Il parco di Rentilly, a pochi chilometri da casa, è un posto in cui spesso vado a passeggiare, fra ampi prati verdi, comodi viali, grandi alberi secolari fra cui monumentali sequoie, boschi e frutteti. Al centro si trovano grandi bacini d’acqua in cui si riflette uno strano edificio tutto fatto di specchi. Si tratta del castello, che ospita mostre temporanee d’arte ed eventi culturali. L’edificio si presta ad alcune considerazioni su stakeholder, punti di vista e paradigmi mentali. Come docente accreditato dell’ISIPM (Istituto Italiano di Project Management) ho tenuto corsi sulle relazioni con gli stakeholder in progetti tradizionali e agili, quindi mi piace affrontare il discorso con l’approccio del teorico e del divulgatore.

L’anno scorso ho fatto questo disegno che raffigura un dejeuner sur l’erbe sotto uno dei giganteschi alberi del parco di Rentilly, come l’ho colto durante una delle mie passeggiate, a cui ho aggiunto la citazione del celebre quadro di Manet, che avevo appena visto avendo accompagnato al Musée d’Orsay alcuni giovani amici. Il disegno fa parte della raccolta Flâneries latignaciennes, 30 disegni ispirati dalle mie passeggiate nel centro abitato di Lagny sur Marne e nel suo territorio, in cui vivo dal 2016, che si possono vedere nel sito che presenta la mia attività artistica.

Il castello è stato costruito nel XVI secolo, ricostruito verso la fine del XVIII sec. e ancora rimaneggiato in seguito, per raggiungere insieme col parco il suo momento migliore nella prima metà dell’800. Successivamente cambia diversi proprietari, fra cui la celebre coppia Jacquemart-André che dà il nome ad un pregevole museo parigino, viene semidistrutto e ricostruito più volte, fino a quando fu requisito e adibito a caserma nella II Guerra Mondiale. Incendiato dalle truppe tedesche in ritirata nell’agosto 1944, la famiglia Menier che ne aveva la proprietà – i famosi ricchissimi cioccolatai di Noisiel – lo fece ricostruire in stile direttorio nel 1957. Poco dopo però l’edificio venne abbandonato e spogliato di mobili e decori. Un primo progetto di ricostruzione non va in porto per le proteste e l’opposizione di stakeholder locali, e la proprietà nel 2001 passa alla Communauté d’Agglomération de Marne et Gondoire, che ingrandisce e migliora il parco e nel 2011 bandisce un concorso per la ricostruzione di un nuovo edificio che deve integrarsi nel parco.

Fonds Famille Menier

La cartolina mostra l’aspetto del castello e dei bacini-fontane al tempo della proprietà Menier,
prima della guerra, secondo gli ampliamenti e le modifiche in stile Luigi XIII fatti dagli André.
L’austero e sontuoso stile seicentesco andava di moda nelle architetture del tardo Ottocento, per la forte influenza che hanno avuto gli architetti Mansart e De Brosse. I tre grandi bacini d’acqua a cascata in cui si specchia l’allora facciata posteriore del palazzo furono fatti nel 1865 da Edouard André in conglomerato di cemento, un materiale innovativo per l’epoca, insieme con la risistemazione del parco.

Il salone della musica e il ballo all’aperto servono a dare un’idea del lusso in cui vivevano le ricche
famiglie degli André e dei Menier, un lusso che aveva colpito anche lo scrittore Gustave Flaubert ospite degli André. L’incendio del 1944 e le successive depredazioni hanno distrutto tutto ciò.

La foto mostra il castello ricostruito dai Menier nel 1957. Come si vede l’edificio precedente è andato completamente distrutto, e questo edificio, per il suo aspetto e per lo stile di 150 anni prima, non presenta grandi pregi architettonici. Nel 1988 i Menier vendono la proprietà all’Établissements Publics d’Aménagement de Marne-la-Vallée, l’ente di coordinamento e sviluppo urbanistico del territorio, che pensa di farne un comprensorio lussuoso capace di attirare nella nuova città diffusa Marne la Vallée operatori economici di alto livello, con un parco d’affari da affiancare alla nuova sede della IBM Europe. Comincia la costruzione di complessi di uffici, ma insieme con essa partono le azioni di protesta dei politici di Marne-et-Gondoire a sostegno delle associazioni di abitanti della zona, che riescono a bloccare i lavori, a ottenere l’annullamento legale dei permessi edilizi, la dichiarazione di zona protetta per il parco, fino ad arrivare alla demolizione delle costruzioni moderne avvenuta nel 2006.
Nel 2001 la Communauté d’Agglomération Marne-et-Gondoire acquista la proprietà e apre il parco al pubblico nel 2006. La Comunità di Agglomerazione è un ente pubblico che raggruppa e coordina diversi comuni in un insieme di più di 50.000 abitanti, comprendente un comune di oltre 15.000 abitanti, secondo una legge del 1999.
Nel 2012 la Comunità stabilisce di riutilizzare il castello fatiscente come ambiente espositivo per il FRAC Île-de-France, il fondo regionale per l’arte contemporanea, e affida il progetto allo studio degli architetti Bona-Lemercier, con la collaborazione dell’artista Xavier Veilhan e dello scenografo Alexis Bertrand. I progettisti si pongono il problema dell’alternativa fra restaurare l’esistente o abbatterlo e costruire un edificio completamente nuovo. Nell’ambiente parigino inserire costruzioni modernissime accanto ad edifici o entro tessuti urbanistici storici non scandalizza più che tanto, come dimostrano la Pyramide du Louvre o il Centre Pompidou.
I progettisti dunque finiscono con lo scegliere una soluzione intermedia: lasciare in piedi e consolidare l’edificio esistente, ma rivestirlo completamente di superfici specchianti, per ridurne al minimo l’impatto visivo, con gli specchi che, riflettendo il cielo, i prati e gli alberi circostanti, dissolvono la materialità dell’edificio trasformandolo in un effetto visivo che cambia man mano che ci si sposta e gli si gira intorno. Questo è il risultato.

E’ senza dubbio una soluzione originale, che non creerebbe nessuno sconcerto in un ambiente moderno e tecnologico come potrebbe essere la Defense o la Villette, ma che in un grande parco ottocentesco che conserva ancora la settecentesca orangerie, le Petit Chateau, una bella maison a colombage, crea una certa impressione sia al primo colpo d’occhio, sia dopo visioni ripetute e assimilate.
Fin dal 2003 la Communauté organizza visite, incontri culturali, e ogni anno il PrinTemps de Paroles, un festival molto apprezzato dai cittadini dei centri circostanti, molto sensibili ai problemi ambientali e culturali dopo le brutture edilizie che hanno fortemente intaccato il territorio. Comincia col restaurare l’orangerie, le scuderie, il bagno turco, che adibisce a sale di esposizione, documentazione artistica, spettacolo. Nel 2006 viene festeggiata la nascita del Parco Culturale, con grande partecipazione della popolazione. Nel parco si svolgono eventi riguardanti l’arte dei giardini, le arti visive, lo spettacolo. La parete laterale con l’ingresso agli ambienti espositivi fa vedere bene l’effetto sparizione della massa architettonica, particolarmente evidente in una giornata senza sole. Nella foto si vede bene l’articolazione delle superfici e le deformazioni degli specchi che trasformano i riflessi del parco in motivi decorativi a se stanti.

Poiché il castello comunque ospitava esposizioni, l’idea è stata di farne a sua volta un’opera d’arte
ambientale, per cui Xavier Veilhan pensa che, invece di demolire l’edificio, definito

“un parallelepipedo vagamente neoclassico mal costruito sulle rovine belliche precedenti”,

si possa conservarlo ma al tempo stesso farlo sparire. E si pone il problema in termini paradossali: invece di chiedersi come possa far entrare l’edificio nel parco, si chiede come far entrare il parco nell’edificio. Il rovesciamento di paradigma è un ottimo stimolo creativo, per cui

“il castello sarà ora un luogo vivo, che sfida, che chiama ad entrare e a vedere”.

Ne risulta un’opera piena di messaggi contraddittori concettualmente stimolanti. Il segno architettonico e ambientale è molto forte e si impone alla vista, ma si nega, perché non c’è da vedere niente altro che alberi e cielo come tutto intorno nel parco. Nella sua impenetrabilità (l’ingresso è su un lato) si dichiara autosufficiente e puramente estetico, ma proprio perciò si annulla, sparisce e invita ad entrare e a scoprire che cosa c’è dentro e oltre gli specchi “non dovete guardare come sono fatto, ma che cosa ogni volta contengo”, sembra dirci in un muto merssaggio. Sorge come un corpo estraneo e non ha nulla a che fare con l’ambiente circostante, ma ne ha un estremo rispetto che arriva fino ad annullare se stesso di fronte a tutto quello che c’è intorno. Le pareti sono lisce, immobili e compatte, ma al tempo stesso ondeggianti per le curvature delle superfici specchianti.

Di fronte ad un’opera così problematica, vi è l’accettazione dello stimolo visivo e del gioco provocatorio di riflessi e riflessioni, o il rifiuto, per rifugiarsi nel buon senso di una tradizione rassicurante. Ecco dunque che il contenitore di opere d’arte diventa esso stesso un’opera d’arte per alcuni, un “imballaggio” per altri. Infuriano le polemiche e le proteste. Alcune associazioni ambientaliste, come la Vigilance Marne-et-Gondoire, deplorano la mancanza di valutazioni di impatto e delle relative compensazioni ambientali e chiedono di fermare i lavori, la Ligue de Protection des Oiseaux lancia  l’allarme sul pericolo di grandi stragi di uccelli ingannati dai riflessi di cielo e alberi, i cittadini dai nervi scoperti per le cementificazioni precedenti e circostanti sono sconcertati dalla presenza aliena, i politici antagonisti ne gonfiano i costi e parlano di una manutenzione non sostenibile.
Ormai però il castello di Rentilly è così, e svolge una funzione di aggregazione culturale per i cittadini e per le scolaresche, con eventi al chiuso e all’aperto. Effetti di luce e proiezioni sul calar della sera creano suggestivi effetti visivi insieme con le installazioni nella vasca, combinando i riflessi dell’acqua con quelli degli specchi inox. In tal modo il contestato emballage propone una sua molteplicità di esperienze visive.

Le considerazioni conclusive, come promesso all’inizio dell’articolo, riguardano il rapporto fra progetto e stakeholder, l’influenza dei punti di vista e degli interessi rappresentati sul comportamento degli stakeholder, la capacità o meno di fare salti di paradigma per assumere punti di vista diversi o per restare attaccati ai propri. Qualsiasi progetto non può essere realizzato come un intervento dall’alto condotto solo con criteri ingegneristici, artistici o politici, ma deve tener conto dell’ambiente in cui va a collocarsi, inteso in tutte le sue complessità naturalistiche, urbanistiche, storiche, culturali, sociali, e interagire in modo collaborativo con le realtà locali e con gli stakeholder, ossia con i rappresentanti di interessi locali, che in qualche modo siano coinvolti nel progetto e nelle sue conseguenze.
Gli interessi difesi dagli stakeholder determinano i punti di vista da cui viene osservato il progetto. Per esempio, gli amanti degli uccelli si preoccupano dell’inganno fatale di uno specchio posto di fronte alla traiettoria di volo, che la blocca in modo improvviso e invisibile. L’artista, per quanto possa essere una brava persona e possa perfino amare gli uccelli, non si è posto il problema, non avendo la sensibilità e la cultura specifica di un etologo o di un ornitologo. I punti di vista dipendono dalla cultura dei soggetti a cui appartengono, e possono essere rigidi e incrollabili, oppure dubbiosi e problematici. L’opera d’arte, specialmente dopo le avanguardie storiche, fino ai giorni nostri, oltre alla funzione di dilettare con immagini gradevoli e armoniose, ha quella di stimolare, creare dubbi, proporre angoli visuali diversi, aprire nuove finestre, abbattere muri di pregiudizi. Alcuni si abbandonano con piacere estetico alle provocazioni e a tutto quanto mette in discussione le proprie certezze, altri resistono, si proteggono dallo stimolo e negano valore all’opera che lo genera.

Il mediatore artistico e culturale, il comunicatore, hanno la funzione di aiutare le persone a vincere le loro resistenze, per comprendere meglio il progetto e non intralciarlo, ma anche di aiutare i responsabili del progetto a mettersi nei panni degli stakeholder in modo da evitare o ridurre malumori, conflitti, ostacoli e sabotaggi contro il progetto.
Una comunità matura può essere aiutata a valutare i pro e i contro di un progetto, di porli su una bilancia ideale e di vedere se i contro sono tali da sconsigliare la realizzazione del progetto, o possono essere governati e ridotti in modo da ridurre i danni e ampliare i vantaggi.
Purtroppo vediamo invece in molti casi progetti che piombano sulle comunità per decisioni economiche o politiche estranee senza tenere in nessun conto gli stakeholder, che il più delle volte non hanno il potere di far sentire la loro voce e finiscono con l’ingoiare il progetto loro malgrado. Ma qui il discorso diventerebbe troppo lungo e amaro, perciò è meglio finirla qui e tornare a passeggiare fra gli alberi e i prati del parco di Rentilly.