La madre di tutti i nostri problemi, nel senso non solo finanziario, ma anche di reputazione, di credibilità, di sostenibilità è il nostro debito pubblico.

 

Nel 2016 lo stock del nostro debito pubblico ammontava a qualcosa come 2 miliardi e 217mila euro, e corrispondeva a circa il 132,6% del nostro PIL.  E’ il secondo debito pubblico più alto d’Europa, solo quello della Grecia è superiore e si aggira sul 179%. Il deficit della spesa pubblica è stato del 2,4%.

Nell’Unione Europea la media del rapporto debito pubblico/Pil è del 83,5% e del rapporto deficit/pil del 1,7%.

Ora senza fare i confronti con i singoli Paesi il fatto certo e, purtroppo endemico, è che da molti anni siamo il fanalino di coda dell’Europa su questi parametri.

L’Unione Europea si regge e potrà progredire solo se i singoli paesi convergeranno su una serie di fattori. Quelli economici e finanziari sono alcuni di essi. Si potrà obiettare se essi siano giusti, equi e compatibili con i desiderata dei singoli individui e Paesi, ma tali sono al momento e, come Paese fondatore e membro dell’Unione Europea li abbiamo stabiliti e condivisi.

Quindi finché rimarremo nell’Unione Europea, che ci piaccia o no, queste sono le regole del gioco e far finta di niente non solo è sbagliato, ma è semplicemente irresponsabile.

E aver fatto finta di niente per molti anni, soprattutto negli anni dall’entrata in vigore dell’euro ad oggi,  ha prodotto quel danno reputazionale così alto da apparire oggi spesso (a buon titolo) inaffidabili agli occhi dei nostri partner. Si perché per onestà intellettuale dobbiamo ricordare che l’Italia ha perso un treno storico per mettere a posto i propri conti pubblici. Infatti dal 1/1/1999 i tassi di cambio tra le valute nazionali e l’euro diventano irrevocabilmente fissi e dal 1/1/2002 entra in vigore l’euro. Da quel momento ad oggi (e sono passati più di 15 anni) l’Italia, come del resto tutti i Paesi aderenti all’Euro, hanno beneficiato di 3 condizioni difficilmente replicabili nella storia economica e finanziaria mondiale, ovvero tassi di interesse bassissimi (addirittura negativi negli ultimi anni), costo delle materie prime (petrolio in primis) bassi, moneta forte e stabile.

Ebbene in queste condizioni qualunque organizzazione pubblica o privata, Stato o Impresa, se ben gestita avrebbe potuto mettere a posto i propri conti, ridurre il debito pubblico, sviluppare la produttività, la competitività e l’internazionalizzazione. Cosa che alcuni Paesi e imprese hanno fatto, altri (tra cui il nostro) no.

Perché?

I motivi vanno ricercati in una pluralità di fattori. Provo ad elencarne alcuni:

  1. L’aver accettato l’ingresso all’euro come un obbligo ed un sacrificio per restare nel club, e non come una opportunità (quindi subìto)
  2. Non aver pianificato per tempo l’impatto che avrebbe avuto l’ingresso nell’euro sulle imprese, sulle famiglie, sui listini e quindi non aver governato il processo
  3. Provvedimenti distonici, non coerenti ed omogenei dei vari governi che si sono succeduti
  4. Mancanza di vision, programmazione e congruità della nostra classe politica

 

E’ veramente difficile riuscire a comprendere per un cittadino italiano (pensate per un cittadino di altro paese europeo) come l’Italia non sia riuscita a mettere a posto i propri conti con lo scenario macroeconomico di cui ha beneficiato in questi ultimi 15 anni. In letteratura (o in un business game) si direbbe che ci vuole più impegno per non riuscire a mettere i conti a posto nello scenario dato che non il contrario. I nostri rappresentanti politici sono stati veramente bravi nel non riuscire in ciò che forse uno studente non particolarmente brillante in discipline economiche sarebbe riuscito a fare.

Ci sono poi delle cosiddette “aggravanti” che se si fosse in un’aula giudiziaria porterebbero ad un aumento della pena. Infatti i governi che si sono succeduti in questi anni hanno più o meno tutti messo le mani sulla  “spending review”, ovvero su provvedimenti che avrebbero dovuto diminuire la spesa pubblica. Diminuzione delle auto blu, abolizione delle province, abbattimento degli stipendi dei manager pubblici, razionalizzazione delle partecipate pubbliche, accentramento degli acquisti alla CONSIP, legge Fornero, etc. Tutti provvedimenti che, in teoria, avrebbero dovuto contribuire ad abbattere la spesa pubblica. Invece con somma sorpresa abbiamo scoperto in questi 15 anni che, nonostante i tassi bassi, il costo del petrolio basso, la moneta stabile e forte, i provvedimenti della spending review, il debito pubblico, invece di diminuire è continuamente aumentato.

Se lo Stato Italiano avesse veramente risparmiato in questi 15 anni solo il 7% della spesa pubblica annua – e tra abbassamenti dei tassi, abbassamento costo materie prime, spending review sarebbe stato più che possibile –  (ricordiamo che la nostra spesa pubblica complessiva annua è di circa 824 miliardi – dato 2016) oggi avremmo 865,2 miliardi in meno di debito pubblico, ovvero 1351,8 miliardi di debito pubblico che corrisponderebbero al 80,84% del nostro PIL (dato 2016). Saremmo dunque addirittura al di sotto della media UE ed in compagnia con i Paesi più virtuosi.

Allora se il nostro debito pubblico  è la madre di tutti i nostri problemi, il suo abbattimento è la soluzione di tutti i nostri problemi. La riforma di tutte le riforme quindi non è la riforma della costituzione o della legge elettorale, bensì un serio, competente, perdurante abbattimento del nostro debito pubblico. Se lo facciamo conteremo (a buon titolo) di più in Europa e sarà, solo a quel punto, più facile proporre e farci ascoltare da chi una sana e prudente gestione dei propri conti li ha già fatti.

Ecco il popolo italiano, anziché lamentarsi ogni giorno della condizione propria e del proprio Paese farebbe bene a fare una seria riflessione sul livello di competenza della nostra classe politica e ad esercitare fino in fondo e con grande attenzione i suoi diritti. Personalmente, da cittadino, ritengo che ormai finite le ideologie che hanno governato il consenso politico nel secolo scorso, si debbano ormai giudicare i contenuti, i programmi e soprattutto le competenze dei nostri rappresentanti che, fino ad oggi, a giudicare dai risultati non hanno certamente brillato.