In un tempo molto lontano due uomini si incontrarono. E uno chiese all’altro: «Chi sei tu?»
Quello rispose: «Sono uno sciocco, e mi chiamo lavoratore. Adesso dimmi, tu chi sei?»
«Io», rispose l’altro, «sono un uomo saggio; mi chiamano gentiluomo».
«E cosa fai?»
«Insegno agli sciocchi come te».
«Mi insegneresti?»
«Con piacere, seguimi».
Lo sciocco andò con l’uomo saggio, che lo portò dove c’erano una pila di mattoni e un mucchio di legna. «Costruiscimi una grande villa e una piccola capanna», disse l’uomo saggio.
Lo sciocco lo fece, e quando ebbe finito l’uomo saggio gli diede un po’ di denaro, dicendogli: «Io vivrò nella villa perché me la sono meritata per via del mio intelletto; tu invece vivrai nella capanna, perché è più adatta a te che sei uno sciocco, non apprezzeresti le raffinatezze artistiche di quella villa, e coi tuoi stivali chiodati rovineresti i costosi tappeti; e dal momento che la capanna mi appartiene (ricordi di averla costruita per me), mi sembra giusto che tu debba pagarmi un affitto per avere il diritto di abitarci dentro».
Lo sciocco si sistemò allora nella piccola capanna, e pagò l’affitto, dicendosi: «Che uomo per bene; non avrei mai pensato di costruirmi una capanna se lui non me l’avesse chiesto, e non potrei permettermi l’affitto se lui non mi avesse dato una paga giornaliera».
Dopodiché l’uomo saggio portò lo sciocco all’ingresso di una miniera, e disse: «Estrai il carbone dalle viscere della terra, e quando ce ne sarà abbastanza per me tu potrai utilizzare la cenere che resta per scaldarti».
Lo sciocco fece quanto gli era stato detto e affermò: «Quest’uomo non soltanto è saggio ma è anche buono, perché mi concede la sua cenere per scaldarmi quando avrebbe potuto buttarla via senza pensarci troppo».
L’uomo saggiò poi disse allo sciocco: «Mi serve qualcuno che mi vesta, mi prepari da mangiare, ecc.; manda qualcuno dei tuoi figli a farmi da servo».
E lo scioccò mandò i suoi figli, pensando tra sé: «Questa è un’ottima cosa, il gentiluomo insegnerà loro come ha insegnato a me, e un giorno anche loro potranno diventare gentiluomini».

Qualche giorno dopo quello sveglio dei due disse all’altro: «Quando ho preso a servizio i tuoi figli sono stato costretto ad aumentare le mie spese; sarà dunque il caso che ti accontenti di un salario più basso di modo che io sia in grado di remunerarli equamente».
Il sempliciotto si grattò per un attimo la testa, ma alla fine convenne: «Oh, sì, i miei figli devono essere pagati, assolutamente. Molto bene, dobbiamo vivere tutti».
E ancora l’uomo col cervello disse a quello senza sale in zucca: «Costrusci due scuole per me, una ampia e spaziosa l’altra piccola e angusta dove potranno essere educati i tuoi figli».
«Perché», rispose l’altro, «una delle due deve essere più grande?»
«La ragione è che i miei figli sono nati dotati e svegli, proprio come me, e necessitano di un’educazione di alto profilo così da poter sviluppare a pieno le loro potenzialità intellettuali. D’altra parte invece i tuoi figli, essendo la genia di uno sciocco, saranno certo destinati al lavoro manuale, proprio come te, e dunque la scuola più piccola sarà più che sufficiente. Ovviamente non ti potrai mica aspettare che i tuoi figli vengano educati gratis, dovrai pagare per il servizio».

Infine un bel giorno quell’uomo ingegnoso e scaltro fu preso da un eccesso di cattivo umore in presenza dello sciocco, e gli disse:«Stavi pensando?»
«», rispose l’altro.
«Non te lo consento. Se lo rifarai dovrò punirti».
«Oh», gridò il sempliciotto, lasciando cadere in terra i suoi attrezzi da lavoro, «ti sei smascherato da solo. Se fossi intelligente quanto immagini di essere sapresti bene che è impossibile, anche per uno sciocco come me, fare a meno di pensare una volta ogni tanto. Ho capito chi sei veramente adesso. Sei una canaglia!»

Il giorno dopo lo schiavo issò una bandiera rossa. Si armò e si ribellò al suo padrone. Pensare era stato l’inizio della rivoluzione, il cui compimento deve ancora giungere.

 

*** WILLIAM CRAWFORD ANDERSON, 1877-1919, sindacalista e giornalista, “Lo sciocco e l’uomo saggio“, da AA.V.V, “Fate e martello. Favole operaie per risvegliare il bambino socialista che è in te“, Einaudi Quanti (edizione in solo formato digitale), 2022, traduzione di Andrea Mattacheo
(NB: formattazione in più paragrafi rispetto all’originale). Anche in ‘narratur-in1pagina’, pubblicazione a circolazione riservata via email, #618, 9gen25

URGONO NUOVI SCIOCCHI (mf)

Se gli ‘sciocchi’ e i ‘saggi’ sono quelli evocati in questa favola scritta ai primi dell’altro secolo, contro i ‘saggi’ di oggi abbiamo urgenza di promuovere il più possibile una maggioranza intensa, partecipe e combattiva, di nuovi ‘sciocchi’.
Non so quale debba essere il colore delle bandiere da alzare: magari non rosse, ma certo non quelle bianche della resa. E non so se il termine ‘rivoluzione’, carico di emozioni seducenti ma anche di conseguenze rivelatesi nefaste, che hanno tradito speranze e ideali di masse che giuravano di poter cambiare il mondo, sia il più appropriato da usare per questo secolo. Ma certo dobbiamo trovare una nuova parola che indichi un netto ‘rovesciamento’ di prospettive e di azioni: un capovolgimento sostanziale, e non un semplice slogan. Perché ciò che stiamo registrando, specie in Occidente, è che i ‘saggi’ di oggi sono sempre più ‘sedicenti’ e i ‘cosiddetti sciocchi’, che potrebbero essere decisamente più saggi dei ‘sedicenti saggi’, stanno paurosamente scomparendo. O perché disinteressati a tutto, tranne che a sé stessi, o perché abbindolati da Grandi Imbonitori creduti ‘saggi’, che cianciano di paradisi e stanno per produrre inferni.

Il terzo millennio ci getta in faccia, con una violenza che è difficile scansare, il rischio assai imminente, e probabilmente già in atto, di almeno tre collassi. Vengono avanti in parallelo, a velocità crescente, e stanno per travolgerci il collasso geopolitico, il collasso ambientale e il collasso psico-sociale.
Il primo, all’origine del disfacimento dell’ordine internazionale presente, sostituisce il tentativo di affermare il diritto che regola i rapporti tra Paesi con la realtà fattuale e brutale della ferocia delle guerre e del comando assunto dai più forti: è il trionfo, a livello di Stati oltre che di persone, dell’homo homini lupus.
Il secondo mette a repentaglio la stessa sopravvivenza umana sul Pianeta, inducendo addirittura alcuni a sognare fughe fantascientifiche su Marte, invece di combattere l’asfissia imminente da anidride carbonica con cui ci stiamo suicidando.
E il terzo, con le azioni di sterminio, quando non di genocidio, di interi popoli cui stiamo assistendo con un’indifferenza di fatto mai così vergognosamente esibita, mette in forse l’‘umanità’ stessa nel suo duplice significato di:
(a) ‘esseri umani’ che abitano la Terra e
(b) ‘sentimento essenziale’ di rispetto, comprensione e vicinanza verso l’altro, che dovrebbe essere la nostra qualità distintiva rispetto alle bestie.

In questa complessità che vira ogni giorno verso il disordine più caotico, non ci sono soluzioni immediate e miracolistiche. E tutto può davvero crollare, in una sinergia implosiva prodotta dai tre rischi sopra citati. Forse, come unico possibile antidoto al tracollo generale, resta ancora, nonostante tutto (ma soltanto se ci diamo, qui ed ora, una mossa che richiama il colpo di reni dei campioni di ciclismo), una possibilità teorico-pratica, da alimentare, rinvigorire e diffondere quanto più possibile: quella che viene evocata nel finale della favola. Quando il sedicente ‘saggio’, all’apice del suo disprezzo per lo ‘sciocco’, chiede allo ‘sciocco’ se sta ‘pensando’, perché in quel caso gli anticipa che non sfuggirà all’estrema punizione. Rileggiamo la risposta, fieramente orgogliosa, del cosiddetto ‘sciocco’: è gridata in faccia, tagliente e netta come uno schiaffo, ed è precisa e convinta: «Se fossi intelligente quanto immagini di essere, sapresti bene che è impossibile, anche per uno sciocco come me, fare a meno di pensare una volta ogni tanto».

Ecco: c’è chi ha investito nella ‘bellezza’ ogni speranza di salvezza del mondo. Io, anche perché registro quotidianamente la distruzione di troppa ‘bellezza’ operata con disinvolta sicumera da Folli e Despoti che presiedono alle sorti del mondo, preferisco credere nel ‘pensiero’. Quello ‘critico’, ovviamente (e l’aggettivo è pleonastico, perché se non è ‘critico’, non è pensiero).
Certo, questa credenza può rivelarsi l’ennesima illusione. Il pensiero-di-per-sé, anche quando è ‘critico’, è condizione indispensabile, ma insufficiente: perché se non è ‘buono’ (il che significa, per esempio, che cerca di ispirarsi al bene comune, alla convivenza civile, al rispetto e alla dignità delle persone e infine alla interdipendenza fisiologica di tutti i fattori che fanno ‘complessità’, abbandonando una stucchevole retorica parolaia che mira solo a consolazioni ingannevoli), anche il pensiero non salva. Addirittura, l’abbiamo visto nel passato e lo rivediamo oggi, può uccidere. Uccide, forse meno di quanto sarebbe giusto attendersi, chi ne è autore (perché spesso riesce a sfuggire ai suoi crimini). Ma sicuramente, con gli atti che ne derivano, fa strage di chi, di questo ‘cattivo pensiero’, diventa oggetto manovrato dai nuovi (sedicenti) ‘saggi’: fa strage di tutti noi, insomma.

Massimo Ferrario