«Siamo inconsapevoli di tutto, o quasi, ciò che nel cervello determina le nostre convinzioni morali, sociali e politiche. Eppure, sono queste convinzioni per lo più inconsce a guidare le nostre azioni. Come scienziato cognitivo, il mio compito è di contribuire a rendere conscio l’inconscio.» (Lakoff, 2014).

Con queste parole si apre uno dei libri più interessanti che ho avuto la fortuna di leggere in questi ultimi anni, tradotto in milioni di copie in tutto il mondo: “Non pensare all’elefante! Come riprendersi il discorso politico” del linguista e scienziato cognitivo statunitense George Lakoff; l’autore ha insegnato per molti anni linguistica e scienze cognitive a Berkeley in California, ma il suo lavoro di ricerca e insegnamento si è affiancato sempre a un impegno costante nel dibattito pubblico fino a farlo diventare oggi uno dei massimi esperti di comunicazione politica oltre che, come vedremo, un convinto progressista.

Come ben evidenzia il sottotitolo, il suo obiettivo principale è quello di educare la sua parte politica (i progressisti) ad una comunicazione più efficace, ma sempre onesta, per battere la destra e reinventare la sinistra, a partire dalle parole che si usano ogni giorno.

Lakoff sostiene che negli Stati Uniti, i Repubblicani, a differenza dei Democratici, hanno imparato ad usare le parole giuste per veicolare i loro valori, investito miliardi in strategie di comunicazione, comprato mezzi di comunicazione e formato intere generazioni di intellettuali con il compito di diffondere la loro visione del mondo, primo fra tutti James Dobson con il suo “Il coraggio di disciplinare”.

Dobson ha insegnato efficacemente alle famiglie americane il modello educativo del “padre severo”, «ben consapevole del legame che intercorre tra questo modello, la politica di destra, la religione evangelica, il liberismo economico e la politica estera neoconservatrice». (Lakoff, p.20).

Il padre severo e il genitore premuroso

Il modello del “padre severo” si applica sia alle famiglie che alla Nazione e parte da una serie di presupposti: il mondo è un posto pericoloso e difficile perché lì fuori c’è il male ed è competitivo; ci saranno sempre vincitori e vinti, un bene assoluto ed un male assoluto. I bambini (cittadini, altre nazioni) nascono cattivi, vogliono fare solo ciò che è piacevole e non ciò che è giusto, serve quindi un padre severo (lo Stato) e forte capace di educarli, anche con la forza, affinché sappiano perseguire il proprio interesse, siano disciplinati, autonomi e vincenti.

Il modello del padre severo collega, cioè, la moralità al benessere, un cittadino perdente nella società è come un bambino disobbediente e va punito non aiutato. “Datti da fare per perseguire il tuo profitto personale e aiuterai tutti gli altri”. Chi non è abbastanza disciplinato per avere successo nella vita non sarà in grado di badare a sé stesso e dipenderà dagli altri.

Pensiamo sul piano politico quali sono le implicazioni sui programmi sociali; come si possono fermare queste persone immorali che non si sono guadagnate il benessere da sole?

È facile, il padre severo premia i buoni (ricchi) e punisce i cattivi (poveri); ad esempio con una poderosa riduzione fiscale che non lasci denaro sufficiente per i programmi sociali di assistenza e supporto. Tutto il contrario del sistema morale dei progressisti che Lakoff paragona al modello di famiglia del “genitore premuroso”: compito dei genitori (entrambi) è prendersi cura dei propri figli (cittadini) che si presuppone nascano buoni e educarli a prendersi cura del prossimo.

Secondo l’autore, l’errore dei progressisti «è quello di appiattirsi troppo spesso a rispondere semplicemente alla visione del mondo dei conservatori senza avere la forza di presentare ai cittadini-elettori la propria visione del mondo, i propri valori, la propria morale e le proprie priorità: ambiente, lavoro, sanità, istruzione.» 

Effetto framing

Con l’uso appropriato delle parole Lakoff ci fa “vedere” come nasce e si afferma un pensiero di destra o di sinistra; espressioni di uso comune come “padroni a casa nostra”, “sgravi fiscali”, “invasione di migranti” contribuiscono a creare una determinata visione del mondo che rimanda a strutture cognitive o cornici, i frame di Lakoff, che si attivano quando le espressioni sopra citate vengono pronunciate.

L’espressione “sgravi fiscali” ci fa pensare le tasse come un peso di cui liberarsi, non certo come un giusto prezzo che ogni cittadino dovrebbe pagare per poter usufruire senza spese ulteriori di servizi come sanità, istruzione, trasporti e comunicazioni; la costruzione di questo frame rimanda ovviamente ad una visione del mondo vicina a quella dei conservatori, dove ogni servizio offerto, compresa sanità e istruzione può essere visto come una potenziale fonte di guadagno per qualcuno e di spesa per qualcun altro, che può essere usufruito solo da chi se lo può permettere ovviamente.

Ognuno di noi ha diversi quadri di riferimento ideali, i frame appunto, che non sono altro che delle strutture interiori, costruite nel tempo, che possono essere evocate, molto spesso in maniera strumentale, con l’uso del linguaggio, in particolar modo con l’uso delle Metafore, come quella delle tasse viste come “peso”.

Il nostro linguaggio comune è disseminato di metafore, anche se per lo più nemmeno ci accorgiamo della loro esistenza. È così che le discussioni diventano guerre (“ha attaccato la mia argomentazione”, “ho colpito nel segno con quell’osservazione”) e il tempo una valuta (“risparmierai diverse ore”, “la deviazione mi è costata un’ora”) lo Stato un oppressore di cittadini (“sgravi fiscali”) i fenomeni migratori un attacco di tribù nemiche (“invasioni migratorie”). (Lakoff, 2016)

Le nostre scelte sono fortemente influenzate dalle modalità con cui le varie opzioni ci sono presentate, dalla scelta di quali metafore vengono utilizzate per presentarcele, si pensi al marketing; saremo sempre più propensi a preferire uno yogurt che ci viene presentato come “80% fat free” (frame positivo) piuttosto che uno yogurt “contains 20% fat” (frame negativo), nonostante i due yogurt siano in realtà uguali.

I frame utilizzati da Lakoff, sono quello che gli scienziati chiamano “inconscio cognitivo”, delle strutture cerebrali che come abbiamo visto, determinano la nostra “visione del mondo” e quindi i nostri obiettivi, i nostri progetti e le nostre azioni.

Tversky e Kahneman

Il concetto di frame venne introdotto nel 1972 dall’antropologo e sociologo britannico Gregory Bateson nel libro “Verso un’ecologia della mente”; il concetto venne poi analizzato da molti studiosi, fra tutti, il sociologo Erving Goffman (Frame analysis, 1974), lo psicologo Amos Tversky della Stanford University e il Premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman; le scoperte di Tversky e Kahneman hanno posto le basi di una nuova disciplina, l’economia comportamentale e la loro teoria della mente è stata premiata con il Nobel.

Il nocciolo delle conclusioni a cui sono pervenuti con i loro studi sia Goffman che Kahneman e Tversky è che il tanto idealizzato “Homo oeconomicus”, a causa di distorsioni e pregiudizi cognitivi, devia dal modello canonico, si comporta in modo anomalo e non persegue l’obiettivo del massimo benessere; l’economia comportamentale mina cioè profondamente quelle che pensavamo fossero le tre ipotesi fondamentali alla base del comportamento dell’homo oeconomicus: totale razionalità, completo autocontrollo e perseguimento esclusivo del proprio interesse.

«Il nostro ‘senso comune’ si compone di inferenze inconsapevoli e automatiche suscitate dai nostri frame inconsci». (Lakoff 2014, p.6)

Siamo inconsapevoli di circa il 98% dell’attività del nostro cervello, la sola che determina le convinzioni morali, sociali e politiche che guidano le nostre azioni.  Ogni volta che ascoltiamo una parola si attiva un frame nel nostro cervello, un frame che abbiamo costruito noi nel tempo, anche la negazione di un frame ne determina la sua attivazione; sia la parola “elefante” che la negazione “non pensare all’elefante” ci fanno comunque pensare all’elefante perché attivano la struttura cerebrale (frame) che abbiamo nel nostro cervello relativa all’idea di elefante.

Stessa cosa succede con la parola tasse se queste sono incorniciate in un frame che identifica le tasse come un peso; ogni volta che un progressista spiega che le tasse non sono un peso non fa altro che attivare il frame costruito dai conservatori per le tasse, frame che verrà difeso con ogni mezzo.

«Quando ci confrontiamo con fatti che non si adattano alla nostra visione del mondo morale, il nostro cervello lavora automaticamente e inconsciamente per ignorare o rifiutare questi fatti, e ci vuole una straordinaria apertura e consapevolezza di questo fenomeno per prestare attenzione critica al vasto numero di fatti che ci vengono presentati ogni giorno.» (Lakoff, 1996)

Lakoff nel suo libro ci dice che il mondo non esiste indipendentemente da come noi lo vediamo, ma è solo un “riflesso dei frame attraverso cui lo guardiamo e in base ai quali agiamo”. (Lakoff 2014, p.62).

La vista di una bistecca attiva determinati frame in un “vegano” che spingono verso un determinato comportamento sociale; parole come aborto, immigrazione, matrimoni gay, capitalismo, comunismo, religione attivano frame diversi in persone con una diversa concezione del mondo e con una diversa sensibilità su cosa sia giusto o sbagliato.

Il frame della bistecca per un vegano è una cornice che contiene attributi e proprietà che il vegano ha scelto per l’oggetto bistecca e che ne incoraggiano una determinata rappresentazione, in questo caso “negativa” e del tutto diversa dalla rappresentazione che ne potrebbe dare ad esempio un carnivoro.

Questo significa che «il modo in cui si comportano le persone dipende dal modo in cui i loro problemi decisionali sono stati incorniciati» (Shefrin, 2000). Lakoff nel suo libro ci persuade del fatto che gli individui non sono guidati solo da calcoli di convenienza (la parte razionale) ma bensì dai loro sentimenti e passioni più profonde, la parte inconscia, quel 98 percento di cui siamo per lo più inconsapevoli e che molto spesso ci trae in inganno; il divario politico che separa le persone è prima di tutto un divario morale, legato alle strutture cognitive inconsce che abbiamo costruito per descrivere il mondo che guardiamo e che costituiscono il punto di vista cardine da cui partire per le nostre scelte e decisioni.

Questa idea della mente umana è condivisa da tanti altri teorici della “mente politica” come Jonathan Haidt autore di “Menti tribali” e Daniel Kahneman autore di “Pensieri lenti e veloci”.

Pensieri lenti e veloci

Kahneman ci spiega nel suo bellissimo libro come la mente umana sia caratterizzata da due processi di pensiero ben distinti: uno veloce e intuitivo (sistema 1), e uno più lento ma anche più logico e riflessivo (sistema 2). Se il primo presiede all’attività cognitiva automatica e involontaria, il secondo entra in azione quando dobbiamo svolgere compiti che richiedono concentrazione e autocontrollo.

Impossibile sintetizzare qui un libro di 700 pagine capace di cambiare per sempre il nostro modo di pensare; rimando all’articolo di A. Saletti e all’acquisto per chi vuole dare più possibilità al proprio Sistema2

Menti tribali

Anche per Haidt «la ragione non comanda. Di fronte a domande morali, raggiungiamo subito una conclusione, solo in seguito produciamo giustificazioni di ciò che abbiamo deciso. Sappiamo che qualcosa è sbagliato, poi stabiliamo il perché.» (Sgobba 2013).

Anche per Haidt «la ragione non comanda. Di fronte a domande morali, raggiungiamo subito una conclusione, solo in seguito produciamo giustificazioni di ciò che abbiamo deciso. Sappiamo che qualcosa è sbagliato, poi stabiliamo il perché.» (Sgobba 2013).

«La ragione non funziona come un giudice imparziale che soppesa le prove o come un insegnante che ci guida verso la saggezza. Si comporta piuttosto come un avvocato o un ufficio stampa: difende e giustifica agli altri le nostre azioni e i nostri giudizi.» (Haidt, 2012)

“La Ragione è la schiava delle Passioni” esattamente come sosteneva Hume nel secondo libro del suo “Trattato sulla natura umana”. Le brave persone si dividono su politica e religione e non riescono a superare le  divisioni tra destra e sinistra perché non sono progettate per ascoltare le ragioni altrui.

Nella prima parte del libro Haidt affronta il primo principio della psicologia morale: “le intuizioni precedono il ragionamento strategico”; la metafora centrale è che la mente si comporta come un elefante servito da un fantino; il fantino rappresenta il nostro pensiero cosciente, la parte razionale, l’elefante è l’altro 99 percento dei processi mentali, la parte inconsapevole e istintiva, fuori da ogni razionalità, ma che in realtà governa la maggior parte del nostro comportamento.

La seconda parte del libro è incentrata sul secondo principio della psicologia morale: “la morale è molto più di una questione di danno e correttezza”, in questa parte Haidt usa la seguente metafora “la mente virtuosa è come una lingua con sei recettori del gusto”, la morale ha, cioè, sei idee fondamentali: cura, equità, libertà, lealtà, autorità e santità.

Haidt ci dice che la “lingua morale” dei conservatori sente anche le questioni che riguardano lealtà, autorità e santità mentre chi si colloca a sinistra attiva di solito solo i recettori della cura e dell’equità; secondo l’autore i progressisti dovrebbero tenerne conto ma c’è anche da dire che questa parte del libro è la sua tesi più discussa nel dibattito pubblico.

Nella terza parte Haidt affronta il terzo principio della psicologia morale: “la morale unisce e acceca”; in questa parte l’autore ci spiega che possiamo riuscire a parlare all’elefante e lo fa con l’uso di una terza metafora: «al 90 percento siamo come scimpanzé, ci comportiamo da individualisti, come ipocriti egoisti, ma c’è un 10 percento di noi che funziona come le api. Siamo cooperativi, nati per vivere in comunità. Per superare le divisioni basta ricordarsi di ciò che ci distingue dalle scimmie» e ricordarsi sempre del terzo principio, la morale aggrega (binds) gli uomini in gruppi politici ma poi li fa diventare ciechi (blinds) a possibili alternative, “e questa non è una cosa che capita solo a chi sta dall’altra parte”. (Sgobba, 2013)

Reframing

Progressisti e conservatori hanno quindi un sistema di valori differente che fa riferimento a frame differenti e che sono attivati soprattutto dal linguaggio; cosa questo implichi nel discorso politico è evidente: con le parole si può cambiare la visione dell’opinione pubblica, nel bene o nel male.

«Le neuroscienze e le scienze cognitive hanno cambiato radicalmente la nostra idea di cosa sia la ragione e di cosa significhi essere razionali. Sfortunatamente fin troppi progressisti si sono formati su una teoria della ragione falsa e obsoleta, in base alla quale il framing, il pensiero metaforico e l’emotività non influirebbero in alcun modo sulla razionalità. Questa convinzione errata ha condotto molti progressisti a credere che i fatti, da soli, bastino a renderci liberi, tant’è che si incaponiscono a elencare fatti e dati concreti.» (Lakoff, p. 10)

I fatti contano ma per essere significativi bisogna inquadrarli in una cornice morale, trovare frame semplici, immediati e ripeterli continuamente, nei discorsi pubblici, negli slogan elettorali, negli spot pubblicitari, finché non si crea un circuito neuronale condiviso, soggiacente a certe  espressioni linguistiche che associno, ad esempio, il concetto di tasse a quello di investimento e non ad un peso.

«Per riprendersi il discorso politico, come recita il sottotitolo del saggio (di Lakoff), i progressisti dovrebbero attuare il procedimento di reframing appena descritto per tutte le altre questioni che informano il discorso pubblico; dalle pensioni ai sindacati, dalla sanità all’istruzione, fino alla povertà, alla discriminazione e all’immigrazione.» (Pogliaghi, 2024; letture.org)

Cambiare i nostri frame equivale quindi a cambiare la nostra visione del mondo, i nostri obiettivi, le nostre azioni e le nostre scelte; di fatto questa azione di “reframing” equivale ad un vero e proprio cambiamento sociale. Non si tratta di ingannare, i frame non sono slogan ma idee già presenti in noi, si tratta, cioè di accedere alle convinzioni inconsce già presenti nel nostro cervello e in quello di chi la pensa come noi, prenderne consapevolezza e ripeterle finché non entrano a far parte del discorso pubblico; solo in questo modo si può sperare in un cambiamento del discorso politico, ma per fare questo si deve disporre, anche da parte progressista, di una rete di comunicazione come la rete vastissima ed efficace sviluppata dai conservatori.

Il framing è la cornice che viene messa ad un concetto o avvenimento e può essere usato per manipolare le persone; il reframing deve svelare queste mistificazioni e costruire una nuova cornice.

A prescindere dall’intento politico di Lakoff il suo testo è importante perché ci fa capire di quanto le nostre visioni morali del mondo siano inconsce e “cablate” nel nostro circuito cerebrale e come esse possono essere facilmente manipolate con un uso strumentale del linguaggio che abbia come obiettivo i nostri sentimenti e le nostre passioni piuttosto che la nostra razionalità; se vogliamo avere una qualche speranza di portare rispetto reciproco dobbiamo comprendere chiaramente cosa determina le nostre scelte e le nostre rappresentazioni del mondo, un campanello d’allarme che può essere rivolto sia alla destra che alla sinistra.

Riferimenti bibliografici

1. G. Bateson, “Verso un’ecologia della mente”. (Adelphi; 23° ed. 2000; 1° ed. 1972).

2. E. Goffman, “Frame analysis. L’organizzazione dell’esperienza”. (Armando Editore, 2001; 1° ed. 1974)

3. G. Lakoff, “Metafora e vita quotidiana”. (ROI edizioni, 2022; 1° ed. 1980)

4. G. Lakoff, “Moral Politics: What Conservatives Know that Liberals Don’t”. (University of Chicago Press, 2016; 1° ed. 1996).

5. M. Barisione, “Comunicazione e società. Teorie, processi, pratiche del framing”. (il Mulino, 2009).

6. D. Kahneman, “Pensieri lenti e veloci”. (Mondadori, 2012).

7. J. Haidt, “Menti tribali. Perché le brave persone si dividono su politica e religione”. (Codice edizioni, 2021; 1° ed. 2012)

8. G. Lakoff, “Non pensare all’elefante. Come riprendersi il discorso politico”. (Chiarelettere, 2014).

9. M. Lewis, “Un’amicizia da Nobel. Kahneman e Tversky, l’incontro che ha cambiato il nostro modo di pensare”. (Raffaello Cortina Editore, ott. 2017; Scienza e Idee: collana diretta da Giulio Giorello).

10. R. H. Thaler, “Misbehaving. La nascita dell’economia comportamentale”. (Einaudi, 2018).

11. D. Kahneman, O. Sibony, C. R. Sunstein, “Rumore. Un difetto del ragionamento umano”. (UTET, 2021)

12. D. Kahneman, P. Slovic, A. Tversky, “Decidere nell’incertezza”. (Mondadori, 2024; raccolta, pubblicata per la prima volta nel 1974, pietra miliare nella storia delle neuroscienze).

Articoli dal Web

1. H. Shefrin, M. Statman. “Behavioral Portfolio Theory”. (Cambridge University Press: The Journal of Financial and Quantitative Analysis, vol. 35, n° 2, June 2000, pp. 127-151).

2. S. De Luca, “InStoria – Non pensare all’elefante”. (www.instoria.it, 17 ott. 2006)

3. A. Sgobba, “Menti tribali: l’ideologia in testa”. (Doppiozero, 18 nov. 2013).

4. L. De Cani, “Frame e reframing. Pensiero unico, pensiero critico”. (Nuova Secondaria – n. 2, ottobre 2014 – Anno XXXII).

5. E. Pogliaghi, “Non pensare all’elefante! Di George Lakoff”. (letture.org).

6. R. De Bonis, “Un’amicizia da Nobel / Kahneman e Tversky: economia comportamentale”. (Doppiozero, 25 gen 2018).

7. A. Saletti, “Il riassunto di Pensieri lenti e veloci, di Daniel Kahneman”. (www.andreasaletti.com).

8. G. Zevi, “Oltre il nudge / Libertà di scelta, felicità e comportamento”. (Doppiozero, 3 ott. 2019).

9. A. Scarinci, R. Lorenzini, M. Ferri, S. Borghetti, “Il pensiero consapevole e il pensiero automatico – Il top down e il bottom up in psicoterapia.” (State of Mind, 9 gen 2020).

10. L. Barberis, “Effetto Framing: dal potere comunicativo alla Teoria della Mente”. (Aratea cultura, 30 nov. 2020).

11. U. Morelli, “Riflessione e Rumore / Sapiens ri-dimensionato”. (Doppiozero, 30 dic. 2021).

12. A. Angelozzi, “Daniel Kahneman, passato e futuro”. (Doppiozero, 31 ag. 2024).