Ribadisco: Sono una strega.
Una vecchia “aristocratica” strega del nord (per antiche origini normanne) dotata di una gravissima forma di Vis polemica molto esigente e rompiscatole. Vis polemica alimentata dall’attitudine inarrestabile di un potere politico in acre odore dittatoriale. La sola cura che conosco contro questo lento preannuncio di totalitarismo è il nutrimento calorico del cibo energetico del ricordo, non melanconia, non paradiso perduto bensì un caleidoscopio di colori ed eleganti bellezze.
“ESTATE”
Salerno; Via Principessa Sichelgaita; anni 50/60. E’ un pomeriggio d’Agosto in un luogo dei mari del Sud Italia. Il silenzio cala come una coltre di un sipario sul palcoscenico del giorno. Il sonno fa riposare nel fresco delle stanze in penombra. Dalla strada un suono riempie i sensi appagandoli: l’acciottolio ritmico degli zoccoli di legno sull’asfalto cocente.
Un suono che pacifica, scalda, trasecola. Zoccoli Pescura del dottor Scholz, bassi da uomo di cuoio rosso su piedi nudi già scuri di sole e di salsedine. Nel passo lascia crollare la parte posteriore, il tacco, che rimbalza sulla strada toccando il suolo…tac, tac, tac.
“L’IGNORANZA GENERA MOSTRI”
e non mi riferisco solo al Generale Vannacci.
I trolley sono più comodi e “velocizzano” il passo. E’ vero! Vengono scatenati per le vie di città incredule, in cerca di ospitalità. Ma Napoli, la mia adorata e dolente Napoli, è fatta di vicoli stretti, salite impervie e ripide scorciatoie a scale. I trolleysti sono scuri, stanchi, provati, prigionieri di quel fragore rosso…troc, troc, troc. E i loro visi sono senza gioia, senza sole e libertà. E’ il trolley legato all’uomo oppure è l’uomo incatenato al trolley? Si chiederebbe Cidrolin. Troc. Troc. Troc.
“IL SOLE NEI CAPELLI”
Gli abiti svolazzano, lasciando vedere le gambe imbrigliate in collant coloratissimi. Cacharel col suo Anais Anais (qualcuno pronuncia Anè Anè non riconoscendo le sue origini letterarie) rende gradevoli i corpi adolescenti, profumo sincero di giacinto e mughetto. Dolcezza opposta all’erotismo di Opium: fragranza di donna. Le signore Number Five vestono un filo di perle naturali; per carità mai coltivate. Risotto allo champagne.
Mitsouko intenso e misterioso fa disperdere nell’aria l’odore incontenibile del Patchouli. Cacharel, Ken Scott, Laura Ashley creano miracolosi prati fioriti nei loro bellissimi abiti, leggerezza di arcobaleno nelle giornate plumbee. Livio De Simone dipinge a mano elegantissimi chemisier di seta. Per me stupore e desiderio. Fermarsi davanti le sue vetrini in Via Morelli è il mio rituale del “Vorrei ma non posso”, serve solo a riempirmi lo sguardo.
Ma c’è Rubinacci con le sue mantelle di morbida lana, Codrington aroma di tè Fortum and Mason, Gay -Odin con una carrozza antica dinanzi alla sue vetrine di cioccolata. Cacace a Via De Mille è il solo a vendere le caffettiere per il caffè all’americana.
“ADORO BENEDETTA BARZINI”
Straordinaria donna che in un documentario sulla moda si chiede retoricamente ” Perché le donne hanno scarpe a tacchi e gli uomini quelle comode?” Forse perché é l’uomo a comandare e la donna a “servire”?
L’uomo del ventesimo secolo, antico patriarca stagionato 36 mesi, ama vestire con sobrietà e stile. Fresco in lana, Principe di Galles, Pied-de-poule, leggeri gessati e pesantissimi Harris Tweed. L’ eleganza dello Spezzato ha la giacca blu con bottoni in metallo del Blazer e pantaloni rigorosamente grigi.
Alla Riviera di Chiaia in un palazzo liberty Eugenio Marinella annoda cravatte di seta dal 1914. Non é stato certamente Berlusconi, chiuso in un doppio petto Al Capone, a renderlo famoso con la sua rozza pubblicità da TV privata anni ’70. Con le cravatte di seta, sue creazioni, dalla Gran Bretagna giungono le regimental in colorate strisce oblique, le scarpe Oxford che “Lor signori chiamano canottiere”, spiega Marinella nel suo stile da gentiluomo, bastoni di amareno, valigie di cuoio crudo e aeree Samsonite.
“MI DOMANDO”
Mi chiedo perplessa: Quando é accaduto che gli italiani hanno cominciato a vestire male? In seguito a una moria di sarti? Alla globalizzazione del cattivo gusto?
Quando si é preferito ad una solida moda sartoriale tipicamente italiana il country americano? Infine quando si è arrivati all’orrore estremo di calzare sportive Air Jordan lucenti di bianco sotto abiti scuri?
Forse da quando l’incultura è un’ opzione per il successo? Forse da quando gli italiani leggono meno di un libro all’anno? Forse da quando non riescono più a capire quel che leggono, ignorando il significato di parole come plumbea proterva tirannide. Da quando un fuggiasco accusato di corruzione è diventato un martire, beatificato e santificato.
Certamente da quando Napoli si è trasformata in un set cinematografico di terz’ordine, una riserva di caccia grossa a basso costo per turisti assatanati, un mercato di scarti culturali per accumulatori seriali di immagini da spalmare sui Social. A Napoli DEVI mangiare la pizza e vedere il Cristo velato, abitare in un vascio e immergerti tra teschi e luoghi comuni. La città è un cumulo di piccoli bar e affollate pizzerie, di Airbnb indecenti dentro bassi bui e claustrofobici, luoghi per invasori barbarici armati di trolley roboanti e cellulari luminescenti.
La mia Napoli, nonostante tutte le violenze subite nei secoli aveva preservato l’armonia della sua bellezza fino a che, negli anni 2000, è stata stuprata e lasciata morire in una fragorosa indifferenza. Da strega incazzata, che nemmeno il colore del ricordo pacifica, cerco consolazione nel mio Hopper personale: La mia veranda illuminata di luce calda vista dal giardino in una fredda alba napoletana.