Ho cercato di insegnare alle mie figlie ad essere coraggiose piuttosto che perfette.
Negli anni 70 del secolo scorso, quando, quindi, passavo dall’adolescenza alla maturità, una psicologa della Columbia University, Carol Dweck Goldman, attualmente docente alla Stanford university, realizzò una serie di esperimenti con i bambini che diedero risultati inaspettati. Carol Dweck lavorò con alunni di quinta elementare per vedere come affrontavano problemi nuovi e complicati.
Fu allora che si rese conto che le bambine avevano più probabilità di abbandonare il compito, e lo facevano, mediamente, prima che i bambini.
La psicologa fu colpita dal fatto che, quanto più le bambine erano brillanti, tanto più alto era il loro quoziente intellettivo e tanto più velocemente gettavano la spugna.
Queste bambine, secondo la Dweck, che nel 2006 scrisse il libro “Mindset: the new psicology of success” mostravano un modello d’impotenza appreso.
I bambini brillanti si comportarono in modo diverso. Assunsero l’attività come una sfida intellettuale che li riempiva d’energia e li motivava a intensificare gli sforzi.
Cosa avviene?
Perché le bambine sono più vulnerabili e meno sicure rispetto ai bambini della stessa età?
In realtà, e questo lo stiamo scoprendo sempre con maggior chiarezza in questi anni in cui le donne hanno l’opportunità di esprimersi, la maggior parte delle bambine superano i bambini in tutte le materie, compresa la matematica.
Quando, due o tre anni fa, mia figlia Ilaria si è laureata al Politecnico di Milano in science of architecture nella sua sessione si laurearono 25 studenti, tredici ragazze e dodici ragazzi. Le ragazze ricevettero tutte un voto sopra il 100 (104 per essere esatti); mentre nessun ragazzo raggiunse la soglia del 100.
Affianchiamo questa esperienza empirica alle conclusioni degli studi di Carol Dweck, che sottolinearono come la differenza nel comportamento delle bambine non ha nulla a che fare con la mancanza di abilità o di conoscenza ma, piuttosto, con il modo di affrontare le sfide.
Mentre i bambini presumono di non poter risolvere i problemi perché questi sono più complicati, e si danno da fare per vincere la sfida,le bambine, secondo le conclusioni dell’indagine, cominciano rapidamente a dubitare delle loro capacità, perdono la fiducia in sé stesse e abbandonano l’attività.
Le bambine, sempre secondo gli studi della Dweck, sono anche abituate a pensare che le abilità siano immutabili, mentre i bambini suppongono che possono essere sviluppate attraverso lo sforzo.
Il punto è che queste convinzioni e modi di comportarsi vengono mantenuti nell’età adulta.
Infatti, si è notato che mediamente gli uomini si presentano a un colloquio di lavoro avendo solo il 60 per cento delle capacità richieste. Al contrario, le donne trovano il coraggio di candidarsi per il posto di lavoro solo se dispongono del 100 per cento dei requisiti.
Come possiamo avere un atteggiamento così diverso davanti alle sfide?
La risposta sta nell’educazione, un’educazione che insegna ai bambini ad essere coraggiosi e affrontare le sfide e alle bambine ad essere perfette e agire con cautela.
Bambini coraggiosi, bambine perfette…
È difficile, anzi impossibile, cancellare secoli di tradizione in un colpo solo.
Anche se le società sedicenti democratiche hanno fatto molti progressi nella parità di genere, nell’inconscio collettivo e in profondità nella nostra mente sono tuttora radicate molte idee e affermazioni sessiste.
I genitori continuano “naturalmente” a educare i figli maschi a non aver paura e non piangere, mentre le bambine sono educate a non mostrarsi sciatte, ad essere sempre perfette e comportarsi con moderazione. E’ una sorta di automatismo pedagogico che riproduce frasi sentite dire per tutta la propria gioventù e ripetute dai nonni con soave e inadeguata leggerezza.
Tuttora educhiamo bambini, affinché, si trasformermino in cavalieri che salveranno damigelle in difficoltà. Ed educhiamo le bambine ad attendere di essere salvate, perché la loro missione nella vita non è combattere, ma mantenersi perfette, nonostante la tempesta. Doti che storicamente trovano probabilmente una spiegazione, quando era la forza fisica che determinava i ruoli.
Alle bambine viene insegnato a sorridere (per fortuna), devono ottenere buoni voti a scuola e viene proibito loro di tornare a casa coperte di fango, dopo aver giocato.
Con i bambini i genitori tendono ad essere più permissivi, permettendo loro di giocare all’aria aperta, sporcarsi e arrampicarsi sugli alberi. Infatti, molti di questi comportamenti vengono ricompensati perché mostrano quanto sono coraggiosi. In questo modo i maschi sono incoraggiati ad assumere dei rischi.
Se lo si lascia fare a una bambina viene definita dal vocabolario inconscio italiano della microcomunità di riferimento (parenti, mamme dei compagni di scuola, insegnanti) “un maschiaccio”. Che non suona come un complimento ma neanche, necessariamente, come un insulto, solo come un’incongruenza educativa.
Infatti le bambine sono “naturalmente” incoraggiate a evitare i rischi, viene chiesto loro di mantenersi in secondo piano, al sicuro e all’interno della loro zona di comfort. Spesso sono lodate per quanto bene si comportano, quasi sempre perché rimangono in silenzio, e per la loro simpatia.
Così, inavvertitamente o incoscientemente, usiamo l’avverbio “naturalmente”, i genitori limitano le potenzialità delle bambine, le quali imparano presto che da loro non ci si attende lo stesso comportamento dei maschi.
Così, la maggior parte delle bambine finiscono per trasformarsi in donne che assumono solo i rischi essenziali e che davanti ai problemi pensano che qualcosa non funziona in loro.
Per questa ragione non sorprende che le donne soffrano più spesso e più intensamente di depressione e ansia rispetto agli uomini.
Tuttavia, quando insegniamo alle bambine ad essere coraggiose e formare intorno a loro una rete di supporto che le motivi, esse fanno cose incredibili perché hanno un potenziale enorme.
Il miglior regalo che possiamo fare a ogni bambino è quello di lasciarlo semplicemente “essere”. Un regalo difficilissimo da poter fare anche se si hanno tutte le migliori intenzioni.
Oggi vedo le mie due figlie impavide e determinate affrontare le sfide del mondo del lavoro con coraggio e (con la madre) ne siamo molto orgogliosi. Forse ci siamo riusciti.
Fonti
Dweck C.S. (2006), Self-theories: Their Role in Motivation, Personality, and Development. Essays in Social Psychology, Paperback, 2006.
Dweck C.S. (1978), (a cura di), Sex differences in learned helplessness: II. The contingencies of evaluative feedback in the classroom and IH. An experimental analysis. Developmental Psychology, 14, 1978, pag.268-276.
Dweck C.S. & Bush, E. (1976), Sex differences in learned helplessness: I. Differential debilitation with peer and adult evaluators. Developmental Psychology; 12, 1976, pag.147-156.
Dweck C.S. (1975), The role of expectations and attributions in the alleviation of learned helplessness. Journal of Personality and Social Psychology; 31, 1975, pag. 674-685.
Dweck, C. S. (2006), Self-theories: Their Role in Motivation, Personality, and Development. Essays in Social Psychology, Paperback, 2006.
Suárez J.D. (2015), E se insegnassimo alle bambine a essere coraggiose invece che perfette?