svolgono, le nostre scuole versano in uno stato spesso fatiscente, le classi sono troppo numerose, le ore di lezione annua a causa di assenze, scioperi, manifestazioni, malattie dei professori, sono insufficienti a garantire il corretto svolgimento dei programmi, la sicurezza nelle scuole dei nostri bambini e ragazzi spesso lascia a desiderare con la conseguenza che se una famiglia vuole stare tranquilla e garantire una istruzione adeguata ai propri figli è costretta a mandarli in una scuola privata ed a sostenerne il relativo costo che è piuttosto oneroso e quindi non alla portata di tutti.
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Salute: in questo momento ci troviamo nella peggiore condizione dal dopoguerra. Per fare una visita specialistica, una ecografia, piuttosto che una tac nel Servizio Sanitario Nazionale ci sono liste d’attesa che arrivano anche ad un anno con la conseguenza che chi ha bisogno o non si cura o se si vuole curare deve pagare una struttura o un professionista privato, e non tutti possono permetterselo.
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Previdenza: nel nostro Paese quando ci furono i vari provvedimenti di variazione delle pensioni (solo per ricordare gli ultimi, i provvedimenti del governo Dini che introdusse il calcolo contributivo, e i provvedimenti del Governo Monti noti con il nome di riforma Fornero che ha portato da 62 a 67 l’età anagrafica per poter accedere alla pensione di anzianità) nessuna forza politica, nessun sindacato e nessun cittadino è sceso in piazza per protestare (siamo più saggi dei francesi o più stupidi?). Su questo tema occorre precisare due cose: la prima è che non c’è mai stata una vera riforma del sistema previdenziale, perché in Italia le riforme non si riescono a fare, ma piuttosto singoli provvedimenti che ne hanno, questo sì, fortemente cambiato la sostanza. La conseguenza di questi provvedimenti è che ad oggi per poter accedere alla pensione di anzianità occorre avere 67 anni di età anagrafica o 42 anni e 10 mesi di versamenti contributivi e che per effetto del diverso calcolo introdotto dal governo Dini nel 1995 (calcolo contributivo ) chi ha iniziato a lavorare dal 1/1/1996 quando andrà in pensione (orientativamente intorno al 2039) si vedrà liquidare una pensione che dalle stime statistiche effettuate coprirà tra il 50% ed il 60% dello stipendio. Quindi una persona che percepisce uno stipendio di 1.500,00 euro mensili (stipendio medio della stragrande maggioranza degli italiani) percepirà dopo 42 anni e 10 mesi di lavoro tra 750,00 e 900,00 euro di pensione. In altri termini stiamo costruendo una nuova generazione di indigenti.
Negli altri Paesi europei questi pilastri sono declinati in maniera diversa, in alcuni permane una sufficiente copertura ed un miglior funzionamento, in altri meno, ma lo smantellamento c’è. Il Welfare State non esiste più. Il continente dove si viveva meglio al mondo si sta sfaldando. E i francesi ce lo stanno dicendo.
Ci sono volute due guerre mondiali per raggiungere un equilibrio in Europa, per svilupparci in una società libera, autenticamente democratica e per far crescere in un benessere non sfrenato la nostra comunità.
Ma se le nuove generazioni hanno la prospettiva di andare in pensione tra i 67 ed i 72 anni, con una pensione che varrà tra il 50% ed il 60% del loro stipendio, se vorranno curarsi dovranno pagare, se potranno, strutture e professionisti privati, e se vorranno garantire ai propri figli una istruzione adeguata dovranno mandarli in scuole ed università private, oppure all’estero, nonché molti se vorranno trovare lavoro saranno costretti ad emigrare, ebbene tutto ciò non mi sembra un progresso, un’evoluzione positiva della nostra società ma piuttosto una fortissima involuzione ed un fortissimo impoverimento.
Si dice che i tempi sono cambiati, la vita media è aumentata ed occorre adeguare il nostro sistema di welfare alla nuova realtà.
Tale considerazione è corretta, non vi è dubbio, come anche quella che il sistema di welfare deve essere sostenibile. Vera e corretta anche questa affermazione. Ma qui entra in gioco la politica, perché sui concetti di adeguamento e sostenibilità sono tutti d’accordo, ma gli stessi possono essere perseguiti attraverso strade e scelte politiche molto diverse.
In Europa si è scelta la strada squisitamente finanziaria, sia nell’ istruzione, sia nella sanità, sia nella previdenza. Ma a tagliare i costi sic et sempliciter sono capaci tutti. Non c è neanche bisogno di scomodare parlamentari, governi e ministri della Repubblica. Sarebbe bastato il ragioniere generale dello stato.
I nostri rappresentanti politici sono chiamati a difendere i bisogni di chi la votati e a fare delle scelte nell’ interesse di chi li ha votati e gli paga lo stipendio. E questo vale in Italia come in tutti i paesi europei.
Questo significa, tanto per cominciare, stabilire delle priorità. Quali sono i nostri bisogni e diritti fondamentali? Quelli su cui si basa la nostra comunità, il nostro benessere e quello delle future generazioni? I francesi, con i loro moti, stanno ricordando alla comunità europea che non vogliono perdere i loro diritti cosi faticosamente conquistati, il loro benessere e quello delle generazioni future.
Se riconosciamo come diritti fondamentali della nostra comunità, il diritto all’istruzione, alla salvaguardia della salute, al lavoro e ad una adeguata previdenza , ciò significa che essi non sono negoziabili, e non si possono barattare con altro.
Se riconosciamo altresì che il sistema di welfare così come lo abbiamo costruito non è più, finanziariamente parlando, sostenibile, allora significa che dobbiamo fare delle scelte politiche per renderlo sostenibile, che non vuol dire smantellarlo (a questo proposito segnalo che l’organizzazione del lavoro e la tecnologia possono aiutare molto a rendere più efficienti i sistemi compreso quelli pubblici e chi ha avuto modo di entrare in un ospedale, in una ASL, in una scuola o all’INPS sa quanti sprechi ed inefficienze ci sono).
Nel bilancio di uno stato sovrano, così come nel bilancio dell’unione europea ci sono moltissime poste di bilancio con innumerevoli coperture finanziarie. Fare politica significa privilegiare la copertura finanziaria dei bisogni primari, irrinunciabili e prioritari come ritengo siano l’istruzione, la sanità e la previdenza, anche a scapito, ove necessario, di altre poste di bilancio.
Cosa che non mi pare sia stata fatta a nessun livello.
In nome di chi e per quale motivo sia stata scelta questa strada in Europa è un mistero e possiamo solo provare ad immaginare che le istituzioni europee strette tra il modello anglosassone (USA e GB) fatto di bassi costi pubblici ma anche di forti stimoli all’iniziativa privata, ed il modello cinese fatto di un basso costo di produzione ma anche di un dirigismo economico e sociale, abbiano perso l’orientamento, dimenticato i valori fondanti della propria comunità e, anziché svolgere un ruolo di traino della comunità internazionale, come lo sono stati in passato, si sono messi ad inseguire ora il modello anglosassone ( paesi più ricchi) ora quello cinese ( paesi più poveri) restando di fatto strozzati ed incapaci sia di costruire un futuro sia di soddisfare i bisogni della propria popolazione.
Ora se partiamo dalla constatazione che l’Unione Europea rappresenta la terza area geografica più ricca del pianeta significa che le risorse finanziarie non ci mancano ( e lo si è visto per come abbiamo affrontato la pandemia e per gli aiuti che stiamo dando all’Ucraina) occorre solo che l’Europa si riappropri dei propri valori fondanti, li difenda e non li baratti per un rating finanziario o peggio per fare cassa sulle spalle dei propri cittadini e tracci una linea di sviluppo e non di remissione com’è attualmente per le prossime generazioni.
Vorrei sentire dai rappresentanti dell’Unione Europea un’affermazione simile a quella detta da Mario Draghi quando era Presidente della Banca Centrale Europea “Whatever it takes” (“difenderemo l’euro, costi quel che costi”) a proposito della difesa dei nostri valori fondanti, dei nostri diritti e della pace per le future generazioni che, è bene ricordarlo, si garantisce solo con il benessere dei popoli, e non con i sacrifici che, ove perduranti, hanno sempre portato guerre.
“Whatever it takes” – difenderemo i nostri valori fondanti, i nostri diritti ed il nostro Welfare State costi quel che costi!
A.A.A. – Cercasi Statisti, non ragionieri!