Con l’eccezione del gruppo Renault i costruttori europei di automobili sono in profonda crisi. In particolare il Gruppo Wolkswagen ed il Gruppo Stellantis hanno manifestato le loro criticità e, nel caso di Wolkswagen, ipotizzato la chiusura di stabilimenti produttivi e licenziamenti di migliaia di lavoratori. Nel caso di Stellantis le recenti dimissioni dell’amministratore delegato Carlo Tavares hanno aggiunto perplessità e confusione ad una situazione per molti aspetti drammatica. Più in generale ad innescare ed accelerare questa crisi del settore in tutta Europa sono state la forte diminuzione delle vendite e lo spettro delle multe imposte dall’Unione europea in caso di mancato rispetto circa la diminuzione della CO2 da parte delle case automobilistiche (che ha imposto alle imprese di puntare sulla produzione delle auto elettriche che però non si vendono).
Questi due fattori combinati tra loro hanno determinato la situazione nella quale si trovano più o meno quasi tutti i costruttori europei. A livello globale si salvano solo il Gruppo Renault ed il Gruppo Toyota che hanno puntato sulla diversificazione dei prodotti e delle alimentazioni prima e più degli altri (Gruppo Renault con il marchio Dacia per il low cost, poi sulle auto a gpl, full hybrid ed elettriche; Toyota sul full hybrid, ma anche sulla ricerca di nuovi motori ed alimentazioni come l’idrogeno, oltre che l’elettrico).
Ma vediamo cosa è accaduto. Nell’aprile del 2023 il Parlamento Europeo ha definitivamente approvato il provvedimento che consente, a partire dal 2035, l’immissione nel mercato esclusivamente di auto nuove a emissioni zero. Quindi, a partire dal 2035, solo auto elettriche o dotate di altre tecnologie che consentono di azzerare le emissioni potranno essere vendute. Di conseguenza è stata vietata la vendita di vetture a motore endotermico (benzina e diesel). Contemporaneamente, proprio per incentivare le case automobilistiche ad accelerare verso lo sviluppo di auto elettriche, sono state previste multe salatissime per le imprese che non rispetteranno determinati standard di riduzione della CO2.
Nella ricerca delle responsabilità di questa drammatica situazione (ricordo che l’industria automobilistica europea è tra le principali industrie del continente per PIL prodotto, export, occupati, storia industriale e sindacale e tra dipendenti diretti e indotto parliamo di circa 14 milioni di lavoratori) le imprese addossano la responsabilità ai politici che a loro parere hanno imposto norme senza tener conto dei tempi necessari per la transizione ecologica e della concorrenza cinese; la politica addossa alla imprese automobilistiche di essere in forte ritardo con lo sviluppo della tecnologia e della produzione di vetture elettriche annunciata molti anni fa, i direttori marketing ed i cosiddetti dealers (i concessionari delle case automobilistiche) si trincerano dietro al fatto che le vetture elettriche non si vendono.
Ebbene nella dinamica del classico scaricabarile al quale stiamo assistendo io non credo alla tesi esposte dagli uni contro gli altri e ritengo invece che le cose siano andate un po’ diversamente.
Partiamo dall’assunto che le nostre città sono soffocate dalle automobili, che noi ed i nostri figli respiriamo un’aria ormai diventata irrespirabile, che l’inquinamento provocato dal traffico automobilistico è diventato eccessivo, ha superato i livelli di guardia e provoca molte patologie all’essere umano e non solo. Insomma ci sono tutti i presupposti per decongestionare, pulire, disinquinare il traffico e l’aria dei luoghi dove viviamo. Su questo credo che siamo tutti d’accordo e l’idea di modificare in senso ecologico la nostra mobilità merita il massimo rispetto. Ma la normativa prodotta dalla Unione europea, pur tenendo conto di questi sani principi ed obiettivi, nasce e si sviluppa tenendo conto anche di altri fattori ed è su questi che vorrei soffermarmi.
Inutile ricordarci che l’economia europea è un’economia di mercato e che le industrie automobilistiche sono imprese private (detenute da privati, spesso famiglie basti pensare ai Peugeot, ai Porsche, agli Agnelli) che hanno come obiettivo il profitto. E’ un dato di fatto che il continente europeo è da tempo saturo di automobili e le imprese automobilistiche con la gamma di prodotti in loro possesso (motori endotermici) non avrebbero venduto più un numero di vetture sufficienti a garantire i profitti attesi.
Quindi l’esigenza di contenere l’inquinamento e l’esigenza di vendere le automobili trovano un terreno comune e partoriscono l’idea delle vetture ad emissione zero come risposta che avrebbe consentito ai Paesi europei di ripulire le città dall’inquinamento ed alle imprese di rinnovare il parco auto in Europa con vendite di milioni di automobili. Da qui nasce e si sviluppa il dibattito e le interlocuzioni che hanno portato alla normativa europea oggi da tutti criticata.
In realtà non è verosimile che le istituzioni europee nell’elaborare la normativa in oggetto non abbiano interloquito con le imprese automobilistiche europee. E’ come affermare che il Governo italiano nell’elaborare una legge che riguarda le industrie italiane non interloquisca con Confindustria. E’ assolutamente inverosimile oltre che inopportuno e controproducente.
Quindi è scontato che gli organi istituzionali europei (Commissione, Parlamento, Commissari) nel processo di studio ed elaborazione della normativa abbiano interloquito e concordato con le imprese automobilistiche europee i contenuti, i tempi e gli obiettivi della normativa che poi hanno prodotto. Oltre tutto è dovere della Unione europea difendere le imprese europee e non penalizzarle. Ma se la normativa è stata concordata chi ha sbagliato? Dove sta l’errore? Cosa è successo?
E’ successo che hanno fatto i conti senza i consumatori! Le vetture elettriche non si vendono per molteplici e semplici ragioni:
- Le modalità di ricarica sono scomode, insufficienti, lunghe (provate a fare un viaggio da Palermo a Milano)
- I costi delle vetture elettriche sono esorbitanti (il costo medio di una vettura di classe media supera i 40mila euro). Negli anni passati e per molti anni per acquistare una vettura di prima fascia ci voleva circa un anno di stipendio di un operaio metalmeccanico che poteva svolgere una funzione di contributore alla produzione e contemporaneamente acquirente dell’auto prodotta e questo ha garantito per molti anni un mercato florido per le case automobilistiche. Oggi questa possibilità non esiste più. Il divario tra il salario di un operaio metalmeccanico ed il costo di una vettura elettrica è troppo elevato e non può più svolgere il doppio ruolo di contributore alla produzione ed acquirente con conseguente penalizzazione in termini di vendite per le case automobilistiche (ma ciò vale per la stragrande maggioranza dei cittadini italiani con redditi bassi e medi).
- Costi delle ricariche: il costo dell’energia elettrica necessaria per caricare le batterie di una vettura elettrica è troppo elevato (soprattutto in Italia ma non solo). Il costo di una ricarica alle colonnine fast è ben maggiore di un pieno di gasolio o gpl.
- Passione e piacere di guida. Un aspetto che non è stato minimamente preso in considerazione. In particolare per l’Italia (e gli italiani), patria di grandi marchi automobilistici sportivi come Alfa Romeo, Ferrari, Lamborghini, l’automobile, come la moto è anche passione, sport, gusto, piacere di guida. Avete guidato un’auto elettrica? il piacere di guida esiste solo nella fantasia di coloro che sviluppano gli spot pubblicitari.
La crisi dell’automotive è il fallimento dei politici che non hanno neanche immaginato le problematiche che stanno nascendo con milioni di posti di lavoro a rischio (ma anche se la transizione ecologica dell’industria automobilistica fosse riuscita nei tempi e nei modi ipotizzati avrebbe comunque causato la perdita di milioni di posti di lavoro -basti pensare che i componenti di un’auto elettrica sono di gran lunga inferiori ai componenti di un’auto a motore endotermico con conseguente diminuzione produttiva di tutta la filiera- ma di un piano per ricollocare i dipendenti in esubero non si è mai vista traccia); è il fallimento degli imprenditori, dei manager (amministratori delegati delle imprese automobilistiche) e dei direttori marketing che, offuscati dall’ipotesi di poter rinnovare il parco auto europeo con una nuova tecnologia non hanno considerato i risvolti organizzativi, le problematiche relative alle infrastrutture necessarie, i costi dell’energia necessaria per ricaricare le vetture e last but not the least il fatto che se i cittadini non possiedono le risorse economiche richieste per l’acquisto di una vettura elettrica semplicemente non la comprano. Si sono illusi di poter vendere tutto a prescindere.
Non è così cari signori! Fortunatamente per i consumatori, sfortunatamente per voi, per le vostre imprese e per i vostri dipendenti che verranno licenziati, non è così che si fa impresa.
Questa è bieca (e mal riuscita) finanza, non impresa. L’imprenditore deve considerare molti e più fattori (e tra i tanti anche i costi e i benefici sociali che discendono dalle scelte imprenditoriali) e voi non li avete considerati.