Il primo articolo della nostra costituzione dice che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. L’enunciato sembra chiaro e inequivocabile. Ma siamo sicuri di dare alla parola “lavoro” lo stesso significato? Nel problem solving la prima cosa da fare è verificare se tutti i soggetti interessati al problema danno alle parole lo stesso significato.
Prendo spunto da una bella intervista rilasciata da Domenico De Masi all’Inkiesta quattro anni fa, dove si parla di lavoro, produttività, intelligenza, formazione e motivazione.
De Masi dice che parlare di “lavoro” oggi è qualcosa di profondamente diverso dal parlarne 50 o 100 anni fa. Tuttavia in molti casi si continua a ragionare, a proposito di lavoro, come se la rivoluzione postindustriale non fosse mai avvenuta.
E allora mi pare utile riflettere proprio sul termine “lavoro”, quanto meno per essere sicuri che se parliamo di “lavoro” stiamo parlando della stessa cosa o di cose diverse.
Vediamo l’etimologia dei termini che fanno parte della galassia ”lavoro”, per cui ho consultato i siti http://www.treccani.it/vocabolario e www.etimo.it
Lavoro. In senso lato è qualsiasi esplicazione di energia volta ad un fine (lavoro di una macchina, dei muscoli). Limitandolo all’uomo, è l’applicazione di facoltà fisiche e intellettuali volte a produrre utilità individuale o generale (abile al lavoro, lavoro manuale). Focalizzando su ciò che si fa, è l’opera (finire un lavoro). Il termine generico può essere specificato con aggettivi, contesti, combinazioni (lavoro interinale, individuale, di gruppo, par time, utile, improduttivo, precario, ecc.). Nel concetto di lavoro non è implicito il concetto di compenso o di salario, in quanto il lavoro puù essere anche gratuito, inutile, improduttivo.
La radice glottologica è labh, che significa afferrare, desiderare.
Fatica. Dalla radice fat deriva fessus (stanco), fame, fatiscente. Trovarsi in una situazione molesta o debilitante, consumare le proprie forze. Lavoro gravoso e stancante (uomo di fatica, francese fatigué, stanco).
Travaglio. Era usato col significato di lavoro come francesismo da travail, ma ora significa difficoltà (operazione travagliata, il travaglio del parto). Usato ancora in dialetti (travagghiari, travajé).
Salario. Alcuni lavori venivano compensati con generi alimentari, fra cui molto ambito era il sale. Il pacchetto di sale a compenso di un certo lavoro, era il salario di lavoratori e soldati.
Stipendio. Dal latino stips, offerta, e pendere, pagare. E’ la paga del mercenario, e poi di chi lavora presso un signore. Quindi è il compenso periodico di lavoratori pubblici e privati.
Pensione. Dal latino pendere, pagare.
Mercede. La giusta mercede da dare come compenso di un lavoro fatto viene da merce, è qualcosa che il lavoratore può prendere, per esempio una parte del raccolto.
Paga. Pagare viene da pacare, nel senso di tranquillizzare, acquietare, da cui quietanza di un conto pagato. Si presume che chi ha venduto o fornito un prodotto o un servizio non sia tranquillo finché non è stato pagato, e che la paga debba servire a calmarlo, non a irritarlo ancora di più.
Rendita, reddito. E’ la restituzione di qualcosa che era mio.
Guadagno. Nell’antico alto tedesco gazang era l’erba da pascolo, qualcosa di utile da tirar fuori da qualche altra cosa.
Profitto. Dal latino proficio, che significa avanzare, migliorare.
Lucro. Dalla radice lau è il bottino, la preda del saccheggiatore.
Compenso. Sulla bilancia si mette da una parte il lavoro fatto, dall’altra il pagamento che deve essere equivalente (cum pendium, di peso equilibrato).
Ozio. Da aveo, sto bene. Gli otia permettevano ai romani di dedicarsi all’arte e allo studio, da cui li distraevano i negotia, gli affari.
Riposo. E’ il rinnovarsi di una pausa. L’uccello vola ma poi si posa sul ramo.
Agire, azione. Dalla radice ag, muovere, spingere, condurre. Il demagogo conduce le masse, lo psicagogo conduce le anime.
Creare. Dalla radice kar fare, creare. Cratos è il comando, Cronos è il dio del tempo, Ceres la dea delle messi.
Pensare. Dal latino pendere, pesare, valutare i pro e i contro, le premesse e le conseguenze.
Intelligenza. Da eligere, scegliere, e inter, fra. Scegliere fra alternative quelle più valide.
Risolvere. Sciogliere qualcosa di annodato, intrecciato, ingarbugliato.
Produrre. Mettere avanti, mostrare, dare frutto.
Frutto. Da fruire, ciò che viene goduto.
Sfruttamento. Salario inferiore al valore del lavoro, trarre frutti senza pensare alla conseguenze.
Stanco. Da stagno, acqua stagnante, fermarsi dopo l’agitazione.
Utile. E’ qualcosa da usare, di cui servirsi, da cui procurarsi vantaggio.
Da tutto ciò deriva che:
- Il lavoro non è necessariamente fonte di reddito.
- Il compenso deve essere adeguato al lavoro svolto.
- Spesso il lavoro è faticoso e ingrato.
- Lavorare in modo ingrato senza essere pagati adeguatamente è inquietante e irritante.
Quando si parla di “lavoro” è quindi legittimo chiedersi a quale tipo di lavoro ci si riferisce. Oggi la battaglia sociale va fatta per posti di lavoro (anche se improduttivi), opportunità di lavoro, lavori socialmente utili, redditi fissi, attività di volontariato, salario minimo garantito?
E quando si parla di disoccupati, a che cosa ci si riferisce? A persone che non hanno un posto o un salario fisso? Un calciatore di serie A fra un ingaggio e l’altro è un disoccupato?
Il problema sociale è la disoccupazione o la mancanza di un salario?
E il lavoro povero, ossia il lavoro compensato talmente poco che non serve per la sopravvivenza, come lo dobbiamo considerare? E’ lavoro tutelato dalla costituzione italiana o no?
E la produttività che cos’è? Come si misura? La produttività intellettuale e informatica è quantitativa o qualitativa? Valgono di più tante ore al computer o un’idea geniale come l’I-phone?