Un minidizionario di poco meno di venti voci per capire bene di che si tratta quando abbiamo a che fare con la complessità – e un poco anche cosa bisogna “farci”. Tratto dal contributo di Paolo Cervari al libro Processo alla Complessità (a c.d. Giuseppe Sapienza, LetteredaQALAT) dal titolo “Saperci fare con la complessità: verso le pratiche” di cui abbiamo pubblicato l’introduzione nel N°100 di Caos Management, il Minidizionario procede a una o due voce per volta, pubblicate su vari numeri di Caos Management. Buona lettura.
Chiusura organizzativa.
Come dicevamo poco sopra a proposito del verme e della salamandra, ogni sistema aperto complesso ha non solo una sua apertura al mondo e all’ambiente, il che comporta accoppiamenti strutturali con altri sistemi, ma anche una sua chiusura organizzativa, che corrisponde al dato fenomenologico della sua distinzione: ha dei contorni, un dentro e un fuori. Anche in questo caso il maggior contributo ce lo ha dato Humberto Maturana, insieme a Francisco Varela, con il concetto di autopoiesi[1], parola che significa “autoproduzione”. Spieghiamoci meglio: la chiusura di un sistema ne definisce, secondo gli autori, il “dominio cognitivo” e funziona pertanto come filtro per gli input in ingresso, attribuendo senso ad alcuni e ignorandone altri, sulla base di una serie di “modelli interni” che stabiliscono le regole dell’interazione con l’ambiente, modelli che, oltretutto, sono la fonte della relativa elasticità di risposta (adattiva) del sistema, che diversamente si comporterebbe in modo automatico ovvero semplicistico, prevedibile e calcolabile. Dicevamo “relativa” perché in realtà tali modelli sono anche la fonte delle eventuali rigidità di risposta e dunque la fonte dei comportamenti disfunzionali… ma questa è un’altra questione. Il concetto di autopoiesi, dunque, rende conto delle relative stabilità dei sistemi complessi, che hanno in sé stessi modelli che ne consentono il continuo riprodursi e rinnovarsi, senza disintegrarsi, ma piuttosto armonizzando le fluttuazioni sull’orlo del caos a cui sono sottoposti e che creano continuamente. Motivo per cui, secondo le parole di Edgar Morin «il confine diventa allo stesso tempo ciò che separa e ciò che connette, ciò che autorizza e ciò che proibisce il passaggio, ciò che apre e ciò che chiude».[2] Il concetto di autopoiesi, o per meglio dire quello correlato di chiusura organizzativa è importante perché serve a ricordarci sempre che per quanto in continua interazione con l’ambiente e, come vedremo, con le proprie differenze interne, il sistema ha una sua forma, che corrisponde a quanto intendiamo quando parliamo di identità o, in certi casi, di “anima”, per esempio in espressioni come l’”anima della squadra”, l’”anima del progetto” e così via.
Conseguenze pratiche. Modellizzare il sistema di regole di interazione del sistema mediante descrizioni, narrazioni, metafore, elementi influenzanti. Per esempio nei sistemi organizzativi i valori e i mitolegemi sono livelli di descrizione identitaria abbastanza efficaci e relativamente stabili. Elencare i sistemi in possibile accoppiamento strutturale e descrivere il loro sistema di regole di interazione.
Reti, hub e legge di potenza.
La teoria delle reti rappresenta uno dei più recenti sviluppi della scienza della complessità e coinvolge numerose discipline quali la fisica, la sociologia, la biologia, l’informatica e l’economia. Essa riesce in parte a rendere conto della stabilità strutturale dei sistemi complessi che si sostanzia in un reticolo di collegamenti tra gli elementi del sistema stesso, detta rete di piccolo mondo, che ha le seguenti caratteristiche: vi vige un basso grado di separazione, giacché ogni coppia di nodi è collegata attraverso un numero minimo di passaggi; vi è un alto coefficiente di clustering cioè vi sono piccoli gruppi di nodi altamente connessi al loro interno e allo stesso tempo collegati agli altri cluster da legami deboli; infine esistono nodi altamente connessi (hub) che acquisiscono e/o costruiscono relazioni con altri elementi con maggiore rapidità di quelli che hanno pochi collegamenti. Questa organizzazione consente al sistema di essere ad un tempo robusto e flessibile, anche perché funzionale a una certa dose di ridondanza, ovvero di informazione replicata e recuperabile in altre parti del sistema, e alla capacità di riconfigurazione e di crescita, che può avvenire ridistribuendo le connessioni e aggiungendo hub. Altra caratteristica interessante di queste reti, è l’essere a invarianza di scala ovvero organizzate mediante una distribuzione che non segue la “tradizionale” curva di Gauss, bensì la legge di potenza. Per fare comprendere meglio le mettiamo a confronto[3]:
Come si può vedere facilmente, se la gaussiana di sinistra va benissimo per comprendere la distribuzione della statura degli abitanti di una città, la curva di destra è invece ben diversa. Un andamento di questo tipo, tuttavia, corrisponde alla distribuzione di moltissime cose e molto diverse tra loro: la grandezza delle città, il numero di contatti su internet, la grandezza dei crateri, i guadagni in borsa, il reddito delle persone e così via. Per molti sarà riconoscibile come coerente con la legge scoperta da Vilfredo Pareto, secondo la quale, tra le altre cose, l’80 % delle ricchezze é in mano al 20% della popolazione, detta frequentemente legge 80/20. Ma perché sistemi così diversi esibiscono distribuzioni di questo genere? La risposta sta per l’appunto nelle reti di piccolo mondo, perché gli eventi non si manifestano in uno spazio vuoto e senza memoria, ma si vanno a inscrivere e sistemare in reti già costruite e si inseriscono in catene di link preesistenti e caratterizzate da una struttura di hub connettivi che svolgono la funzione di attrattori. Il che per dirla in modo semplice, corrisponde al detto: “piove sul bagnato”. Che tutto questo sia d’importanza essenziale è quanto dichiara uno dei pionieri di queste ricerche, Albert-Laszló Barabasi: «Le leggi di potenza non sono un modo come un altro per definire il comportamento di un sistema, sono l’autentico marchio di fabbrica dell’auto-organizzazione nei sistemi complessi»[4]
Conseguenze pratiche. Elencare i domini in cui mappare le reti e cercare gli hub. E’ quanto si fa nelle organizzazioni con strumenti quali l’organizational networking analysis. Considerare l’influenza forte degli hub (per esempio in ambito di lavoro coi social medi si parla di “influencers”). Non dimenticare che le novità nascono dalle periferie e che le proprietà emergenti ristrutturano le reti e il sistema degli hub.
Principo ologrammatico.
Il termine è preso da Edgar Morin[5] e sta a significare che non solo la parte è nel tutto, ma il tutto è a sua volta presente nella parte. Ogni cellula, per esempio è una parte di un tutto, ma il tutto è presente in lei stessa nella misura in cui essa sta dentro al tutto e ad esso si connette. Analogamente la totalità del patrimonio genetico è presente in ogni cellula individuale, così come la società è presente in ogni individuo in qualità di determinante delle sue credenze e dei suoi valori, delle sue scelte e delle sue propensioni. Esattamente come in un ologramma, in un sistema complesso ogni parte ci parla del tutto, attraverso il suo sistema di connessioni. Il principio, lungi dall’essere una riedizione più o meno misticheggiante del concetto di microcosmo rinascimentale, ne riprende l’essenza poggiandola su basi scientifiche: ricostruire l’aspetto dell’uomo di Neardenthal a partire da microscopici ritrovamenti ne è una delle realizzazioni. Ne consegue che spesso le micrologie, le indagini molto specifiche, sono più utili ed euristicamente potenti delle indagini a tappeto, come per esempio è il caso delle indagini di clima che, come Pier Luigi Celli diceva spesso, si fanno molto meglio orecchiando alla macchina del caffè[6].
Conseguenze pratiche. Fare micrologie, prediligere la profondità e la ricchezza delle analisi e delle descrizione alla loro ampiezza. Verificare assonanze e costanti tra una micrologia e un’altra. Giocarle come metafore dell’una per l’altra o del sistema nel suo insieme. Derivare per analogia dalle micrologie modelli o regole del sistema.
[1] H. R. Maturana e F. Varela, Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente, Marsilio, Venezia, 1985
[2] E. Morin, Introduction à la pensée complexe, ESF, Paris, 1990, p. 65.
[3] Tratto da: http://ignaziolicata.nova100.ilsole24ore.com/2011/06/i-cigni-neri-sono-poi-cos%C3%AC-neri-taleb-de-finetti-e-la-probabilit%C3%A0.html
[4] A.-L. Barabási, Linked. The New Science of Networks, Basic Books, New York, 2002, p. 34
[5] E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina, Milano, 1999
[6] P. Cervari, N. Pollastri, Il filosofo in azienda, Apogeo, Milano, 2010, p. 74
Fonte Immagine, Bello donna truccata: L’Ombra delle Parole, Rivista Leteraria Internazionale.