Un nuovo spettro si aggira per il mondo, lo spettro del Neoliberismo e temo questa volta si tratti di un demone maligno che ha già trasformato la nostra anima, la nostra socialità e il nostro essere cittadini democratici. Nella politica, nella cultura e nella società esiste ormai solo l’homo oeconomicus (J. S. Mill), un individuo che ha ormai accettato la sua trasformazione in capitale umano (G. Becker, 2008), da cittadino a cliente di un servizio, dal selvaggio barattante (K. Polanyi, 1974) del liberismo classico, da Adam Smith in poi, per il quale l’equivalenza era ancora sia la premessa che la norma nello scambio, all’imprenditore di se stesso (M. Foucault, 1978-1979) che vive perennemente in uno stato di concorrenza innaturale, la cui premessa e l’esito è la disuguaglianza (Wendy Brown, p. 59); il già anemico homo politicus (Aristotele, La politica) della democrazia liberale, naturalmente sociale che ha a che fare con la giustizia, l’eguaglianza e l’etica è la prima vittima della neoliberizzazione degli ultimi 70 anni, “una sconfitta che ha conseguenze immani per le Istituzioni, le culture e gli immaginari democratici” (W.B., p. 36).

Questa trasformazione da cittadino a cliente è il senso ultimo del libro della filosofa e politologa statunitense Wendy Brown, “Il disfacimento del DEMOS. La rivoluzione silenziosa del neoliberismo”, forse il libro che aspettavo di leggere da una vita e che ha cambiato in maniera drammatica il mio modo di pensare il mondo. Un libro non facile, ma che dovremmo leggere tutti per provare a capire perché il DEMOS ha perso il suo Kratos e perché si è fatto colonizzare l’anima senza opporre la minima resistenza.

Le origini del Neoliberismo possono essere rintracciate nel lontano 1947, con la fondazione della Mont Pelerin Society, un gruppo di economisti il cui preciso intento era di distruggere le teorie di Keynes e le cui tesi furono finanziate da banche, società e capitani d’industria.

Le prime applicazioni del neoliberismo avvennero in Sudamerica, a seguito dei colpi di Stato in Cile e in Argentina, dove gli “aggiustamenti strutturali” furono imposti dal Fondo monetario internazionale; furono gli studi dei Chicago Boys, gruppo di economisti finanziati dalla Fondazione Ford, a fornire le ricette di politica economica al Cile di Pinochet (A. Ventura, 2018).
Analogamente, ma senza ricorrere a violenze e colpi di stato, il neoliberismo si è diffuso in maniera più sottile e subdola nel governo delle nazioni euroatlantiche attraverso l’uso di tecniche di governance che hanno sostituito in maniera lenta ma costante il lessico democratico con il linguaggio dell’economia.

Una rivoluzione semantica che ha introdotto termini come “capitale umano al posto di persone; impresa invece di Stato; governance e management invece di government; buone pratiche e benchmarking come tecniche di omologazione e standardizzazione invece di creatività e intelligenza; competenze tecniche invece di conoscenza umanistica” (L. Demichelis, 2023).

Il futuro della nostra democrazia sembra la preoccupazione principale di Brown, con la rivoluzione semantica introdotta dalla governance neoliberista non assistiamo semplicemente all’imposizione di una nuova politica economica ma ad un vero e proprio “ordine normativo della ragione” che diventa sempre più dominante e assume una forma di razionalità di governo capace di saturare ogni ambito della nostra vita umana con nuovi valori, pratiche e misurazioni tipiche del mondo economico.

Le riflessioni di Brown partono esplicitamente dall’analisi di Faucault in “Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979)” al quale però non lesina certo critiche. (Paola Rudan, 2015).
Il capitalismo delle piattaforme digitali dell’oggi, che Michel Foucault non poteva prevedere nel ’78, potenzia e diffonde in tutte le sfere dell’esistenza pratiche imprenditoriali di promozione di sé e della propria vita, collegate all’accrescimento del valore futuro di sé.

Anche per la Brown, come per Foucault il neoliberismo dissemina la “razionalità del mercato” in tutte le istituzioni ma tale razionalità ha oggi una “potenza antropogenetica” più radicale (Dario Gentili, prefazione in W.B. p.10) tale da configurare gli esseri umani “sempre solo e ovunque come homines oeconomici”; il modello del mercato lo ritroviamo “in tutti gli ambiti e in tutte le attività, anche quando i soldi non c’entrano” (W.B. pp. 24-25).

Nel liberalismo classico di Adam Smith, l’individuo che era ancora un homo politicus, pur muovendo da un interesse egoistico, anche se non intenzionalmente (la celeberrima “mano invisibile”), aveva ancora come scopo e criterio il benessere collettivo (W.B. p. 27). Nel neoliberalismo, l’homo oeconomicus, in perenne competizione con tutti, non condivide più lo spazio sociale; tutte le istituzioni riconducibili allo stato sociale (istruzione, giustizia, sanità) tradizionalmente rivolte al DEMOS sono configurate ora per l’accrescimento del valore dell’individuo come capitale umano finanziarizzato. Ecco il disfacimento del demos, “cioè, il disfacimento del principio secondo cui il governo democratico è affidato al popolo. Se ognuno lavora per sé, in un regime di costante concorrenza contro gli altri, non vale più alcun principio di solidarietà sociale e di uguaglianza” (F. Cimatti, 2023).

Una democrazia composta solo da capitale umano in competizione prevede per forza vincitori e vinti, la prosperità di un capitale si basa sulla sconfitta di un altro, la naturale socialità dell’uomo è sostituita dalla innaturale competizione continua di tutti con tutti, lo Stato non assicura più un trattamento o una protezione paritari, anzi, deve continuamente sostenere questa competizione così innaturale per l’uomo; per il neoliberismo è lo Stato che deve governare per il mercato e non il contrario. Assistiamo inermi ad un vero e proprio rovesciamento del “contratto sociale” (J. J. Rousseau, 1762).

“Quando tutto è capitale, scompare la categoria del lavoratore, così come la sua forma collettiva, la classe […] Allo stesso tempo viene smantellata la stessa ragione d’esistere dei sindacati, delle associazioni di consumatori e di altre forme di solidarietà economica all’infuori dei cartelli tra capitali” (W.B. p. 39).

L’homo oeconomicus non è più un individuo sovrano autonomo orientato allo scambio, come nel liberismo classico (Adam Smith) ma soltanto alla valorizzazione di se stesso come capitale umano; non ci sono più dunque “cittadini assoggettati al Leviatano (Thomas Hobbes) che li disciplina, li rappresenta e li trascende, ma individui auto-assoggettati” frammentati “in una moltitudine di individui spoliticizzati e in competizione fra loro, che identificano la propria performance di vita con quelle del capitalismo” (Ida Dominijanni, 2017; vedi anche A. Mastropaolo, 2013).

La Brown “denuncia senza sconti la pericolosa sostituzione del politico, il movimento in grado di materializzare l’aspirazione a una democrazia radicale, con l’economico, la stasi in grado di mettere a repentaglio anche il più flebile afflato democratico” […] “Lo Stato non è più in grado di occuparsi della società e dei suoi problemi (disoccupazione, disparità di reddito, degrado ambientale, distruzione del sistema sanitario pubblico ecc.) e dal momento che le politiche economiche si oppongono frontalmente a quelle sociali, si trasforma in un supplemento dell’economia” (Maggio-Filippi, 2023).

L’uomo non è più produttore di capitale ma capitale esso stesso, l’impresa plasma e permea la società nella sua interezza.; pensiamo alle nostre Unità Sanitarie Locali degli anni ’80, il cui obiettivo era garantire la salute pubblica, oggi si chiamano Azienda Sanitaria Locale e la presenza della parola azienda ha un peso e comporta la valutazione di parametri che prima non esistevano: costi, efficienza, profitto, concorrenza; la salute è diventata solo uno degli obiettivi e non è detto che sia il principale. La presenza della parola azienda testimonia un passaggio importante, da un significato politico ad uno economico, mentre prima i cittadini potevano e dovevano poter accedere alle cure di cui avevano bisogno ora sono solo utenti del Servizio Sanitario Nazionale, appunto clienti di un servizio in libera concorrenza, fra le diverse ASL e con la sanità privata (Cimatti, 2023).

Pensiamo al sistema universitario europeo e nordamericano completamente trasformato negli ultimi decenni; “l’aumento delle rette, il calo dei sostegni statali, l’ascesa dell’istruzione a scopo di lucro e di quella online, la riformulazione delle università attraverso le “migliori pratiche” delle corporation e la cultura aziendale delle “competenze” che prendono il posto delle “certificazioni” hanno presentato quella che soltanto trent’anni fa era una torre d’avorio come anacronistica, costosa e indulgente.” (W.B. p.25).

Anche gli strumenti usati per misurare la qualità didattica dei college sono completamente volti ad un ritorno sull’investimento (ROI), al capitale umano che produce, che tipo di vantaggio economico posso aspettarmi da un determinato istituto; tutto questo riduce aspetti antiquati come lo sviluppo della persona e del cittadino, dà un colpo mortale agli studi umanistici e riduce l’ammissione all’istruzione superiore delle fasce di popolazione più svantaggiate. L’istruzione superiore dovrebbe occuparsi di sviluppare élite intelligenti e riflessive, dovrebbe diffondere cultura e dare pari opportunità, occuparsi dell’istruzione generale del cittadino e certamente non produrre capitale umano. Prima dell’affermazione della razionalità neoliberista, fino ai primi decenni del secondo dopoguerra “l’istruzione superiore nelle materie umanistiche non era un mero strumento di avanzamento economico, bensì la porta attraverso cui i discendenti degli operai, degli immigrati e degli schiavi entravano sul palco principale della società” (W.B. p.157).

Nella concezione neoliberista il capitale umano deve essere solo tecnicamente specializzato, non serve un’istruzione umanistica e generale che gli permetta una partecipazione cosciente alla vita pubblica e al governo comune. Grazie alla pervasività della nuova razionalità di mercato, l’istruzione non è più un bene sociale e pubblico ma è diventato un investimento individuale concentrato soprattutto nella creazione di futuri individuali il cui obiettivo principale è solo la capacità di guadagno.

L’analisi di Brown sembra non lasciare scampo, “per sostenere le buone istituzioni, la popolazione deve già essere quello che soltanto le buone istituzioni possono renderla (paradosso di Rousseau) […] pertanto, non possiamo contare sulla democrazia svuotata dalla razionalità neoliberista per rinnovare l’istruzione nelle materie umanistiche necessaria a una cittadinanza democratica” (W.B. p.174).

Altro e non meno importante aspetto del neoliberismo è la sostituzione della “disciplina” del potere pastorale, “un potere che prende in carico la vita del gregge, di tutti e di ciascuno”, con la negoziazione e la persuasione occulta, il controllo del biopotere (Foucault); con la psicopolitica direbbe Byung-Chul Han, docente di Filosofia e Studi Culturali all’Universität der Künste di Berlino che sostituisce la biopolitica di Foucault con la sua psicopolitica (nottetempo, 2016), anch’essa però funzionale al capitalismo della sorveglianza-controllo. Nel suo libro Byung-Chul Han ci descrive una società del controllo psicopolitico alla quale non è più imposto in maniera violenta alcun divieto, obbligo o limitazione di libertà, anzi, siamo continuamente invitati, attraverso i social, internet e gli smartphone (panottico digitale) a pubblicare le nostre opinioni e desideri, a raccontare la nostra vita, in un modo che ci lusinga e ci seduce. La nostra psiche e la nostra attività sul web vengono mappate e classificate attraverso i big data e inconsciamente diventiamo produttori di beni immateriali: i nostri dati personali e le nostre emozioni che vengono continuamente monetizzati e commercializzati. Siamo tutti sfruttatori di noi stessi, vittime e carnefici allo stesso tempo, vittime e guardiani di un panottico nel quale ci autoesponiamo e autosorvegliamo.

“La democrazia viene così riformulata in chiave apolitica, diventa vuoto contenitore formale separato dal governo della cosa pubblica, puro schema procedurale, algoritmo di calcolo. In tale scenario l’obbedienza è sostituita dalla responsabilità individuale come forma di resilienza, come capacità di adattarsi alla riformulazione del demos al fine di poter almeno sopravvivere” (Maggio-Filippi, 2023).

Le continue crisi economiche possono mettere in pericolo anche le persone più responsabili e dotate di buonsenso, un soggetto concepito e formato come capitale umano corre continuamente il pericolo di fallire, di essere licenziato dall’azienda-Stato senza averne alcuna colpa, a prescindere da quanto sia capace e responsabile, un sacrificio per un bene superiore (quello economico) che viene richiesto all’individuo dalla nuova razionalità neoliberista, da un potere supremo che ci tiene dipendenti ma che non ci deve nulla.

“Al posto della promessa del contratto sociale, cioè che il complesso politico garantisca l’individuo contro i pericoli letali provenienti dall’esterno e dall’interno, (abbiamo il rischio che) l’homo oeconomicus individuale potrebbe essere sacrificato agli imperativi della macroeconomia. Anziché essere garantito o tutelato, il cittadino responsabilizzato tollera l’insicurezza, la privazione e l’estrema esposizione per mantenere il posizionamento competitivo, la crescita o il rating di credito della nazione-azienda” (W. B. p.185)

Per chi vuole contestare il neoliberismo siamo ridotti oggi alla resistenza e alla riforma, molti in occidente hanno perso la fiducia nella capacità degli umani di plasmare e governare la loro esistenza e di creare un mondo compassionevole, libero e sostenibile; nell’epilogo del suo libro, Brown ci suggerisce che solo continuando a dire che “un altro mondo è possibile” possiamo porre un freno a questa marea di disperazione generale e creare una vera narrazione alternativa a quella neoliberale; dobbiamo riprendere il controllo delle nostre condizioni di vita ed essere in grado di pianificare il futuro attraverso la riappropriazione di un processo decisionale collaborativo e contestatore, attraverso il dibattito democratico, il diritto, il sapere, classicamente associati all’homo politicus delle democrazie liberali, “sostanza e legittimità del significato di democrazia, qualsiasi esso sia”.

Solo ridando fiducia alle persone nel “potere del sapere, della ragione e della volontà” riusciremo a ri-politicizzare la democrazia, decostruendo “prima di tutto l’insostenibile leggerezza teorica che sostiene la razionalità neoliberista” (Maggio-Filippi, 2023).

 

Dopo un epilogo così disperante ma fiducioso di Brown vi lascio con il consiglio di lettura di un altro libro prezioso, seguito naturale del libro di Brown, un vero programma dettagliato per il cambiamento e una voce di speranza, questa volta più ottimista sulle possibilità dell’azione politica: “Disuguaglianza. Che cosa si può fare?” di Anthony B. Atkinson (maestro di Thomas Piketty e creatore dell’indice Atkinson, che misura la disuguaglianza dei redditi).

Atkinson ci suggerisce che possiamo fare molto di più di quanto gli scettici non credano e che non possiamo lasciarci paralizzare dalla disperazione; oltre ai ricchi che diventano sempre più ricchi la povertà avanza incontrastata e masse sempre maggiori di persone restano indietro. Non bastano solidarietà e nuove tasse sui più ricchi, servono politiche innovative almeno in cinque campi individuati da Atkinson: la tecnologia, l’occupazione, i sistemi di sicurezza sociale, la condivisione del capitale e la tassazione. Le argomentazioni sulla contrazione dell’economia che tali politiche comporterebbero, sulla globalizzazione che ne impedirebbe l’attuazione e sugli alti costi di tali politiche sono solo scuse per l’inazione di chi ha da guadagnare dallo status quo.

 

Bibliografia

1. Wendy Brown, “Il disfacimento del DEMOS. La rivoluzione silenziosa del neoliberismo.” (Luiss University Press, 2023. Ed. or. 2015).
2. Leda Di Paolo, a cura di. “9 Contro il neoliberismo. Conoscenza, lavoro, arte, socialità.” (I libri di Left, 2019).
3. Andrea Ventura, “Il flagello del neoliberismo, alla ricerca di una nuova socialità.” (L’asino d’oro, 2018).
4. Yanis Varoufakis, “Adulti nella stanza. La mia battaglia contro l’establishment dell’Europa.” (La nave di Teseo, 2018).
5. Byung-Chul Han, “Psicopolitica. Il neoliberalismo e le nuove tecniche del potere.” (nottetempo, 2016).
6. Anthony B. Atkinson, “Disuguaglianza. Che cosa si può fare?” (Raffaello Cortina, 2015).
7. Thomas Piketty, “Il capitale nel XXI secolo.” (Bombiani, 2014).
8. Naomi Klein, “Shock economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri.” (Rizzoli, 2014).
9. Joseph E. Stiglitz, “Il prezzo della disuguaglianza. Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro”. (Einaudi, 2013).
10. Michel Foucault, “Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979)”. (Feltrinelli, 2015).
11. Gary S. Becker, “Il capitale umano.” (Laterza 2008. Ed. or. 1964).
12. Karl Polanyi, “La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca.” (Einaudi, 1974. Ed. or. 1944).
13. John Dewey, “Democrazia e educazione. Una introduzione alla filosofia dell’educazione.” (Anicia, 2018. Ed. or. 1916).
14. Paola Rudan. Il paradosso della buona vita. Connessioniprecarie, 23/5/2015. https://www.connessioniprecarie.org/2015/05/23/il-neoliberalismo-fuori-dalla-storia/
15. Paola Rudan, Prefazione, in W. Brown, La politica fuori dalla storia. (Laterza, 2012). https://www.academia.edu/21599249/Prefazione_a_Wendy_Brown_La_politica_fuori_dalla_storia?uc-sb-sw=31008883
16. Felice Cimatti. Per farla finita con l’homo oeconomicus. Doppiozero, 29/6/2023. https://www.doppiozero.com/per-farla-finita-con-lhomo-oeconomicus
17. Alfio Mastropaolo, Le reinvenzioni del popolo, Meridiana 77, pp. 23-38. https://www.jstor.org/stable/41959136
18. Ida Dominijanni, Fare e disfare il popolo. Unipotesi sul caso italiano. Teoria politica, 7, 2017, Annali VII, pp. 87-109. https://journals.openedition.org/tp/525
19. Lelio Demichelis, “Il neoliberismo è morto? No, mai stato meglio!”. (Naufraghi/e, 17/8/2023) https://naufraghi.ch/il-neoliberismo-e-morto-no-mai-stato-meglio/
20. Emilio Maggio e Massimo Filippi, “Wendy Brown: lo svuotamento silenzioso della democrazia.” (dinamopress, 1/10/2023).