La dieta mediterranea è da sempre considerata un veicolo fondamentale per alcune tradizioni e per la cultura alimentare del nostro Paese, oltre che per un sostegno significativo all’economia, anche se da sempre questi riconoscimenti subiscono qualche critica, dovuta alla difficoltà di trasportare una dieta così specifica a realtà così diverse come quelle che si trovano nel mondo, per di più riconosciute nella visione globalizzata del nostro Pianeta.

Una risposta puntuale a questi dubbi è venuta dalla Università Federico II di Napoli con una proposta ripresa anche da Nature il più prestigioso giornale scientifico al mondo. La proposta è quella di esportare la dieta mediterranea nel mondo adattandola ai cibi giusti di ogni Continente. Nature ha considerata geniale l’idea trasformandola in un editoriale girato, vista la diffusione del giornale, al mondo intero e tale da giustificare una nuova denominazione, non più dieta mediterranea, ma planeterranea.
Resta il carattere di un regime alimentare basato sulla completezza dei nutrimenti provenienti da alimenti freschi, stagionali con basso indice glicemico, conditi con olio extravergine. Nella nuova versione planiterranea la dieta mediterranea potrà accogliere quindi alimenti asiatici come anche sudamericani con nuove piramidi alimentari locali che però dovranno attenersi alle regole della dieta mediterranea, principalmente a base vegetale, frutta fresca e secca, con apporto adeguato di grassi mono e poli-insaturi, con farina integrale, legumi e, in quantità limitata, pesce, latticini, carne.

Gli studiosi che hanno formulato la proposta si sono spinti oltre, fino ad individuare, continente per continente, gli alimenti equivalenti ai fini della dieta.
Un esempio molto rappresentativo è rappresentato dai cibi algali tipici dei paesi subtropicali, raccomandati contro l’ipertensione, costituenti una fonte importante di fibre, proteine, polisaccaridi, sali, vitamine.
In Canada l’olio estratto da una modificazione della colza e e da alcune variazioni di fagioli si fanno consigliare come alimenti contro l’accumulo di colesterolo.
In Africa i prodotti estratti dalla manioca risultano pienamente corrispondenti per proprietà ai nostri spinaci.
In America Latina avocado e papaia sono fonti di acidi grassi mono insaturi, vitamine e polifenoli.

La dieta planiterranea verrà diffusa attraverso una piattaforma ad hoc con il fine di contrastare malattie ed obesità.
Per quanto riguarda le prime la proposta rinforza ulteriormente la cultura nutraceutica, secondo la quale molti dei principi attivi dei farmaci possono essere introdotti nell’organismo attraverso alimenti con proprietà antinfiammatorie antidolorifiche, antiossidanti, antimicrobiche, antivirali così contribuendo a ridurre uno degli inquinamenti del nostro tempo sempre più presenti, quello  da farmaci e loro prodotti metabolici che ha causato il moltiplicarsi in 3-4 decenni per 30 dell’inquinamento da farmaci delle acque dei fiumi europei.
Per il secondo aspetto c’è da osservare che adolescenti e genitori sono persone per il 30% inconsapevoli della loro condizione di obesità, come risulta da un recente studio internazionale “Action Teens“. Questa incoscienza della patologia porta a non contrastarla con conseguenze anche peggiori della causa primaria. L’Italia è purtroppo tra i Paesi a maggiori valori di sovrappeso ed obesità nei giovani in età scolare le cui conseguenze possono essere prevenute a patto di interventi tempestivi e finalizzati. 

Vale la pena di fare anche un po’ di storia circa la dieta mediterranea.
Sono oltre 50 le sigle Associative dei consumatori e dei produttori alimentari, dei cultori del cibo e degli ambientalisti, facenti parte della Comunità Dieta Mediterranea che hanno lanciato un appello in favore di essa.
Risale al 16 novembre 2010 il riconoscimento da parte dell’Unesco della Dieta Mediterranea come patrimonio culturale immateriale dell’umanità, un riconoscimento importante che corona il sogno di un eroe civile come Angelo Vassallo soprannominato il “sindaco pescatore”, che politicamente si distingueva per un marcato ambientalismo. Vassallo, il cui comune è stato l’epicentro degli studi sui regimi alimentari mediterranei (molti degli studiosi del Seven Countries Study, come Ancel Keys, Jeremiah Stamler, Flaminio Fidanza e Martti Karvonen, avevano stabilito la loro residenza estiva nella frazione comunale di Pioppi), si è fatto promotore nel 2007 della proposta di inclusione della dieta mediterranea tra i patrimoni orali e immateriali dell’umanità.
Dopo un lungo negoziato, durato 3 anni, la candidatura italiana venne approvata dall’Unesco il 16 novembre 2010, nel corso del 3° comitato del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco svoltosi a Nairobi. La delegazione italiana in Kenya, guidata per conto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali dal professor Pier Luigi Petrillo, decise di dedicare il riconoscimento proprio ad Angelo Vassallo, generando grande commozione in tutti i delegati internazionali che a lungo applaudirono il riconoscimento.

Tutto bene dunque? Non proprio.
La dieta mediterranea è oggi sotto attacco da parte di un gruppo di multinazionali, colossi del cibo omologato ed ultraprocessato, che trova supporto anche in componenti nazionali e che sta cercando, a detta dei firmatari l’appello, di svilire ed accaparrarsi di questo patrimonio.
Collegata di certo a questo appello è la battaglia per l’etichettatura degli alimenti che diviene, attraverso la label, una medaglia appesa al petto per la dieta mediterranea ed al tempo stesso un autocertificazione di processazione per molti alimenti risultato di elaborati processi di trattamento.
I due fatti messi insieme giustificano l’esito di un rapporto Censis secondo cui il settore agricoltura è visto come una prospettiva futura e non come retaggio del passato ed il 75% degli adulti è ben contento se figli o nipoti scelgono di lavorare nei campi. Viene capovolto lo  stereotipo del passatismo rurale tanto che di quel 75% la maggioranza vive in città con più di 500 mila abitanti.