Crisi o non crisi? Ripresa o ulteriore depressione? Sviluppo o recessione?
«Esistono chiari segnali che la recessione dal punto di vista tecnico sia terminata»
sosteneva convinto, pochi giorni fa, il presidente di Unioncamere Veneto, Alessandro Bianchi, dopo la consultazione degli esiti della periodica indagine “VenetoCongiuntura” sul terzo trimestre 2013. Dichiarazione coraggiosa anche perché salta ogni prudenza scaramantica, anche se, negli ultimi anni, chiunque si sia sbilanciato annunciando di aver visto le luci alla fine del tunnel è stato regolarmente smentito dalle tabelle del trimestre successivo.
Speriamo che abbia ragione, non avendo per principio l’ingannevole dovere di affermare che nei prossimi tre o sei mesi tutto si metterà a posto, come invece hanno i nostri omuncoli al governo; ma non ce la sentiamo di smentire con determinazione chi invece annuncia il 2014 un anno peggiore del 2013 che avrà il suo culmine nel 2015 quando le famiglie piccole imprenditrici e le imprese avranno finito di consumare i risparmi accumulati in uno o più decenni per tenere alzata la serranda o in attività l’azienda.
Aiutati, che Dio ti aiuta!
Comunque, ultima a morire sarà la speranza, ma così come san Gennaro chiede al suo devoto napoletano che gli chiede ripetutamente la grazia di fargli vincere la lotteria di comprare almeno una volta un biglietto, così da parte delle imprese sarà opportuno cercare ancora una volta di ottimizzare la propria gestione e innovare la propria offerta sul mercato.
Citando Yoshihito Wakamatsu, uno dei padri del Toyota product system e uno degli ultimi discepoli di Taiichi Ohno, il padre fondatore del modello che ha dato vita al lean thinking, la produzione snella, leggera, le aziende dovranno
«ridurre i prezzi del 50 per cento e dimezzare i costi».
Per farlo dovranno reinventare modelli e paradigmi. Dovranno scoprire le leve per dar nuova vita alla capacità di creare manufatti e prodotti e, specialmente, quelle per formare le persone in un ‘sistema nervoso autonomo aziendale’, rappresentato dall’ingegno e dalla forza delle persone che vi lavorano.
Da dove partire? La novità è che per ridurre i costi non si dovrà, questa volta, partire dalla diminuzione dei tassi di occupazione, ma dalla capacità di ridisegnarsi e di dare valore al lavoro e all’intelligenza degli uomini che lavorano nell’azienda.
Le cose ovvie da fare riguardano l’interno delle aziende, nell’ambito dei processi produttivi, dove occorre identificare quelle attività che non creano valore per il cliente. Ma il vero salto di qualità che bisogna fare è guardare fuori dall’azienda e capire cosa dà valore al cliente, dove il cliente percepisce esserci valore reale. In tempi di crisi, non è più chiaro, infatti, ciò che è valore e ciò che viene percepito come tale. La crisi globale ha cambiato i modelli di riferimento. Le persone hanno cambiato modelli di vita? Si, no, forse! La vera innovazione oggi sta, quindi, nella capacità delle imprese di ripensarsi plasmandosi sulla base di ciò che il cliente desidera.
Sempre di più il verbo della ripresa è “ascoltare”
Primo passo per uscire dalla crisi. Dobbiamo concentrare i nostri sforzi sulla capacità di sapere ascoltare: lo diciamo in molti, e spesso; ma pochi lo sanno fare.
Prendiamo la Toyota. Si scopre, in questi giorni, che quando esplose la bolla Lehman Brothers la prima cosa che la società ha fatto è stata quella di spostare una bella fetta di persone, circa 500 tecnici di varie discipline, per indagare sui desideri dei clienti e sapere da loro che cosa avrebbero voluto per la loro prossima auto. Uno sforzo ancor più apprezzabile considerando che era l’anno in cui la Toyota si apprestava a rendicontare il suo primo bilancio in rosso dopo mezzo secolo di bilanci in crescita.
Quello del 2009 fu uno sforzo di revisione culturale straordinario e drastico. Considerando i tempi di progettazione e messa in produzione oggi vediamo i risultati di questo lavoro con il nuovo piano di rilascio di modelli legati alla propulsione ibrida.
Un cambio di passo in azienda orientato da ciò che il cliente allora riconosceva come valore.
L’economia al servizio dell’uomo
Il vero valore, checché se ne dica, sono le persone, gli uomini e le donne che vivono in azienda. Inutile investire in fior di automazioni se non hai le persone e non investi nel loro miglioramento, nel creargli le migliori condizioni per farli esprimere; se non annulli le distorsioni delle raccomandazioni all’italiana e non riconosci un ampio spazio al merito e all’espressione delle capacità.
Occorre crederci.
Da un punto di vista organizzativo sembra sempre più vincente passare a modelli di gestione leggera essendo fondamentale mettere l’azienda al passo della velocità del mercato; passando, quindi, dalla filosofia del “made to stock” (pianificazione sulle previsioni di vendita) alla produzione su richiesta ossia il “made to order” Questo è il cambiamento che sta portando molte aziende di medie e grande dimensione, in Europa, a vincere la sfida della crisi applicando la filosofia ‘lean’ nelle scelte di tutti i giorni.
In sostanza, come nelle famiglie, anche le aziende stanno imparando a decrescere felici: evitare investimenti inutili in scorte, o in impianti super sofisticati con capacità di produzione inutilmente sovradimensionata. Eliminare gli eccessi, come le rimanenze diventa esistenziale.
Passo numero tre: è inutile produrre a prezzi bassi, in paesi lontani, se poi questo vantaggio se lo porta via il tempo di trasporto o una previsione di mercato sbagliata che porta a un ordine insufficiente o eccessivo. Oltre alla qualità il nuovo valore sul mercato è il tempo: un prodotto ‘desiderato’ che però non arriva nei negozi al momento giusto, ed in quantità corretta, serve a poco; per questo è importante continuare a produrre in Europa, ciò che è di qualità. Sulla produzione a basso valore aggiunto è evidente che la sfida sarà vinta dai paesi emergenti.
La nuova sfida è, e sarà, nella capacità di riuscire a produrre qualità vicino ai mercati di destinazione incidendo anche sui costi della logistica, e recuperando un ruolo sociale delle imprese nelle comunità che oltre che consumare possono anche produrre quel che consumano.
Quattro. Ogni persona deve trovare soddisfazione in quello che fa.
Occorre trovare un equilibrio tra il fare una attività produttiva, e lo svolgere una attività gradevole e che riesca a far crescere la professionalità.
Far crescere le persone significa, ad esempio, insegnare prima un montaggio parziale per poi arrivare alla produzione completa o ad una trasformazione di prodotto. Il concetto di iper-specializzazione non funziona più.
L’attenzione di una persona la si desta molto meglio facendogli fare più cose. E facendogli capire che cosa sta facendo e perché.
Il ruolo dei dirigenti
E’ responsabilità dei manager capire come valorizzare le persone in questi ambiti. La differenza sta qui. Sono pochi i dirigenti che riescono a far crescere i collaboratori. Altro che autorità, qui ci vuole autorevolezza.
Occorre studiare e partire dagli standard operativi, che devono essere non troppo impegnativi, per lasciare libero e consentire al lavoratore di migliorarsi, avendo il tempo di pensare.
Se si è nelle condizioni di usare il cervello, se si richiede di usare il cervello, le cose si faranno meglio, con più soddisfazione e senza perdere tempo; portando un fattivo risparmio in azienda.
I manager devono capire una cosa fondamentale: loro e i loro comportamenti sono il primo esempio e non possono continuare ad essere coloro che dicono solo come si devono fare le cose pianificando una semplice strategia ad obiettivi. Purtroppo questo, in Italia, ma anche in Europa, è un modo di pensare ancora dominante.
Introdurre processi creativi
Più in generale come si crea l’innovazione in azienda e come si struttura il processo creativo?
Le innovazioni hanno due dimensioni: una dimensione quotidiana (quello che in Giappone è conosciuta come Kaizen) che è quel tassello di miglioramento personale che tutti si devono sentire di dover portare. Day by Day. Far bene ogni giorno il proprio lavoro, ogni giorno cercando di migliorare ed ottimizzare gli sforzi.
Poi c’è la dimensione dell’innovazione strategica (tanto per rimanere in Giappone, quella che chiamano il Kaikaku); quella innovazione che cambia il volto di una azienda, quella che poi finisce anche sui giornali, che deriva dalle scelte fatte dall’imprenditore o dall’amministratore delegato che, dopo aver analizzato l’andamento del mercato si fa portatore di una idea innovativa capace di cambiare la strategia con forza. Quella innovazione che nasce dalla capacità di essere dei visionari. Quello che manca, in modo assoluto, alla nostra classe dirigente politica da ormai numerosi, certamente troppi, decenni.
Gli aziendalisti, spesso, sono abituati a vedere solo l’innovazione strategica, il Kaikaku; ma perché si possa parlare di vera innovazione, serve una filosofia basata sul Kaizen: la capacità e determinazione di innovare ogni giorno per mano di tutte le persone. Fare bene il proprio mestiere e cercare ogni giorno di farlo meglio; di chiudere i cicli produttivi in giornata, Day by Day, senza che il “potere” si frapponga come ostacolo a questo processo individuale e collettivo di miglioramento.
Solo all’interno di un processo virtuoso di miglioramento continuo il grande ulteriore sforzo che porta all’innovazione strategica non è dispersivo.
E’ meraviglioso essere innovatori, ma bisogna esserlo ogni giorno. Innovatori quotidiani e innovatori strategici. Questa filosofia quando si trasforma in processo, è quello che ci può aiutare proprio nei momenti più difficili.
Se si è abituati al cambiamento è facile rivedere le proprie posizioni. Si fa così, si può fare solo così e, crisi dopo crisi, si deve continuare ad innovare. Quindi anche davanti a questa crisi degli anni duemila dovremo essere innovatori. Non per scelta, per forza. Pena il fallimento, la chiusura.