Onu: “L’uomo una minaccia per tutte le specie”. Italia in ritardo

Il 22 maggio è sta celebrata la giornata mondiale della Biodiversità indetta dalle Nazioni Unite. Secondo biologi e naturalisti la specie umana potrebbe rappresentare per animali e vegetali ciò che un asteroide fu per i dinosauri 65 milioni di anni fa. L’Ispra mette in guardia sul consumo di suolo nel nostro Paese. E il ministero dell’Ambiente ammette: “Presentiamo molte carenze”.

La scelta dell’Onu quest’anno è caduta sull’ecosistema delle isole, in particolar modo le più piccole, in cui vive circa un decimo della popolazione mondiale.

 

Le isole sono un’importante cartina al tornasole della biodiversità. E lo confermano le indagini della cosiddetta Lista rossa delle specie in pericolo, che proprio quest’anno compie 50 anni, in base alle quali il 90% degli uccelli e il 75% delle specie animali che si sono estinte a partire dal 17esimo secolo vivevano in habitat insulari. Vero e proprio “Barometro della vita”, secondo una definizione della rivista Science, la Lista, messa a punto dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (lucn), assegna a più di 70mila specie una categoria di rischio. Si va dalle specie estinte a quelle fuori pericolo, passando dagli organismi che ormai sopravvivono solo in cattività a quelli che, a vari livelli, sono minacciati di estinzione.

 

Il biologo di Harvad Edward Owen Wilson più di un decennio fa ha quantificato in 30mila specie l’anno la perdita di biodiversità terrestre, e sintetizzato il peso dell’uomo sulla diversità biologica coniando un curioso acronimo, “HIPPO”. Parola in cui la “H” sta per “Habitat loss”, cioè la perdita di ambiente naturale in favore di coltivazioni e insediamenti umani; la “I” per “invasive species”, le specie aliene introdotte dall’uomo in ecosistemi diversi da quelli d’origine, che proliferano in maniera incontrollata fino a sterminare quelle indigene: le due “P” per “Pollution”, l’inquinamento antropico e “Population”.

“L’incremento e la diffusione delle aree urbane e delle relative infrastrutture – aggiungono gli esperti della Convenzione Onu sulla biodiversità – ha determinato un aumento dei trasporti e del consumo energetico, con la conseguente crescita delle emissioni di gas serra e inquinanti atmosferici. Inoltre – sottolineano gli studiosi di biodiversità – la trasformazione dei terreni da naturali, come le foreste, ad altre destinazioni d’uso semi-naturali come le coltivazioni, o artificiali come le infrastrutture, non solo sta provocando la permanente, e in molti casi irreversibile, perdita di suolo fertile, ma ha anche altri effetti negativi, come l’alterazione degli equilibri idrogeologici”.

Secondo l’ultimo report dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale la crisi non sembra aver affatto frenato il consumo di suolo nel nostro Paese.

Il fenomeno è in aumento, al ritmo di 8 m2 al secondo.

Negli ultimi tre anni sono stati divorati di 720 km2,un’area grande come cinque capoluoghi di regione. Milano, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo, perdendo così la capacità di trattenere 270 milioni di tonnellate d’acqua. Il 73% del territorio è ormai da considerare perso. La cementificazione – si legge inoltre nel rapporto – ha comportato tra il 2009 e il 2012 l’immissione in atmosfera di 21 milioni di tonnellate di CO2, valore pari a 4 milioni di utilitarie in più, l’11% dei veicoli circolanti nel 2012.

Eppure il nostro Paese parte da una condizione di privilegio – L’Italia – sottolineano gli esperti Onu sulla biodiversità – grazie alla sua varietà geografica che comprende regioni alpine, continentali e mediterranee, e alle sue coste che si estendono per 7400 km, è un Paese estremamente ricco in biodiversità, con il più elevato numero e la maggiore densità di specie animali e vegetali dell’Unione Europea. La stima – in base ai dati delle Nazioni Unite – è di 58mila specie animali.

Nel 2010, in occasione dell’Anno internazionale della diversità biologica, il ministero dell’Ambiente ha messo a punto la “Strategia nazionale per la biodiversità”, un documento suddiviso in tre punti cardine: biodiversità ed ecosistemi, biodiversità e cambiamento climatico, biodiversità e politiche economiche, che devono trovare attuazione nel decennio 2011-2020.

Ne primo report si parla di “Carenze dovute ad un assetto nazionale e locale che spesso risente della mancanza di coordinamento nell’adempiere agli obblighi assunti” e di “Ritardi e scarsa incisività che spesso comportano l’apertura di procedure d’infrazione”. Si sottolinea inoltre, che “Lo stato di crisi globale, comunitaria e nazionale, non facilita l’interesse verso i temi della conservazione della biodiversità, malgrado rappresentino una risorsa fondamentale su cui fare affidamento”.

La vita ha capacità di recupero incredibili e si è sempre ripresa, anche se dopo lunghi intervalli di tempo, in seguito a spasmi di estinzione importanti – afferma Niles Eldredge, paleontologo dell’Amercan museum of natural history di New York, in un enciclopedia integrata della biodiversità, dell’ecologia e dell’evoluzione, dal titolo “La Vita sulla Terra”. Ma questa ripresa è sempre avvenuta solo dopo la scomparsa di ciò che aveva provocato l’estinzione. E poiché nel caso della sesta estinzione la causa siamo noi, l’Homo sapiens questo significherebbe la nostra scomparsa. A meno che – auspica lo studioso americano – non scegliamo di modificare i nostri comportamenti nei confronti dell’ecosistema globale”.

Ringrazio Daniele Patitucci da un cui articolo ho stralciato le parti a mio avviso più significative.