Stremate dallo tsunami d’idiozia del nostro tempo, dai tentacoli dei media, dei social, dell’immaginario purulento diffuso ovunque, si ha la sensazione che le persone abbiano perso totalmente la bussola. Non discernono un fatto di cronaca da una catastrofe, un pettegolezzo da un assassinio, l’affermazione di un proprio personale diritto da quello di un intero popolo. Bastano cinque minuti di qualsiasi talk-show per capire come ormai la confusione, il cortocircuito cognitivo, la capacità di cogliere i problemi davvero decisivi, sia andata totalmente perduta nella corrente del nulla e delle equivalenze che regna già da tempo ma che mai come oggi ha raggiunto un tale livello di espansione.

Un nulla ovviamente aproblematico, dominato dal giudizio facile, dalla morale del chi se ne frega, dalla superficialità scambiata per arguzia, dal sarcasmo luciferino. Non posso non pensare a tutti questi miserabili invitati nelle trasmissioni televisive, radiofoniche o in rete (alcuni dei quali magari prima di essere invischiati in quel mondo di lobotomia seriale erano anche persone con qualche qualità) che abboccano a tutto, a tutto dicono di sì, pronti a parlare di ogni cosa spulciando all’ultimo minuto “pezzi” recenti sul tema o sunti succhiati direttamente all’intelligenza artificiale, manco fossero studenti l’ultimo giorno prima dell’esame.

Ma questo vuole lo spettacolo (cioè noi), ciò cui ormai è ridotta la nostra vita, spettacolo che fa notizia al massimo per qualche ora, se non per qualche minuto. Le nostre vite triturate e semplificate per farne pastone per i maiali.

Mentre il mondo muore

Il mondo in senso specifico, quello umano, perché il pianeta se la riderà per un tempo infinito quando noi saremo scomparsi. È chiaro che ormai la morale condivisa, esplicitamente o implicitamente è: non c’è salvezza, non c’è via di uscita, quindi godiamocela, vomitiamo su tutto, tutto è uguale a tutto, di fronte alla peste si afferra ogni lembo di godimento, visibilità, successo, o semplicemente di delirio quale che sia, foss’anche quello di sparare all’impazzata in mezzo alla folla o caricarla al volante di un camion che in fondo non è molto diverso da quello che, con le parole, fanno tanti opinion-maker venduti al miglior offerente.

Tutte cose già successe, ben inteso ma non con questa frequenza, con questa sorda complicità, con questa anestesia. Se penso al tempo che tante menti spendono a perorare cause davvero di terz’ordine, questioni da ultima pagina (ovviamente abilmente manovrate da chi può permettersi di porre in agenda al primo posto un tema, una notizia, un argomento a suo piacimento), mi prende la vertigine. Tutti i cretini e le cretine che si spellano la lingua caricando ventre a terra un ministro che si è fatto inguaiare dalla ambiziosa di turno, per giorni e giorni, il variopinto mondo delle molestie agitate come la sciagura del secolo, le parole blasfeme di un ragazzino di periferia che canta su una base stonata.

Tutto è uguale

Tutto è uguale a tutto tranne le cose gravi, quelle decisive, quelle per cui ne va della nostra sopravvivenza, o se non della nostra di quella dei nostri figli, di cui peraltro è evidente che non gliene importa un fico a nessuno. Come è sempre stato del resto. Ne voglio nominare due, delle cose decisive che si cerca di insabbiare, due tra le molte. La catastrofe climatica per esempio, che bussa sulle nostre zucche vuote e sorde sempre più forte, manco fosse la statua del commendatore dal Don Giovanni. E noi muti, ciechi,  niente, anzi ci sono i padroni di ogni risma che in ogni intervista si affrettano a ridicolizzare la transizione ecologica, poiché ne va dell’efficienza del sistema produttivo (cioè dei loro profitti). Hanno ragione, loro forse la scamperanno, se ne andranno su Marte a fondare una nuovo Rotary per decerebrati cosmici. E tutti gli altri? Gli daranno brioche mentre più o meno lentamente soccomberanno di alluvioni, siccità, uragani, incendi, esaurimento dell’acqua, o semplicemente mancanza di risorse per pagare ciò che potrà solo essere preservato solo per pochi e con costi bilionari?

La questione del clima suscita ancora discussioni totalmente inutili sulle cause, quando il dato incontrovertibile è che la temperatura cresce, che la ragione sia una battaglia di star wars le cui conseguenze giungono fino a noi o la mostruosa avidità umana che non è disposta di arretrare di un passo e che continuerà a stornellarci la grande hit della crescita fintanto che a cantarla resterà l’ultimo esemplare della specie mentre sprofonda nella melma. (Non nominiamo neppure quella “cosa” grottesca che si chiama sinistra, tutti in fila a cantare la stessa sarabanda: la crescita, la produzione, i posti di lavoro, in coro con i padroni mentre mezzo pianeta brucia, o è inondato o si scioglie come diarrea al sole).

E che dire della tragedia che incombe sulla vita dei nostri figli? Argomento assente dall’agenda di chi è solo impegnato a costruire il proprio disastro personale a suon di selfie, di autoimprenditorialità e di psicologia proattiva. I figli le cui menti, le cui relazioni, le cui emozioni sono letteralmente spappolate dagli smartphone e dallo show miserando dei loro tutori. Eh no, non vale più il giochetto di chi gracchia

“ma tutte le novità tecnologiche alla fin fine le abbiamo digerite senza troppo danno”!.

A parte che non è vero, tantissime novità tecnologiche hanno distrutto a poco a poco la nostra società umana (per esempio la televisione, che resta uno dei più efficaci strumenti di frantumazione della vita sociale, di riduzione della gran parte dei nostri cervelli a vuoti a rendere e delle persone a celenterati (con tutto il rispetto per la categoria) seduti a guardare Sanremo o qualsiasi altro pastrocchio di sottocultura e pubblicità). Questa volta la cosa è più grave, la tecnologia è più raffinata ed è orientata a trasformare i nostri giovani, con successo, in androidi psicotizzati, la cui vita ormai solipsistica è semplicemente azzerata nei suoi tratti più spiccatamente umani, affettivi, amorosi, immaginativi, carnali, sociali. Una tragedia, sulla quale già diversi studiosi hanno lanciato l’allarme, così come sul clima da decenni eserciti di esperti hanno vanamente tentato di attirare la nostra azione.

Ma niente, noi balliamo l’alligalli sui cadaveri, noi concentriamo la nostra attenzione sulla crescita, sul Pil, o sulla nostra immagine da vendere sui social, pronti a inventarci ogni cazzata possibile per emergere (nel nulla: counsellor, coach, venditori di ogni tipo di bric-a- brac, specie se spirituale, che quelli di sicuro non danno noia a nessun potente).

Chi se ne frega di quelle creature che abbiamo colpevolmente messo al mondo! Che spettacolo: al ristorante, in auto, a cena, le nostre belle famiglie, tutti con il loro cellulare in mano, il baby, l’adolescente, la mamma, il papà, anche il nonno, mettiamoci anche il nonno, che gioca alle scommesse sportive o al fantacalcio. E sarà sempre più così. Stiamo tutti aspettando che l’intelligenza artificiale venga a rimpiazzare quella ancora debile dei nostri padroni per aggiustare i dettagli incompiuti, per definire meglio gli algoritmi, per sterminarci meglio, per massacrare quel poco di vita di cui ancora qualche decennio fa disponevamo. 

La vita degli uomini, gli esseri umani, proprio loro, sì, imperfetti, cattivi, balordi, carogne, eppure anche raffinati, delicati, gentili talvolta, quella brutte bestie che eravamo, usciti da non si sa bene quale esperimento sbagliato, però ancora riconoscibili un tempo, pronti persino a fare catena, come diceva il poeta, a star vicini (e non da uno schermo) a chi crepava, a chi nasceva, a chi arrancava, e perfino alle piante, e agli animali, quando non li massacravamo per una festa del Ringraziamento qualsiasi.

E quanto entusiasmo per l’intelligenza artificiale! Che kermesse di scienziati, gli uomini che hanno venduto la propria anima alle cifre, i meno indicati per dirci anche solo una parola sensata su questa nuova imperdibile invenzione! Per l’intelligenza artificiale si celebrano già i giusti peana. Avanti così, come le schizofreniche che si augurano l’avvento, al posto degli uomini e delle donne, dei cyborg, finalmente liberati dalla schiavitù del sesso dichiarato alla nascita, quello biologico, a favore del quelcazzochemipare, slogan già asceso nel tempo a filosofia di massa grazie al liberismo senza freni ma oggi mantra dell’intero pianeta. Tutti insieme, dai: “checazzocenefrega”, iofaccioquelcazzochemipareenessunoproviacontraddirmi”, avanti così!

Zumpappazumpappazumpappappà!

L’unica cosa da augurarsi è che l’intelligenza artificiale, sicuramente migliore della nostra, sfugga di mano agli apprendisti stregoni che ce l’hanno nelle loro mani adesso e, lasciata a sé stessa, ci guardi con un po’ di compassione (ce ne avrà di sicuro di più lei, checché se ne dica) e rimetta le cose un po’ in ordine, ci restituisca il senso di qualche priorità (sopravvivere eh? O è troppo?) e metta in castigo la nostra sconfinata arroganza, il nostro insopportabile autismo, insomma la merda che siamo diventati.