Il regolamento REACH è ormai definitivamente attivo nel nostro continente dal 31 maggio. Esso regola la produzione, commercializzazione e importazione di tutti i prodotti chimici, formati da singoli composti o miscele di alcuni di essi. Soltanto i farmaci sono esclusi da questo regolamento insieme alle produzioni di tale specificità da non superare la soglia della tonnellata annua prodotta.
La rivoluzione imposta da questo regolamento sta nel fatto che chi produce o importa è anche responsabile di quanto produce ed importa e degli effetti che possono derivare dall’uso.
Quindi chi produce per ottenere l’autorizzazione ad entrare nel mercato deve presentare una certificazione su quanto produce, certificazione che deve essere approvata da una preposta agenzia europea ECHA. La base di questa certificazione riguarda le caratteristiche di tossicità, stabilità, accumulabilità dei composti o prodotti commmercializzati.
In passato l’attenzione si era sempre concentrata soprattutto sulla tossicità dei prodotti; con il regolamento giustamente si fa rilevare che un composto stabile ha più tempo per esercitare la sua tossicità di un composto instabile ed inoltre che un composto rispetto al quale l’organismo umano e l’ambiente stesso non hanno capacità metaboliche, finisce per accumularsi in organi bersaglio e quindi per superare qualunque limite di sicurezza.
Come si può comprendere il regolamento – il cui iter attuativo è durato 10 anni a partire dal 2008- è stato il faticoso risultato di istanze e resistenze diverse: richiesta di sicurezza da parte dei cittadini, protezione ambientale, interesse industriale.
Quest’ultimo da un lato si focalizzava sull’aggravio economico che derivava dal regolamento ai produttori e dall’altro però alla più volte manifestata intenzione del mondo industriale di dare una dimostrazione di responsabilità, cercando di fare dimenticare al cittadino alcuni errori del dopoguerra compiuti con la unica finalità di cercare il rilancio economico, dimenticando valori importanti come la salute, la sicurezza, la qualità ambientale, quest’ultima già tema di un Programma Industriale di attenzione sociale, il Responsible Care.
Il regolamento comporta aspetti tecnici, economici e sociali.
Per quanto riguarda i primi si tratta di trovare metodi di controllo che consentano a costi sostenibili di verificare la suddetta certificabilità. In evidenza su questo tema è la richiesta dell’UE per metodi alternativi alla sperimentazione animale, richiesta codificata dalla raccomandazione delle 3R: ridurre la sperimentazione animale, rimpiazzarla, rimodularla nelle procedure.
Gli aspetti economici fanno riferimento ai costi che possono rappresentare un collo di bottiglia per la PMI rispetto alle grandi aziende, le prima impossibilitate ad investimenti su nuovi prodotti per l’incapacità a sostenerne i costi di autorizzazione, peraltro nell’incertezza dell’autorizzazione, le seconde assai più agevolate.
Gli aspetti sociali riguardano la necessaria partecipazione del cittadino alla fase esecutiva del regolamento, evitando di essere il complice di operazioni illecite e di falsificazione delle autorizzazioni ed al contrario essere il primo sostenitore dei prodotti certificati.
Ecco allora che l’intervento di uno Stato responsabile ed equilibratore diviene una componente essenziale affinchè del REACH si possano godere i vantaggi e si possano superare gli eventuali disfunzioni.
Questo va visto anche in chiave internazionale, tenuto conto che il regolamento REACH riguarda soltanto l’Europa nella grande competizione internazionale del mercato.