«…Questo è dunque l’uomo contrattuale… che attraverso le transazioni regola il proprio stare al mondo…» Margherita Turvani
1. Le risposte storiche al problema organizzativo
Vorrei proporre, da questo articolo in poi, un percorso integrato sulla teoria dell’organizzazione ai fini della conoscenza e progettazione organizzativa. Nell’archivio del Caos Management sono già presenti miei numerosi contributi organizzativi e manageriali ma penso sia possibile un lavoro di ricognizione delle principali variabili organizzative nel loro percorso storico-teorico che possano costituire un prezioso bagaglio di nozioni e ragionamenti per la puntuale lettura dei processi organizzativi.
Il problema è che manager e operatori sostanzialmente ignorano la teoria organizzativa avendola sostituita con l’esperienza e la pratica ordinaria.
Non basta! Immagino dieci contributi che, naturalmente, non esauriscano il compito ma costituiscano un prezioso accompagnamento per tutti coloro che devono assumersi la responsabilità di progettare o proporre interventi di cambiamento organizzativo, perché consentiranno di filtrare la propria esperienza attraverso la consapevolezza delle principali teorie organizzative.
Di fronte a problemi di tipo organizzativo gli interrogativi a cui rispondere devono trovare risposta non solo attingendo al repertorio delle decisioni operate in passato (il successo del passato talvolta può costituire una pericolosa trappola se le soluzioni che hanno “funzionato” non vengono attentamente confrontate con le specificità del problema attuale) ma anche facendo tesoro dell’esperienza e delle ricerche degli studiosi dell’organizzazione.
È vero, l’epoca dei maestri sembra tramontata, essendo le culture odierne centrate sul presente, trascurando il passato e indifferenti al futuro.
Ma come gestire le organizzazioni senza il conforto delle teorie organizzative, il repertorio storico dell’analisi organizzativa, che ha basi certe nella scuola classica (Taylor, Fayol e Weber), ulteriori sviluppi nei motivazionalisti, duraturo assestamento nell’ambito delle teorie contingenti (dalla one best way alla one best fit), la struttura delle competenze, l’ambiente organizzativo nelle concezioni sistemiche (task environment), gli strumenti e le tecniche di intervento manageriali (check-up organizzativo, la reingegnerizzazione dei processi aziendali, il project management, Cultural Change Management, Lean Thinking).
Oggi si parla molto di intelligenza artificiale (AI) e “rivoluzione quantistica del lavoro”, innovazioni che muovono i primi passi, le cui ricadute sul mondo del lavoro sono ancora incerte e contraddittorie, e che rientrano, a mio parere, sempre nel campo delle tecnologie, della strumentazione atta a cambiare i processi di lavoro, non il lavoratore con le sue capacità, creatività e responsabilità.
Bisogna, in tal senso, innanzitutto considerare che le organizzazioni di cui stiamo parlando sono un costrutto sociale. Il risultato di ripetute scelte di integrazione delle attività sociali produttive, in una prima fase storica indipendenti e diffuse all’esterno o nell’ambiente, nelle officine e nei laboratori artigianali proto-industriali, che hanno preceduto la nascita delle fabbriche.
In seguito ai processi di concentrazione economica e integrazione tecnologica le attività produttive sono state raggruppate all’interno di quei confini fisici, legali tecnologici, sociali e culturali che noi oggi chiamiamo impresa. Questo processo è avvenuto a partire dalla prima rivoluzione industriale (ultimi decenni del ’700 e prima metà dell’800) ed ha assunto una dimensione imponente nel corso della seconda rivoluzione industriale, caratterizzata dal progressivo sviluppo delle grandi imprese (nel corso del ’900).
Ma se le organizzazioni sono una invenzione sociale e tecnica delle società, per coordinare al loro interno le interdipendenze tecnologiche dei processi lavorativi, ed esercitare, anche, il controllo sulla forza lavoro adibita alle attività produttive, quale meccanismo sociale ed economico governava queste attività di produzione prima della nascita delle organizzazioni?
Quale sistema integrava le transazioni organizzative, nel senso dei trasferimenti di beni o informazioni tra gli operatori, successivamente aggregate e coordinate all’interno delle aziende?
La risposta è molto semplice: il mercato che, con i suoi produttori indipendenti, era regolato dalle relazioni economiche di scambio e dalle rispettive funzioni di utilità dei soggetti coinvolti nelle transazioni economiche. Per molto tempo, dunque, le attività economiche e sociali sono state regolate dalla mano invisibile del mercato, che ha coordinato implicitamente produttori indipendenti attraverso il prezzo dei loro beni e servizi.
Solo successivamente subentra, con la nascita delle organizzazioni, la mano visibile del management, che coordina attraverso la struttura organizzativa e l’autorità dei manager le attività interne alle imprese. Il mercato, dunque, ha preceduto la gerarchia dell’impresa come struttura generale di coordinamento delle attività sociali a livello economico e produttivo (1).
Vi è poi un problema relativo ai meccanismi del coordinamento organizzativo all’interno delle imprese che verrà esaminato in seguito, in un successivo contributo, nell’ambito dell’analisi della struttura e del funzionamento delle organizzazioni.
Per ora è importante sottolineare, che dal punto di vista storico, le due tradizionali strutture di governo delle transazioni organizzative, intese come operazioni organizzative tra soggetti e strutture, siano state prima il mercato, attraverso le relazioni economiche di scambio tra singoli produttori e successivamente la gerarchia aziendale, tramite le relazioni di autorità e potere al suo interno.
È pur vero che nel corso dello sviluppo organizzativo, soprattutto nell’ambito della terza rivoluzione industriale, e in coincidenza della crisi della grande impresa (a partire dagli anni ’70 del XX sec.), vi è stato, da parte delle organizzazioni, un ritorno al mercato.
Come vedremo in seguito, a proposito dei confini organizzativi, le aziende ricorrono sempre più spesso ai processi di esternalizzazione (outsourcing) delle attività. Preferendo in determinate contingenze economiche o tecnologiche una strategia di trasferimento all’esterno, e dunque al mercato, di funzioni e compiti precedentemente svolti al loro interno, nel contesto della gerarchia dell’organizzazione.
Soffermiamoci ora sulle caratteristiche del mercato come struttura di coordinamento delle attività lavorative e produttive. Questo ci consentirà di comprendere meglio come e perché, oggi, le imprese ricorrono a questa struttura di coordinamento esterna.
In teoria il mercato è uno strumento di governo delle transazioni organizzative (lo scambio di beni, servizi e informazioni tra entità organizzative differenti) molto efficiente perché funziona a costi di struttura zero, in quanto lo scambio tra produttori avviene sulla base della sola informazione del prezzo del bene o servizio trasferito e senza alcun investimento strutturale (di impresa).
Ma nella realtà operativa non è sempre così. Il mercato ha invece, in molti casi, i suoi costi d’uso, che dipendono essenzialmente dalla eventuale complessità e specificità delle transazioni (economiche e tecnologiche) in atto tra organizzazione ed operatori esterni e dalla potenziale incertezza che ne consegue per gli attori coinvolti.
In questo caso viene meno la sua efficienza, man mano che crescono i costi delle precauzioni e protezioni legali necessarie ai contratti e agli scambi, fino alla situazione di fallimento del mercato (failure market) e probabile, consequenziale, trasferimento delle transazioni organizzative (intese sempre come operazioni produttive ed economiche) all’interno delle organizzazioni. Il conseguente investimento strutturale da parte del management consiste nell’attivazione dei contratti di impiego, acquisizione di tecnologie e implementazione delle strutture organizzative all’interno dell’impresa.
La teoria organizzativa che ha analizzato e confrontato, per l’impresa, i costi d’uso del mercato (ossia delle informazioni necessarie e delle protezioni legali, in rapporto alla maggiore o minore fiducia nei soggetti con i quali è attivato lo scambio) con i costi di produzione (ossia degli investimenti strutturali in attori, unità operative, funzioni e attività di coordinamento) dei beni e servizi trasferiti all’interno delle organizzazioni è l’economia dei costi di transazione (ECT), che esamineremo più approfonditamente nella sezione dedicata alle teorie organizzative, che rivolgono la loro attenzione all’ambiente.
Ma attenzione, se il mercato ha i suoi costi d’uso, anche la gerarchia ha i suoi costi d’uso. Sono i costi, appunto, della gestione delle imprese, della stessa struttura organizzativa e delle funzioni di controllo organizzativo coinvolte. Se, come abbiamo visto, vi è un possibile fallimento del mercato, ed un ritorno all’organizzazione, da parte delle imprese, così vi può essere anche un fallimento della gerarchia (organization failure) ed un ritorno al mercato, quando siamo dinanzi ad un aumento dei costi di produzione dipendente da un insieme di fattori, come, ad esempio, la dimensione strutturale delle imprese, l’inerzia organizzativa o l’opportunismo dei soggetti. In questo caso, da parte delle imprese, vi è una riattivazione delle relazioni economiche di mercato che, nel confronto con le relazioni di potere organizzative, risultano al momento più convenienti (2).
E dunque, così come abbiamo assistito nel corso del ’900, fino agli anni ’70, ad una progressiva integrazione delle attività produttive all’interno delle imprese, per motivi essenzialmente tecnologici e di controllo delle attività, da questo decennio in poi, come l’azione di un pendolo, vi è stato un progressivo e poi sempre più accelerato ritorno al mercato da parte delle aziende, con le già citate operazioni di decentramento produttivo, in rapporto alla crescita dei costi aziendali derivanti anche dalla crescente conflittualità sociale e dalla contemporanea, progressiva contrazione e incertezza dei mercati di sbocco.
Ma a queste due strutture storiche di regolazione, il mercato e la gerarchia, si è aggiunta nel corso del tempo una terza struttura di coordinamento delle attività, alternativa o integrativa alle prime due, che consiste nell’utilizzo delle convenzioni sociali.
Una sorta di obbligazione morale che sostituisce o affianca le tradizionali obbligazioni legali, tipiche delle relazioni di scambio nel mercato e dei contratti di impiego nelle organizzazioni.
Per convenzione si intende un vincolo culturale a seguire determinate prescrizioni, comportamenti organizzativi, insomma un codice di condotta condiviso. È stato un merito dell’approccio culturale, nell’ambito dello sviluppo delle teorie dell’organizzazione, la scoperta della condivisione come ulteriore meccanismo di coordinamento organizzativo e rinforzo alle tradizionali funzioni della gerarchia nonché alle opportunità del mercato, tramite la condivisione di idee, valori e comportamenti da parte dei partecipanti alle organizzazioni.
Le convenzioni, con l’identificazione nei valori dell’impresa, le competenze e le informazioni condivise, il senso comune dell’azione organizzativa, hanno prodotto una sorta di auto-coordinamento, che ha fatto superare una visione semplificata dell’impresa come gerarchia o struttura in grado di attivare contratti d’impiego e transazioni di mercato, affiancando e integrando ai tradizionali strumenti di coordinamento organizzativo dell’autorità e delle regole o dello scambio economico il coordinamento implicito a livello sociale e culturale derivante dalla condivisione (3).
Tutte queste considerazioni non sono semplicemente una esercitazione teorica o ricognizione storica, ma rivestono una enorme importanza a livello della progettazione organizzativa.
Chiariamo, dunque, innanzi tutto che cosa si intende per progettazione organizzativa. La progettazione organizzativa è, in generale, un processo attraverso cui l’ideazione e gli obiettivi imprenditoriali o manageriali vengono tradotti in strutture e processi organizzativi coerenti con le finalità delle organizzazioni (concetto ulteriormente sviluppato nella sintesi e conclusioni della settima sezione).
Ritornando, dunque, alle tre strutture di coordinamento delle attività precedentemente individuate, la gerarchia, il mercato e le convenzioni, le imprese hanno a loro disposizione più opzioni progettuali. In alcuni casi scelgono di attivare relazioni di potere (la gerarchia), in altri casi ricorrono a relazioni economiche di scambio (il mercato), in altri, ancora, promuovono e utilizzano relazioni sociali o di condivisione (le convenzioni).
Spesso però le imprese ricorrono all’impiego congiunto di più relazioni organizzative. Tendendo dal punto di vista strategico, alla internalizzazione delle funzioni di produzione tecnologicamente complesse ed esternalizzando, invece, la fornitura di servizi e beni standardizzati.
Alla fine, il ruolo della condivisione risulta utile sia nella opzione strategia della gerarchia che nella scelta del mercato. Perché nell’ambito delle attività all’interno delle imprese la convenzionalità dei comportamenti organizzativi determina un risparmio in termini di strutture e posizioni di controllo organizzativo, così come nel contesto del mercato la condivisione dei progetti e delle forniture di servizi o prodotti, inserisce, nella sfera delle relazioni di scambio, fiducia e stabilità nelle relazioni economiche inter-organizzative attivate.
Note
1) Cfr. G. Costa, P. Gubitta, Organizzazione aziendale, mercati, gerarchie e convenzioni, McGraw Hill, 2008
2) Ibidem
3) Ibidem