Sono troppo vecchia per comprendere fino in fondo il mondo del Web.
Il mio antico computer ha funzioni di cassetta delle poste e di macchina da scrivere… sì anche di vocabolario, dizionario storico, giornaletto gossiparo, elenco telefonico e giradischi.
Tutte cose che crediamo molto private e segrete mentre clicchiamo, navighiamo, condividiamo ed emailiamo.
Dell’amore ho avuto il tempo di vita giusto per capirne il meccanismo d’azione.
Quella chiavetta che si gira per far danzare la ballerina alla musica del carillon.
La danza, il rituale, il gioco, la fantasia sono ingredienti fondamentali nell’agire amoroso.
Ci si conosce sessualmente anche solo scambiandosi effusioni al telefono: le parole scelte, il tono usato, i silenzi e gli intervalli dovuti alle apnee emotive.
Ci si racconta all’altro come ci piacerebbe essere. I primi momenti sono quelli della pubblicità di noi stessi. La nostra capacità di marketing è tale da capire ciò che l’altro si aspetta da noi.
Ma c’è un nemico sadico che opera contro di noi: il tempo.
Qualcosa dopo un po’ non funziona più nel corpo a corpo, l’amore perde l’A maiuscola e anche altre lettere e nelle “more” le persone cominciano a vedersi come veramente sono, le maschere precipitate mostrano la noia, l’indifferenza, l’abuso, la violenza, l’odio.
Una moltitudine di delusioni, di sofferenze di abbandoni. Le donne si riuniscono nel burraco, gli uomini, sempre più compagni di merende, non volendo rinunciare al dominio si tirano a lucido, viagra in mano, si danno alla caccia illudendosi che di loro ci si può sempre invaghire.
Poi la folla, l’orda, il branco dei solitari affluisce nel Web come ”onda anomala”,
sommergendolo. Ognuno trasmette la propria solitudine spacciandola per vita.
E qui c’è un diverso atteggiamento tra uomini e donne. Gli uomini si improvvisano, dietro l’anonimato della non conoscenza, severi, gentili, comprensivi, pronti ad “ascoltare”. Pronti a consigliare… paternalismo finalmente riconosciuto e apprezzato.
La donna sentitasi abbandonata e convinta di avere il diritto alla felicità, quasi avesse sottoscritto un patto col Diavolo, si lascia coccolare, abbracciare e condurre per mano. Di nuovo, dietro false forme, mentite spoglie, nickname di vite, si illudono di credere…
Predatori e prede.
Ma questa volta senza corpi, senza fisicità, senza contatti e violenze fisiche… solo mentali e psicologiche. Il terrorismo della solitudine che prescrive doti virtuali, modelli di affettività eterei, incorporei. Tutto resta nella mente: desiderio, voluttà, sensualità, rapporto sessuale e orgasmo. Sembrerebbe il paradiso degli amanti, senza contrasti, deliri, silenzi e grida. E in questo mondo claustrale, ancestrale, mitologico e claustrofobico è ancora una volta la donna a restarne invischiata, legata. Di nuovo è lei la prigioniera.
Chi si sacrifica per definizione. Il genere femminile si esplicita nel sangue, festeggia il sangue perché le permetterà di generare.
Dolore e sangue. Sacrifici dolore e sangue.
Sa che questa è la via da percorrere. Glielo insegna sua madre, glielo ribadiscono gli uomini della sua storia: da suo padre in poi.
Nel bellissimo film di Giuseppe Tornatore “ La corrispondenza” le figure maschili si confondono e confrontano. Legate da una sorte simmetrica.
Il film fotografa una storia d’amore tra un astrofisico, uno scienziato dell’infinito cielo, e una sua allieva. La critica cinematografica, per lo più maschile, l’ha definito un Grande Amore.
La corrispondenza è molto più di una “ love story”, è un film difficile. E’ un film crudele.
Difficile perché ci sono molti ingredienti nel piatto, spezie che insieme costituiscono un ossimoro di gusti. Scienza e Metempsicosi. Rabbia e Tenerezza. Libertà e Prigionia. Grandezza dell’Universo e Claustrofobia del Web.
Ma soprattutto mette in scena la Finzione cinematografica contro il rifiuto della Realtà dell’ esistere.
Emy Ryan è una stantgirl patologica. Fa i conti con se stessa rischiando la propria vita. Ed Phoerum al contrario guarda l’universo e si immagina una stella morente.
E come tale sa che la sua luce potrà illuminare lo sguardo di chi la osserva per molto tempo, dopo la sua scomparsa.
Incontriamo Emy quando già il suo astrofisico si è spento.
Immerso nella malattia pianifica, segregato nella casa sul lago, i giorni avvenire, data per data, avvenimento per avvenimento, assicurando alla sua donna tutto quello di cui potrà avere bisogno: auguri, saluti, frasi d’amore, appuntamenti, consigli.
Telefonate, file, lettere, regali : un enorme bagaglio di parole e sorrisi rassegnati nelle mani dell’esecutore testamentario.
A piccole ed utili dosi la relazione viene scandita da amorosi monologhi e freddi incartamenti.
In una omertosa compagnia di famigli, affiliati e complici. Una forma ossessiva di ritorno alla vita che ricorda il terribile racconto di Edgar Allan Poe “La verità sulla vicenda del Sig. Valdemar”.
La storia narra che Enrico Valdemar, malato terminale, accetta di venir sottoposto ad un esperimento sugli effetti del mesmerismo su di una persona in punto di morte. Valdemar risponde a tutte le domande che gli vengono poste mentre le funzioni vitali si affievoliscono fino alla fine. Ma le frasi e i borbottii non si fermano con lo spegnersi dei battiti del cuore. La sua voce continua producendo un suono profondo lugubre lontano. Quando alla fine viene “svegliato” il suo corpo va in frantumi.
Un orrore che può essere interrotto solo che Amy lo voglia. Per iniziare una salutare elaborazione del dolore. Ma ciò non accade perché c’è dentro di noi, nella cultura femminile il senso altissimo del sacrificio d’amore. Non ci accorgiamo del gioco al massacro in tempo per fermarlo.
Suo padre-amante le manca, crede di non poter più fare a meno delle sue parole, dei suoi sguardi, delle sue dolci cure. Ormai la sua vita è tutta lì, niente lavoro, niente incontri né amici.
Il buio di un rapporto spentosi, che illumina ancora la vita.
Animale in gabbia, stretto a filo doppio al suo domatore estinto, rimasto solo sullo scanno esausto a leccarsi il pelo scompigliato.
Animale femmina che coccola il nulla di un vuoto infinito.
Aspettando.
Una giovane donna, che ha attraversato mille traversie, affanni e turbamenti. Fisicità da Madre Terra e un gran cuore saccheggiato. Con una malattia bipolare sulle spalle e alcuni tentativi di suicidio.
Maria dice di se stessa orgogliosamente, dopo aver combattuto e vinto il mal di vita con la forza di una elefantessa: “Io sono un corpo sazio”.
Sì Maria, vorrei che tutte le donne riuscissero a definire se stesse guardandosi allo specchio “Sono un corpo sazio”. Libere da legami di possesso mascherati da teneri rapporti d’amore.
Non più recluse.