Come il modello neoliberale ha ri-messo a valore la nostra intera esistenza.

L’indebitamento dello Stato era, al contrario, l’interesse diretto della frazione della borghesia che governava e legiferava per mezzo delle Camere. Il disavanzo dello Stato era infatti il vero e proprio oggetto della sua speculazione e la fonte principale del suo arricchimento. Ogni anno un nuovo disavanzo. Dopo quattro o cinque anni un nuovo prestito offriva all’aristocrazia finanziaria una nuova occasione di truffare lo Stato che, mantenuto artificiosamente sull’orlo della bancarotta, era costretto a contrattare coi banchieri alle condizioni più sfavorevoli. Ogni nuovo prestito era una nuova occasione di svaligiare il pubblico, che investe i suoi capitali in rendita dello Stato.

K. MARX, “Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850”, 1850.

Con queste parole terribilmente attuali di Marx si apre il libro “La fabbrica dell’uomo indebitato” di Maurizio Lazzarato, sociologo e filosofo, che vive e lavora a Parigi, dove svolge attività di ricerca sulle trasformazioni del lavoro e le nuove forme dei movimenti sociali, in estrema sintesi, nel libro l’autore ci descrive come il sistema del debito sia alla base della struttura del capitalismo da sempre.
Gli uomini nel corso della storia sono stati soggiogati in vari modi ma il modo più frequente ed efficace è stato quello di renderli debitori (David Graeber, antropologo statunitense); precarizzare sempre di più le condizioni di vita delle persone, aumentare il costo delle loro necessità e costringerle così a chiedere prestiti continui in modo da entrare

“in un circolo vizioso e senza fine di interessi e di nuovi prestiti a condizioni ogni volta peggiori per ripagarli” (M. Bersani, filosofo);

l’obiettivo finale è quello di mettere le persone in condizione di non poter mai ripagare il loro debito e di farle diventare schiave del loro creditore, il tutto affinché paghino continuamente il creditore e arrivino addirittura a vendere se stesse.
Come ci spiega Thomas Piketty nell’introduzione a “Debito. I primi 5000 anni”, l’opera di Graeber è fondamentale perché ci racconta una storia molto simile a quella dell’uguaglianza e della diseguaglianza (di cui Picketty si è molto occupato nei suoi libri più famosi, primo fra tutti “Il capitale nel XXI secolo”); nel libro di Graeber la connessione tra debito, potere e forme estreme di dominazione sociale è di importanza cruciale per capire le disuguaglianze e le ingiustizie nella storia dell’uomo, in particolare la connessione tra debito e schiavitù.

La relazione debitore/creditore come rapporto di potere

La creazione della relazione debitore/creditore è fondamentalmente un rapporto di potere, non c’è stato bisogno di nessun uso della forza, gli individui e gli Stati sono formalmente liberi anche da indebitati, l’importante e che rispettino il vincolo del debito contratto e organizzino il loro stile di vita e il loro futuro in modo da garantirne il rimborso (austerità).
La precarizzazione del lavoro (quindi l’abbassamento del salario, il peggioramento delle condizioni economiche e di vita del lavoratore), la privatizzazione dei servizi pubblici (quindi l’aumento del costo di servizi come sanità e istruzione), la mercificazione dei beni comuni (generalmente beni indispensabili alla sopravvivenza umana come acqua, gas, elettricità che non dovrebbero essere gestiti da privati) non sono estrazioni di valore ottenuti con l’uso di brutali atti di forza e di potere, ma la naturale conseguenza di  quel vincolo di debito liberamente contratto.
La relazione debitore/creditore non è, cioè, un rapporto fra pari (in questo caso il debito non sarebbe da demonizzare ma potrebbe essere addirittura uno strumento utile) ma diventa invece

“un rapporto diseguale di potere basato sul ricatto del più forte e sulla rassegnazione del più debole”

tanto più quando avviene alle condizioni più sfavorevoli per il debitore. (M. Bersani, 2017).

Il debitore non sarà mai in grado di ripagare il suo debito perché è stato messo in condizioni di non poterlo fare e del resto le più grandi paure di un usuraio sono la morte del debitore e il saldo del debito; in entrambi i casi (quindi da evitare) il creditore perderebbe una entrata certa e periodica e non potrebbe disporre delle ricchezze, del tempo e della stessa vita del debitore; la relazione debitore/creditore deve quindi essere una continua estrazione di valore e sudditanza.

“Il debito, nelle sue varie forme, è divenuto il presupposto delle attuali modalità di assoggettamento e, come tale, deve essere riprodotto piuttosto che saldato” (E. Stimilli)

In “Debito e colpa” Elettra Stimilli (filosofa teoretica) ci spiega come il concetto di debito sia stato ormai interiorizzato in modo coercitivo come colpa nell’esistenza delle persone mentre il suo pagamento viene invece percepito come dovere; questa interiorizzazione colpa/dovere è l’asse fondante della rassegnazione e dell’ineluttabilità della condizione debitoria, in un quadro esistenziale

“fondato sulla solitudine competitiva, in cui l’orizzonte collettivo è disegnato dal concetto di ‘uno su mille ce la fa’ e l’orizzonte individuale dal concetto di ‘io speriamo che me la cavo’ “. (M. Bersani, 2017)

Riduzione delle disuguaglianze nel XX secolo

Già nel 1850, Marx ci avvertiva quindi di come il debito, sia pubblico che privato, di per sé uno strumento utile, se praticato con tassi da usura, e mantenendo quasi in bancarotta il debitore, poteva diventare un dispositivo politico di dominio e controllo sull’intera società.

Nel suo “Il capitale nel XXI secoloPiketty studia i percorsi che hanno condotto alla realtà socioeconomica di oggi; le rivolte e le rivoluzioni, le lotte sociali e le crisi di qualsiasi natura, comprese le due guerre mondiali hanno svolto un ruolo decisivo per l’affermazione di un processo storico orientato verso l’uguaglianza e la riduzione delle disuguaglianze dei redditi e delle proprietà e un ruolo determinante nella “grande redistribuzione” avvenuta tra il 1914 e il 1980.
Alla fine della Seconda guerra mondiale la maggioranza dei paesi coinvolti nel conflitto

“farà la scelta di non rimborsare il debito e di dare la precedenza ad altre priorità, economiche e sociali, combinando tre serie di misure già sperimentate dopo il primo conflitto mondiale: annullamenti puri e semplici, inflazione e prelievi eccezionali sui patrimoni privati”. (T. Piketty, 2021)

Questa forte riduzione delle differenze di reddito e patrimoniali ha permesso uno sviluppo incredibile dello Stato sociale ed ha migliorato la condizione delle classi medie e popolari, favorendo uno sviluppo economico generalizzato ed un progresso umano senza precedenti.
Piketty ci mostra, cioè, come la crescita economica del XX secolo e la diffusione dell’istruzione ci abbiano permesso di evitare le disuguaglianze su scala apocalittica secondo le profezie di Marx.

Ritorno delle disuguaglianze

Lo stesso Piketty ci spiega però che non avendo modificato le strutture profonde del capitale e dell’ineguaglianza ci ritroviamo oggi di nuovo in condizioni di disuguaglianza estrema come all’inizio del XX secolo. Negli Stati Uniti

la concentrazione dei redditi ha ritrovato negli anni 2000-2010, o addirittura oltrepassato, il livello record degli anni 1910-1920”. (T. Piketty, 2014)

Oggi, il valore del capitale finanziario e immobiliare nei paesi ricchi è equivalente a sei anni di produzione e di reddito nazionale, un rapporto simile a quello che esisteva nel XIX secolo.
Il risultato è che oggi otto uomini possiedono la ricchezza di 3,6 miliardi di persone e all’aumentare del debito pubblico in tutti i paesi industrializzati è corrisposto un aumento dell’indice di Gini (il principale indicatore per misurare le disuguaglianze, più alto è il valore, più alta è la concentrazione di ricchezza).

Rinascita dell’economia a debito

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale iniziò un periodo di crescita economica senza precedenti nella storia che portò ad una progressiva crescita dei salari, ad un enorme crescita della produzione, ad una elevata inflazione e ad una saturazione dei mercati che produssero in quegli anni una notevole erosione dei profitti.
Da questa situazione nasce il conflitto fra capitale e lavoro che porterà all’affermazione del liberismo; la sconfitta politica del lavoro e la vittoria del capitale comporterà un arretramento progressivo sempre più marcato dello Stato nelle politiche socioeconomiche, l’affermazione di politiche di privatizzazione e lo smantellamento continuo dello Stato Sociale.
Il capitale si riprende gli spazi che aveva perduto durante il periodo dei “Trenta gloriosi” (1945-1975), ossia il periodo intercorso tra la fine della Seconda guerra mondiale e la stagflazione degli anni Settanta che costituirà il trampolino di lancio per la controffensiva neoliberista prima anglosassone e poi continentale.

La favola liberista che seguirà, con i governi Thatcher in Gran Bretagna e Reagan negli USA, pur producendo una grande ricchezza non vedrà alcuna redistribuzione sociale e le disuguaglianze nel pianeta segneranno un record mai visto nella storia dell’umanità.
Il modello liberista si troverà immerso in una crisi da sovrapproduzione e in una mancata allocazione su nuovi mercati; una stragrande maggioranza della popolazione mondiale talmente impoverita da non avere più alcun potere di acquisto e una piccola parte di popolazione che pur conservando una certa capacità di acquisto aveva già comprato e consumato quanto era nelle proprie possibilità. (M. Bersani, 2017)
È a questo punto che il modello capitalistico decide di modificare il proprio agire e inizia a trasferire enormi risorse direttamente sui mercati finanziari; vista la difficoltà ad ottenere profitti scambiando merci si passa alla ricerca di profitti semplicemente scambiando denaro.

“In questo quadro si afferma l’economia del debito, che diventa il vero motore economico degli ultimi decenni. In altre parole, si persegue la crescita con mezzi non convenzionali e si avvia un imponente e crescente processo di indebitamento dei consumatori e delle imprese in modo da garantire i consumi anche in una situazione di drastica contrazione dei redditi e dei salari. La finanziarizzazione diventa l’impalcatura della nuova economia a debito.” (M. Bersani, 2017)

Nell’epoca neoliberale, il debito smette di essere un dispositivo economico per diventare una sorta di tecnologia che riduce l’incertezza sul futuro comportamento dei debitori; il capitale, educando i debitori a onorare il proprio debito, dispone anticipatamente del loro futuro.
Nell’epoca industriale il capitale cercava di appropriarsi del tempo di lavoro dell’individuo; nell’economia del debito siamo ben oltre l’appropriazione del tempo di lavoro, siamo

“al diritto di prelazione anche sul tempo non cronologico, sul futuro di ognuno e sull’avvenire della società nel suo complesso”. (M Lazzarato, 2012).

Uscire dalla trappola del debito

Nel suo bellissimo libro Marco Bersani ci offre una contro-narrazione su come uscire dalla trappola del debito, un’ideologia totalitaria che porta con sé la forza egemonica di un modello neoliberale in cui la finanziarizzazione del capitalismo permea l’intera vita delle persone con l’obiettivo mal celato di metterne a valore l’intera esistenza; un’ideologia che ci ha portato purtroppo oggi alla tragica realtà di un impoverimento di massa scientificamente praticato.
Di seguito una estrema sintesi della contro-narrazione di questo modello che Bersani fa nell’ultimo capitolo del suo libro di cui consiglio vivamente la lettura, sono tutti punti molto dettagliati che ho cercato di sintetizzare in poche righe:

  1. Annullare i debiti illegittimi: il debito delle banche private è stato trasformato in debito pubblico degli Stati ed è stato da questi scaricato sui cittadini.
  2. Maastricht, 25 anni bastano: il Trattato impone infatti il divieto per i paesi membri dell’Unione Europea di ricorrere all’assistenza finanziaria dell’Unione, di altri paesi membri o delle Banche centrali, obbligando gli Stati a rivolgersi ai mercati e alla finanza privata per il proprio fabbisogno di finanziamento, soggiacendo alle condizioni più sfavorevoli e consegnando loro la propria autonomia politica. Per approfondire, vedere anche “Cosa salverà l’Europa. Critiche e proposte per un’economia diversa” a cura di B. Coriat, T. Coutrot, D. Lang e H. Sterdyniak (autori del “Manifesto degli economisti sgomenti”).
  3. Fermare i trattati di libero scambio: i vari Ttip-Ceta-Tisa, servono solo a trasformare il mondo in un’area planetaria di libero scambio che superando i confini tradizionali fra Stato e privati e tra governi e imprese, si sottrae di fatto a ogni possibile controllo democratico; praticamente l’utopia delle multinazionali, un pianeta al loro completo servizio, dallo stato di diritto allo stato di mercato.
  4. Disarmare i mercati: un capitale privo di confini può muoversi liberamente dove maggiormente gli conviene, determinando a suo piacimento le scelte di politica economica e sociale degli Stati. Gli investitori possono così veicolare i propri capitali laddove potranno realizzare maggiori profitti, costringendo gli Stati a competere sul rendersi attrattivi dal punto di vista dei mercati: e quindi diminuzione dei salari, flessibilità, precarizzazione, diminuzione pressione fiscale sulle imprese, tolleranza dell’evasione fiscale; a queste iniziative sono speculari, per compensare, aumento delle tasse sulla popolazione, riduzione della spesa pubblica e aumento dell’indebitamento con i privati per le necessità di finanziamento.
  5. Socializzare il sistema bancario e finanziario: la privatizzazione del sistema bancario è uno degli assi su cui è stata costruita l’economia del debito, va vietata come immorale la socializzazione delle perdite e porre un argine allo strapotere delle banche, bisogna creare un servizio pubblico per risparmi, credito e investimenti, si tratta semplicemente di riappropriarci di quello che ci appartiene.
  6. Riappropriarsi socialmente dei beni comuni: beni comuni naturali, come aria, acqua, territorio, energia, necessari alla vita e alla qualità della stessa e beni comuni sociali, come istruzione, sanità, casa, previdenza, cultura, comunicazione, conoscenza, frutto delle lotte popolari di emancipazione e necessari alla dignità della vita delle persone.

Bersani ci invita in sostanza a demistificare la narrazione del modello neoliberale ed iniziare a pensare ad un ripudio di un debito ormai diventato usura legalizzata, è stato già fatto nella storia ed ha portato sempre con sé rinascita economica e sociale per tutti. Le strade che dobbiamo iniziare a percorrere sono quelle che ci portano, con le lotte sociali, alla de-finanziarizzazione della società, attraverso la riappropriazione sociale di tutta la ricchezza collettivamente prodotta.

“Si tratta, di fronte a chi continua ad affermare ‘È tutto oro quello che luccica’, di iniziare a rispondere tutte e tutti insieme ‘Non è tutto loro quello che luccica’”. (M. Bersani, 2017)

Risorse bibliografiche

  1. T. Piketty “Una breve storia dell’uguaglianza” (La nave di Teseo, 2021).

  2. M. Bersani. “Dacci oggi il nostro debito quotidiano. Strategie dell’impoverimento di massa” (DeriveApprodi, 2017).

  3. E. Stimilli “Debito e colpa” (Ediesse, 2015).

  4. T. Piketty “Il capitale nel XXI secolo” (Bompiani, 2014).

  5. Aa. Vv. “Cosa salverà l’Europa. Critiche e proposte per un’economia diversa” (minimunfax, 2013).

  6. Aa. Vv. “Manifesto degli economisti sgomenti” (minimunfax, 2012).

  7. M. Lazzarato “La fabbrica dell’uomo indebitato. Saggio sulla condizione neoliberista.” (DeriveApprodi 2012).

  8. D. Graeber. “Debito. I primi 5000 anni” (Il Saggiatore, 2024 – prima ed. 2011).

  9. K. Polanyi, “La grande trasformazione” (Einaudi, 2010; prima ed. 1944).

Articoli dal Web

  1. F. Zappino, E. Stimilli “Dei debiti e delle colpe del vivente” (Doppiozero, 29 giugno 2015).

  2. S. Golfari, Morosini: ripartiamo con Piketty, verso i nuovi Trenta gloriosi” (gliStatiGenerali, 10 giu 2020).

  3. S. Guarracino, “Le crisi dell’età contemporanea: 1929, 1973, 2008”, (Novecento.org, n. 2, 2014. DOI: 10.12977/nov28).

  4. M. Amato, L. Gobbi, “Fu vera gloria? Ripensando i Trenta Gloriosi” (PandoraRivista, 16 marzo 2020).