Dialogare con l’AI richiede la capacità di porre le domande giuste e nel modo giusto. L’intelligenza artificiale ha dei limiti, infatti; non capisce le metafore, non comprende i doppi sensi, prende tutto alla lettera e, se non sa qualcosa, la inventa. Un utile supporto, certo, ma bisogna imparare a usarlo, come ha spiegato Vindice Deplano sull’ultimo numero di Docete.

Uno dei punti di forza dell’intelligenza artificiale generativa è la sua estrema facilità d’uso. Un luminoso esempio per chi disegna interfacce software. Ecco quella di Claude, un’ottima alternativa a ChatgPt.

Non occorre essere nativi digitali per capire che basta scrivere nello spazio bianco per chiedere qualunque qualcosa e ottenere la risposta.

Naturalmente, l’intelligenza artificiale generativa ha anche difetti. il più serio è la sua estrema facilità d’uso. Quella straordinaria interfaccia che fa credere che basti scrivere qualunque cosa per ottenere risposte sensate, veritiere e utili. Ho raccontato di alcune divertenti allucinazioni (si chiamano proprio così) di ChatgPt, che raccontava di una festa della trebbiatura che si sarebbe tenuta a gennaio. Poi mi sono divertito molto meno quando ho chiesto una mia breve biografia, scoprendo, tra l’altro, con un certo dispiacere, di essere deceduto nel 1999.

Vale la pena di ripetere che queste IA non sono davvero intelligenti e non “capiscono” niente.

Sono solo straordinarie macchine statistiche che reagiscono a quello che chiediamo loro e a come lo chiediamo. La qualità della risposta dipende direttamente dalla domanda. Anzi, dal prompt. Che dobbiamo scrivere e pensare nel modo giusto.

Parole che agganciano parole

In questo anno e mezzo, sui prompt è stato detto e scritto di tutto in corsi, articoli, libri. Sono anche nate espressioni come “prompt engineering”, “prompt design” e “art of prompting”, tanto per evidenziare che i punti di vista sono diversi.

È ovvio che questo articolo non può competere con tale diluvio di conoscenza. Vuole solo aiutare a capirne di più, partendo da una metafora da cui scaturiscono alcune regole.

Un Large Language Model (la base di ogni ia generativa) ha un funzionamento complesso e bizzarro, ma tanto efficace, da sorprendere i suoi stessi creatori. immaginiamolo come un lago pieno di parole, immerse in una nuvola di numeri, su cui agiscono algoritmi statistici. ogni volta che scriviamo un prompt gettiamo una lenza con alcuni ami. Ogni amo, ogni parola del prompt, si comporta come un agente che “aggancia” una parola a cui se ne aggiungono via via altre formando frasi e interi testi.

Per questo, anche se la capacità mimetica dell’IA generativa fa assomigliare l’interlocuzione a una chiacchierata con una persona, non è la stessa cosa: siamo davanti a una macchina digitale che non sa leggere tra le righe, non capisce le metafore e i doppi sensi e non ha idea di come va il mondo. Ha bisogno di essere programmata usando le parole. Non quelle rigorose di Java, C o Python, ma le nostre. Che devono formare un prompt preciso, dettagliato e ben delimitato.

Prompt “poveri”, avari di parole, non possono che dare risultati modesti: a domanda generica, risposta scadente, fuorviante e spesso bugiarda. Proviamo, quindi, a orientarci partendo da sei regole d’oro. Più una.

Sei regole d’oro

Le sei regole servono a far capire bene, molto bene, alla macchina cosa vogliamo ottenere. Prima, naturalmente, dobbiamo averlo capito noi, ma questa è un’altra storia.

1. Descrivere bene il contesto

Davanti a ChatgPt, che si presenta con “in cosa posso essere utile?”, siamo tentati di partire a razzo con una domanda o una richiesta.

Sbagliato: per prima cosa è essenziale chiarire il contesto. Chi siamo, qual è il nostro settore di attività, cosa vogliamo ottenere.

Ecco un esempio: Sono un formatore con molti anni di esperienza e mi occupo di docenza e progettazione didattica in ambito e-learning. Collaboro da alcuni anni con una prestigiosa rivista italiana che si occupa di scuola e di didattica e devo scrivere un articolo divulgativo sui prompt da usare con le intelligenze artificiali generative come te.

Gli algoritmi di ChatgPt puntano a individuare nel testo le parole chiave (in grassetto). Sono “ami” che permetteranno di “pescare” i contenuti giusti. Per completare il contesto, però, manca un pezzo.

2. Definire i destinatari

ChatgPt deve inquadrare il suo pubblico che non è, come sembrerebbe in assenza di altre informazioni, un formatore in ambito e-learning.

Lo aiutiamo aggiungendo al prompt qualcosa del tipo: L’articolo è destinato al personale della scuola (insegnanti, dirigenti), con esperienza nella didattica, ma senza particolari competenze nelle tecnologie digitali. da notare la totale assenza di metafore: scrivendo “personale… alle prime armi con il digitale”, rischieremmo di indirizzare ChatgPt verso chissà quale aspetto bellico della didattica.

3. Formulare istruzioni chiare e dettagliate

A questo punto, esprimiamo la richiesta. Ma non con un generico “Scrivi l’articolo”, che oltretutto è eticamente riprovevole, e nemmeno “Elenca gli argomenti che potrei trattare”. Entrambi lasciano al chatbot troppa libertà, che –in mancanza di una vera comprensione dell’argomento– usa malissimo.

Servono indicazioni più precise: produci una scheda che elenca da cinque a dieci regole da adottare, quando si interroga un’intelligenza artificiale generativa, per scrivere un prompt che produca una risposta utile. da evitare le parole generiche o ambigue che abitualmente infarciscono il nostro parlato. Come “fare” o, peggio, “cosa”.

4. Mettere i paletti

Il passo successivo è fornire indicazioni sul tipo di testo che vogliamo ottenere: stile, lunghezza e quant’altro. Usa un linguaggio informale. Genera un elenco puntato con 1.000 caratteri.

5. Dare il buon esempio

Un buon modo per far capire al chatbot quello che vogliamo ottenere è l’esempio. È un accorgimento che funziona molto bene con i titoli, che possono essere stilisticamente molto diversi. Aggiungi alla scheda un titolo accattivante. Per esempio: “Più prompt per tutti!”.

6. Dialogare e poi dialogare

Provare per credere: con un prompt così articolato, la probabilità di ottenere buoni risultati è alta. Ma non è una buona idea accettare tutto così com’è.

Queste intelligenze artificiali danno il meglio di sé quando intavoliamo un dialogo. Possiamo chiedere di semplificare o approfondire, di spiegare un particolare concetto, di modificare il formato.

Quando ho provato il prompt, ho ottenuto, come richiesto, un elenco puntato dal titolo “Più prompt per tutti! Come far parlare l’intelligenza artificiale in modo utile”. Ma l’inserimento dell’esempio tale e quale non lo avevo previsto. Per cui ho specificato: Usa un titolo che non ripeta l’esempio che ti ho proposto. Risposta: “Parla chiaro all’intelligenza artificiale! Regole pratiche per ottenere risposte utili”.

Meglio, no?

I maestri del prompting hanno capito che con chatbot come ChatgPt i migliori risultati non si ottengono al primo colpo, anche perché possiamo orientare le risposte, ma non prevederle.

Risultati davvero utili si ottengono con un paziente batti e ribatti che spinga il chatbot a essere approfondito, affidabile e creativo.

Un dialogo con l’intelligenza artificiale, però, non è cosa da tutti. C’è la settima regola da rispettare.

La settima regola

La settima regola spiega il motivo per cui usare ChatgPt e i suoi fratelli per far fare temi, ricerche e tesine (per non parlare delle tesi di laurea) è un’idea pessima. Non dobbiamo mai chiedere qualcosa all’intelligenza artificiale, se non siamo in grado di valutare la risposta.

I chatbot sono predisposti per accontentarci a qualunque costo e, in mancanza di informazioni, preferiscono inventare le risposte che ammettere “Non lo so”. Ecco l’origine delle famose allucinazioni, che i progettisti stanno tentando con successo di limitare, ma non possono essere eliminate del tutto, perché legate alla natura stessa dei Large Language Model.

Recentemente, ho apprezzato molto ChatgPt che, alla richiesta di notizie sulla vita di mio nonno, ha risposto di non sapere chi sia. Qualche mese prima avrebbe tirato giù una sequela di fantasie ben scritte, come ha fatto con la mia biografia, ma pericolose se prese sul serio.

Quindi, di fronte a una qualsiasi risposta, dobbiamo innanzitutto capire cosa sta dicendo. Poi accendere il pensiero critico, individuare i punti che non ci convincono e verificare una a una le affermazioni dubbie.

Con l’aiuto di un motore di ricerca potremo scoprire errori, omissioni e, ogni tanto, qualche follia.

Ma, con un prompt all’altezza, dal gigantesco lago pieno di parole avremo comunque tirato fuori una rete piena di nozioni, concetti e idee che non ci sarebbero mai venuti in mente.

Infografia

• Vindice Deplano 2024, “Una questione di prompt”, Docete, anno X, numero 42, novembre-dicembre 2024

• Vindice Deplano, 2023, “La rete che apprende”, Docete, n. 35.

• Vivaldo Moscatelli, 2024, “The art of prompting”, Formazione & Cambiamento.