Il metodo dei Sei Cappelli di De Bono si basa sulla visualizzazione di sei atteggiamenti mentali che se concordi facilitano una riunione o un lavoro di gruppo, se discordi paralizzano ogni buona intenzione. Gli atteggiamenti sono visualizzati come cappelli colorati che si possono virtualmente indossare o togliere per passare da un atteggiamento all’altro. L’obiettività è un cappello bianco, l’emotività è un cappello rosso, il pessimismo è nero, l’ottimismo è giallo, la creatività verde e la pianificazione blu. L’efficacia del metodo per risolvere problemi risiede proprio nella semplicità di visualizzazione di concetti astratti come oggetti concreti di uso comune, i cappelli colorati.
“Un’immagine vale più di mille parole” diceva Mao Tse Tung. Ma una parola vale più di mille immagini, se questa parola è per noi altamente significativa. “Ti amo”, per esempio. Quindi il valore non è tanto nella parola o nell’immagine, quanto nell’importanza che diamo all’una o all’altra. Inoltre l’immagine è analogica, si rivolge all’emisfero destro del cervello, non può negare ciò che mostra. La parola è digitale, si rivolge all’emisfero sinistro, può negare. La comunicazione umana si serve di parole e immagini, anche se a volte le une sembrano prevalere sulle altre, e la parola appare come una forma di comunicazione più evoluta: il bambino nei primi anni guarda le figure, e soltanto in un secondo tempo impara a denominare ciò che vede, prima in forma orale, poi scritta. La combinazione fra parole e immagini, fin dall’antichità è stata uno degli elementi chiave della comunicazione efficace.
Quindi sia la persona comune, sia il professionista della comunicazione, devono fare attenzione al modo con cui le immagini si combinano con le parole, come la stessa immagine può cambiare significato se abbinata ad una didascalia di un tipo o di un altro, o la stessa frase può cambiare significato se viene illustrata con un’immagine piuttosto che un’altra. Il problema è cercare di capire se la parola aggiunge informazioni all’immagine e viceversa, se le informazioni sono coerenti o suggeriscono significati altri, se il rapporto fra esse è specifico come è il caso dell’etichetta o della didascalia di un’immagine, o se è generico e non si riferisce al caso particolare raffigurato dall’immagine o descritto dalla didascalia, ma all’insieme di un testo o al genere di immagine. Questo accade sia per articoli su giornali o su pagine web, sia per servizi video. Se l’articolo o il servizio sono dedicati per esempio alle concessioni per gli stabilimenti balneari, nel primo caso avremo una foto di uno stabilimento di Ostia con la didascalia che specifica di che si tratta, e magari aggiunge il costo di un lettino per mezza giornata. Nel secondo caso avremo anche la stessa foto che illustra il concetto “stabilimento balneare” genericamente riferito all’articolo che parla del problema delle concessioni senza riferirsi a nessuno stabilimento in particolare. Lo stesso avviene in video. Nel primo caso la parola affidata alla voce del commentatore ci dirà che si tratta dello stabilimento di Ostia che noleggia il lettino a 20 euro, nel secondo caso parlerà della direttiva Bolkenstein mentre sfila sullo schermo una panoramica di ombrelloni e lettini. Spesso questo tipo di abbinamento è inutile, o peggio manipolatorio e mistificante, quando come visualizzazione di servizi che sono più radiofonici che televisivi si fanno scorrere immagini di repertorio, dalle facciate dei palazzi del potere alla postazione di missili o alle macerie ucraine.
Lo stesso avviene quando pubblichiamo sui social immagini che ci sembrano “belle” di borghi e piazzette, marine e tramonti, luoghi ameni e cime innevate, senza dire che cosa sono, perché le abbiamo pubblicate, a che cosa pensiamo di riferirle. O peggio quando si pubblicano meme con immagini e titoli sensazionali che spingono a cliccare per leggere un articolo che parla di tutt’altro!
Nel mio Atlante di Problem Solving ho dedicato diverse voci al rapporto fra parole e immagini. Eccone una sintesi.
Parole e immagini. La pagina introduce il problema del rapporto comunictivo fra parole e immagini con un breve excursus storico-culturale, e presenta alcuni casi applicativi, oltre ai link alle pagine che sviluppano l’argomento da altri punti di vista.
Verbalizzare e visualizzare. Nella comunicazione visiva e nella gestione a vista, visualizzare significa tradurre in linguaggio visivo qualsiasi altro tipo di comunicazione, verbalizzare significa spiegare a parole un’immagine o corredarla di una didascalia.
Descrizione. La descrizione è la rappresentazione con parole di un luogo, di un oggetto, di una persona, di un animale, di una situazione, di uno stato d’animo. Può andare dal freddo elenco dei componenti del soggetto da descrivere, fino alle più poetiche evocazioni di atmosfere e di stati d’animo, di luoghi realistici o di luoghi della memoria e della fantasia.
Didascalia. La didascalia è un insieme di informazioni verbali che integra le informazioni visive di un’immagine.
Una didascalia può riferirsi all’aspetto formale, al suo contesto, al suo significato. Nella pagina si trovano esempi di foto con varie didascalie, che sono importantissime quando aggiungono all’immagine informazioni utili, corrette, interessanti.
Racconto per immagini. L’abbinamento di testi e immagini non basta a sviluppare un racconto, che ha bisogno di un arco narrativo con un inizio, uno svolgimento e una conclusione attraverso cui il protagonista realizza un desiderio, evita un danno, o lo subisce, compie un’azione, visita un luogo. Si va così da una sequenza di poche immagini che riescano a raccontare un prima e un dopo, fino ad un film di lungo metraggio o ad una serie di più episodi e più stagioni.
Scala dell’astrazione. Un enunciato verbale è più facilmente visualizzabile quanto più è concreto e circostanziato. “La libertà” è un astratto poco o per nulla visualizzabile. Un gabbiano che vola ad ali spiegate è ben visualizzabile, e può essere usato come metafora visiva della libertà.
La scala dell’astrazione è uno strumento ideato dal linguista S.A. Hayakawa, che dipone ai piedi della scala un elemento concreto e specifico, e in cima il relativo concetto col massimo di genericità e astrazione. Più si scende lungo la scala, meglio si riesce a visualizzare un testo.
Text to image. Le applicazioni di intelligenza artificiale capaci di generare immagini da descrizioni testuali più o meno dettagliate hanno popolato i social negli ultimi tempi, e cominciano ad essere usate dai professionisti dell’immagine per svolgere funzioni operative di supporto, come ritocchi fotografici sofisticati, sostituzioni di immagini, creazioni di particolari fantastici o di concept images particolari. I risultati dipendono dall’intelligenza e dall’accuratezza con cui si descrive l’immagine o l’effetto visivo che si vuole ottenere.
Per concludere, sottolineo ancora che il significato di un’immagine può cambiare a seconda dell’ambiente testuale in cui si trova. Per esempio, se le immagini vengono usate in un servizio giornalistico, oltre che con la didascalia interagiscono anche con titoli e sottotitoli. Ecco la stessa immagine in due contesti editoriali diversi.
L’immagine di sinistra potrebbe essere presentata in un redazionale o in un sito turistico come la foto di escursionisti che approfittano del bel tempo per fare una bella sgambata nella neve. L’immagine di destra potrebbe essere confezionata in un articolo o un sito di una testata sovranista come testimonianza di clandestini che affrontano incontrollati i rigori dell’inverno pur di passare la frontiera. Questo dovrebbe renderci più cauti nel condividere sui social: si tratta di testimonianze attendibili o di manipolazioni?