1) Sono trascorsi 70 anni dalla nascita della Repubblica Popolare Cinese e il 26-27 aprile 2019 Pechino ha accolto uno degli eventi internazionali più significativi dell’anno. Si tratta del “2nd Belt and Road Forum for International Cooperation” (BRFI) con la presenza annunciata di una quarantina di Capi di Stato e di Governo, tra i quali il Premier italiano Conte, il Presidente Putin quale ospite d’onore, top-level leaders internazionali compresi quelli dei dieci Paesi dell’ASEAN, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Guterres, il D.G. del Fondo Monetario Internazionale, Lagarde, e oltre cinquemila partecipanti provenienti da 150 Paesi e regioni del Globo. Tema principale del Forum, che fa seguito al primo Forum mondiale tenutosi nel maggio 2017: “Belt and Road Cooperation. Shaping a Brighter Shared Future”.
La BRI – Belt and Road Initiative o “Silk Road Economic Belt and 21st Century Maritime Silk Road” (yi dai yi lu, una cintura, una via), conosciuta in Occidente come Nuova Via della Seta, i cui obbiettivi nel 2017 sono stati inclusi nello Statuto del partito comunista cinese, è, come noto, il programma globale di investimenti infrastrutturali avviato dal Governo cinese per attuare una integrazione economica nell’ambito interno e esterno del continente euro-asiatico, coinvolgendo anche il continente africano. Iniziativa destinata a mutare gli equilibri economici e strategici tra Asia e Europa, portando i suoi riflessi fino all’Africa e all’America Latina. L’ambizione cinese dichiarata è di far nascere una nuova “golden age for trade and investment”.
Il progetto OBOR (One Belt per la via terrestre – One Road per la via marittima ), cintura economica lungo la via della seta, fu presentato nel settembre 2013 dal Presidente Xi Jinping in Kazakhstan e confermato nella visita in Germania a Duisburg nel marzo 2014 (Duisburg, nella Ruhr, è il primo hub commerciale cinese in Europa grazie all’accordo firmato nel 2014 tra Germania e Cina). In effetti già nel corso degli anni Duemila la Cina aveva avviato progetti per il rafforzamento dei collegamenti con i Paesi localizzati lungo gli attuali corridoi della BRI.
In Italia, storicamente una fermata dell’antica Via della Seta, l’iniziativa fu presentata a Venezia nell’ambito della Conferenza internazionale presso la Fondazione Cini del luglio 2016, “Along the Silk Roads”, con la Presidenza di Romano Prodi e la partecipazione di esperti e rappresentanti delle Istituzioni e della politica di tutta l’area euro-asiatica. All’epoca si prefigurava che il porto di Venezia potesse essere il terminale marittimo occidentale europeo della Nuova Via della Seta.
Il Rapporto di Aprile c.a. della Banca Asiatica di sviluppo prevede per la Cina, malgrado il rallentamento, una crescita del 6,3% per il 2019 e del 6,1% per il 2020 (6,6% nel 2018 ). Il maggior contributo alla crescita va finora attribuito ai servizi (per il 3,9% del PIL nazionale). Il tasso di inflazione nel 2018 si è attestato all’1,8%.
La Cina detiene una quota del 25% del valore aggiunto manufatturiero globale, con il 28 per cento delle automobili, il 41 per cento delle navi, l’80 per cento dei computer e oltre la metà della produzione dell’acciaio globale.
Avendo l’ambizione di divenire nel 2049, primo centenario della nascita della R.P.C., la prima potenza industriale del mondo, è stato lanciato nel 2015 anche il Piano “Made in China 2025”, simile al modello Industria 4.0 della Germania, con l’obbiettivo di ristrutturare radicalmente la produzione industriale favorendone lo sviluppo tecnologico e conseguendo la leadership tecnologica mondiale nei vari, relativi settori strategici, come robotica e intelligenza artificiale, tecnologie dell’informazione, aeronautica, nuove reti di telecomunicazione.
2) Stando ai dati forniti dalla China Development and Reform Commission, sono 126 i Paesi (in Asia, Africa, Oceania, America Latina ed Europa) e 29 le Organizzazioni internazionali che hanno firmato accordi di cooperazione relativi alla BRI e nel periodo 2013-2018 il volume degli scambi commerciali tra i Paesi partecipanti alla stessa ammonterebbe al controvalore di 6 trilioni di dollari. L’OCSE ha elencato 65 economie e corridoi economici previsti dall’Action Plan della BRI al momento del lancio nel 2015.
Il veicolo elettivo per tale accordi è rappresentato essenzialmente dai “Memorandum d’intesa”, stilati secondo un format cinese, che per molti osservatori rappresentano ormai l’espressione di una vera e propria diplomazia del Memorandum of Understanding (MoU).
L’Italia, come noto, ha firmato il MoU a Roma il 24 marzo scorso, divenendo così il primo Paese del G7 ad aderire alla BRI, in un contesto accompagnato da polemiche interne e soprattutto malumori a Washington e Bruxelles.
Nell’ambito degli incontri a Roma del Presidente cinese sono stati firmati anche dieci accordi commerciali (in specie Ansaldo e Danieli, turbine e siderurgia) per circa 7 miliardi di euro e 19 istituzionali. Le intese riguardano anche Cassa Depositi e Prestiti – Bank of China (sostegno finanziario alle imprese italiane in Cina ), Eni, Snam, i porti di Trieste e Genova.
Tutta la stampa nord americana, primo tra tutti il New York Times, ha assunto atteggiamenti critici verso la posizione italiana. Il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Garrett Marquis, via Twitter ha invitato pubblicamente il Governo italiano a “non dare legittimazione al vanaglorioso progetto infrastrutturale cinese”.
La preoccupazione statunitense è che si riproduca con l’Italia il caso Grecia, ma verte soprattutto sui problemi di sicurezza nazionale legati alla eventuale condivisione con i cinesi da parte dell’Italia delle reti mobili (rete 5G di cui la Cina grazie a Huawei potrebbe essere il principale fornitore mondiale) e sulla minaccia cyber cinese per i dati sensibili a disposizione dell’Italia in ambito NATO.
Secondo il Premier Conte invece la firma del documento ”non cambierà la collocazione euro-atlantica dell’Italia, oltre a non determinare alcun vincolo giuridico, ….. ma un accordo quadro all’interno del quale le singole aziende decideranno i settori su cui puntare…..l’approccio dell’Italia verso l’iniziativa di Pechino è tra i più lungimiranti ed efficaci che siano mai stati applicati in ambito europeo”.
Da parte del Governo italiano si è voluto anche precisare che si tratta di un accordo puramente commerciale e che il documento firmato vuole indirizzare la Cina verso gli standard occidentali, richiamando espressamente norme e standard UE.
Per promuovere la presenza italiana legata alle infrastrutture BRI è stata creata presso il Ministero per lo Sviluppo Economico un’apposita Task Force Cina composta anche dal Ministero Economia, ICE, Cassa Depositi e Prestiti, SACE, ENI, Enel, Intesasanpaolo, Polimi.
E’ doveroso ricordare:
- che l’unico Paese del G7 partecipante al primo Forum BRI del maggio 2017 fu l’Italia, con la presenza dell’allora Premier Paolo Gentiloni tra i 29 Capi di Stato intervenuti;
- oltre all’Italia numerosi altri Paesi, taluni anche alleati degli Stati Uniti, hanno aderito alle intese BRI con la Cina: in primo luogo Grecia e Portogallo, ma anche Lussemburgo, Polonia e numerosi altri Paesi dell’ex blocco sovietico, come Ungheria, Bulgaria, Repubblica Ceca, Slovacchia,ecc.
Alla firma si è da ultimo dichiarata pronta ad aderire anche la Svizzera, presente al Forum con il Presidente Maurer, essendone la Cina il terzo partner commerciale dopo Germania e Usa. Tra l’altro la Svizzera è l’unico Paese in Europa con una bilancia commerciale in attivo con la Cina. Va sottolineato il particolare interesse per la Svizzera da parte della Cina in funzione della sua integrazione con il mercato finanziario mondiale.
Il Forum 2019 si è concluso con una dichiarazione congiunta firmata dai 37 Leaders partecipanti al Summit: per l’Italia dal Premier Conte, al quale da parte di Xi Jingping è stata dedicata particolare considerazione essendo l’unico membro del G7 firmatario del Memorandum di Intesa, che ha consentito il successo cinese politico-diplomatico e di immagine indubbiamente ottenuto a Roma.
Nella dichiarazione viene tra l’altro ribadito l’impegno comune dei firmatari per l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile e sollecitata una cooperazione comune in materia fiscale, investimenti diretti esteri, la collaborazioni tra Istituzioni finanziarie internazionali e nazionali, la liberalizzazione degli scambi e il rifiuto del protezionismo e dell’unilateralismo (messaggio evidente agli Stati Uniti), la crescita interconnessa (interesse della Cina per le reti mobili) e la interoperabilità delle strutture.
L’Italia da un lato sembra essersi allontanata dai suoi alleati storici europei ed atlantici, correndo il rischio di un doppio isolamento dall’Europa e dagli Stati Uniti, mentre d’altro lato a fronte del possibile costo politico sembra aver ottenuto finora limitati benefici economici, se si eccettuano gli accordi firmati a Roma per circa 7 miliardi di euro, ma che vanno messi a fronte dei 40 miliardi di euro di commesse concluse a Parigi dallo stesso Xi Jingping nel suo viaggio.
Gli investimenti cinesi in Italia nel periodo 2000-2018 non superano i 15 miliardi di euro, anche se il Paese ne è in Europa il terzo destinatario dopo U.K. e Germania.
3) Nello scenario mondiale la BRI da un lato determina notevole interesse in considerazione delle grandi dimensioni degli investimenti infrastrutturali e non solo, ma d’altro lato genera perplessità sotto il profilo dell’ambiente, della trasparenza e sostenibilità nonché per i timori di un’ulteriore massiccia espansione della Cina nell’economia mondiale come espressione di un nuova forma di colonialismo. Si è in presenza di una nuova fase della globalizzazione ove a fronte dell’unipolarismo statunitense, delle divisioni interne e dei problemi dell’Eurozona, Brexit inclusa, la Cina si presenta come attore della difesa della globalizzazione, ma in funzione della sua leadership e quindi di una globalizzazione di impronta cinese.
Il lancio del progetto BRI segna il cambio di passo della linea politica seguita in passato da Den Xiaoping – ascesa morbida progressiva del Paese temporeggiando sull’esibizione della propria forza – alla linea opposta di Xi Jinping – affermazione con forza della propria strategia di influenza sullo scenario mondiale.
Questo senza peraltro dimenticare il rilievo che da molti analisti internazionali viene dato allo sviluppo della forza bellica cinese, benché ancora lontana da quella statunitense soprattutto tecnologicamente ma con un incremento delle relative spese previsto fino a 240 miliardi di dollari.
Lo scarso interesse dimostrato dall’Amministrazione Trump per l’Africa ha favorito il disegno espansionistico della Cina in quel Continente, divenutane il primo bacino – a discapito di Europa e Stati Uniti – ove le aziende cinesi trovano terreno favorevole per il loro massiccio ingresso. L’Africa gioca un ruolo geostrategico essenziale anche per la Via della Seta marittima, come più avanti illustrato. Il futuro dell’Africa oggi sembra appartenere sempre più alla Cina.
Le perplessità sull’egemonia cinese certamente non possono considerarsi infondate, sol che si consideri l’entità di riserve estere (3,5 trilioni di dollari) con le quali il Governo cinese può finanziare la costruzione delle infrastrutture dei paesi ove sono inserite, con prestiti che possono così determinare per taluni dei paesi con economia più debole (es. Laos, Cambogia, Montenegro, Mongolia, Maldive, ecc.) un aumento dell’indebitamento e della dipendenza economico-politica dalla Cina, obbligando poi gli stessi a cederle il controllo di infrastrutture strategiche (es. tlc, porti) come risultato di quella che è stata definita “trappola del debito” (o Debt Diplomacy cinese). Secondo gli analisti vi sarebbero già almeno 23 Paesi BRI a rischio di perdita di sovranità economica.
A proposito degli interventi su economie fragili i dati Ocse indicano che nel settore delle costruzioni, il la Cina fra il 2005 e il 2018 ha generato progetti di investimenti, per lo più infrastrutturali, che per i paesi coinvolti nella BRI o contigui valgono oltre 480 miliardi di dollari. Tra questi Paesi ci sono 29 economie classificate sotto investment grade e 14 senza alcun rating. Il Governo cinese investendo sulle economie emergenti è pronto infatti a privilegiare la visione strategica anche rispetto ad un pessimo investimento economico.
In un quadro generale la Cina si trova ad aver così investito almeno cento miliardi di dollari anche in Paesi quanto meno problematici, come l’Iran dove le imprese statali cinesi partecipano a progetti energetici per 25 miliardi di dollari, o la Libia o la Siria.
Uno degli esempi che ha fatto notizia per dimostrare le finalità geopolitiche aggressive dei finanziamenti cinesi collegati alla BRI, è rappresentato dal caso del porto di Hambantota nello Ski Lanka, in posizione strategica sulla via marittima tra lo Stretto di Malacca e il Canale di Suez, collegando l’Asia all’Europa. L’impossibilità di far fronte al servizio del debito contratto con l’Eximbank cinese per la realizzazione del porto, al fine di alleggerire il traffico sul porto di Colombo, ha costretto il Governo a trasferire in contropartita il 70% del controllo del porto stesso alla China Merchant Port Holdings Company.
4) Le critiche internazionali vengono naturalmente arginate da parte cinese, assertendo che, specie nei paesi africani, gli investimenti sono rivolti a liberare il potenziale economico degli stessi e che la BRI non cerca di creare competizione tra Est e Ovest, o il Sud e il Nord, né cerca di sfidare l’attuale ordine internazionale, ma mira semplicemente a stabilire maggiori sinergie globali per la pace e lo sviluppo.
Rispetto alla prima edizione del Forum BRI 2017 si è riscontrato, specie tra i Paesi europei, minore ottimismo sull’iniziativa quale veicolo per il rilancio del commercio tra Asia, Europa ed Africa. Infatti, a differenza dell’Italia gli altri principali Paesi europei, Germania, Francia e Gran Bretagna, hanno inviato solo delegazioni ministeriali.
Consapevole delle perplessità mondiali Xi Jingpin, con un sobrio discorso inaugurale del 2nd Forum, ha voluto promettere una BRI “verde, multilaterale, sostenibile, e zero corruzione”. A differenza dell’intervento nel Forum 2017 non ha richiamato la millenaria storia della Cina e non ha fatto riferimento a specifici investimenti, anche se in realtà la dichiarazione finale congiunta contiene una lunga elencazione (oltre 280) di corridoi economici e iniziative correlate alla BRI. L’anno scorso lo stesso Xi Jinping aveva dichiarato che la Cina “has no intention of playing self-servicing geopolitical games”.
Sta di fatto che Pechino non sembra riuscire nell’intento di rassicurare il resto del mondo sul suo ruolo.
Particolare scetticismo permane in sede europea: nel marzo scorso, pochi giorni prima della visita di Xi Jinping in Europa, la Commissione UE – che ormai definisce la Cina un “rivale sistemico” – ha predisposto un documento (EU-China-A strategic outlook ) contenente dieci proposte su come affrontare i rapporti tra la UE e la Cina.
Segnali di diffidenza erano già stati manifestati nell’aprile 2018 da ventisette ambasciatori dei Paesi UE a Pechino (incluso quello italiano), inviando alla Commissione UE una lettera nella quale si metteva in guardia circa l’atteggiamento da tenere verso la Cina, in ragione dell’assenza di reciprocità per le aziende europee nell’accesso al mercato cinese e agli appalti della BRI.
Una maggior prudenza si è riscontrata in genere anche tra i consolidati partner asiatici, che talora si sono indotti a rinunciare o ridimensionare propri progetti per timore della loro insostenibilità. E’ il caso eclatante del progetto East Cost Rail Link (ECRL), lanciato nel 2016 e fulcro della BRI nel Sud-est asiatico, per il collegamento ferroviario del Porto di di Kuantan sulla costa orientale sottosviluppata della Malaysia con i porti della costa occidentale, finanziato all’85% da parte dell’Eximbank cinese e realizzazione affidata alla China Construction Communications Company. L’alto costo del progetto (circa 20 md. di dollari) e la consapevole previsione della onerosità del rimborso del finanziamento aveva infatti indotto il nuovo Governo malese all’inatteso blocco totale dell’iniziativa. Solo recentemente il progetto è stato riconsiderato e riavviato, riconfigurando però il percorso e riducendone di un terzo il costo.
E’ anche vero però che la UE e la Cina il 9 aprile scorso hanno firmato a Bruxelles un accordo per effettuare uno studio, affidato a terze parti indipendenti, per il collegamento delle reti europee di trasporto e la BRI. Ed è anche vero che il difficile 21mo vertice UE-Cina tenutosi sempre a Bruxelles il 9 aprile scorso, con la partecipazione del Premier cinese Li Keqiang, si è concluso con un insperato comunicato congiunto (“per un mondo più forte, più sicuro, più prospero”) considerato positivamente dai vertici UE, anche alla luce della introduzione in Cina della nuova legge sugli investimenti esteri che sarà in vigore dal prossimo primo gennaio. Nel contesto del vertice é stato anche firmato un Memorandum of Understanding per un confronto sui temi degli aiuti di Stato e sulla concorrenza sleale. Molti dei temi di interesse dell’industria italiana vi hanno trovato spazio, anche se l’impegno è di raggiungere l’intesa entro quest’anno 2019 (inclusa l’intesa sulle indicazioni geografiche). Il nuovo incontro è previsto entro giugno 2019.
A livello internazionale comunque non mancano valutazioni ufficiali positive per la BRI: in una intervista, rilasciata ai giornalisti cinesi il 23 aprile scorso in vista del Forum di Pechino, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha dichiarato che l’iniziativa Belt and Road rappresenta “un’opportunità molto importante per il mondo ….. per migliorare la capacità di attuare gli obiettivi di sviluppo sostenibile e un’importante opportunità per lanciare prospettive verdi negli anni a venire”.
Per Miguel Angel Moratinos, già Ministro degli Esteri spagnolo e ora Alto Rappresentante dell’UNAOC – United Nations Alliance of Civilization , la BRI costituisce “un progetto per comprendere le sfide del mondo di oggi, rafforzare le comunicazioni, l’interconnessione e la comprensione tra diversi paesi, culture e civiltà”.
Molti Paesi dell’Eurasia a loro volta considerano la BRI un” ponte”, che può aiutare a sbloccare il potenziale di transito dei paesi dell’Asia centrale senza sbocco sul mare e consentire di accedere ai mercati mondiali.
5) Qualsiasi progetto infrastrutturale è eleggibile per la BRI: strade, porti, ponti, ferrovie, gasdotti, ecc.
Per gli aspetti finanziari e la gestione dei massicci investimenti correlati alla BRI, da parte cinese nel 2015 è stata creata celermente una nuova banca multilaterale, la Asian Investment Infrastructure Bank (AIIB), con una dotazione di 100 miliardi dollari (di cui 29,7 md. dalla Cina, che attribuiscono un buon 26% dei voti), cui partecipano anche capitali esteri, disponibile a finanziare progetti infrastrutturali nei paesi attraversati dalla BRI.
La AIIB, antagonista della Banca Mondiale ed anche della BAD – Banca Asiatica di Sviluppo e del FMI, conta ormai – malgrado l’opposizione degli Stati Uniti e i tentativi di dissuasione nei confronti dei suoi alleati europei e asiatici – oltre 90 Paesi aderenti, tra cui Italia (che fu uno dei primi Paesi occidentali ad aderire, rappresentata nel Board dei Governatori dal Ministro dell’Economia e delle Finanze), Regno Unito, Germania, Francia, Australia, ecc. La stessa BAD ha firmato con l’AIIB nel marzo scorso una accordo di cooperazione finanziaria (Cofinancing Framework Agreement for Sovereign Operations, che fa seguito al Memorandum of Understanding for strenghthening Cooperation del maggio 2016). La cooperazione ha prodotto finora il cofinanziamento di 5 progetti regionali.
Sotto il controllo della Banca Centrale è stato istituito un Fondo dedicato, il Silk Road Fund con una dotazione di 40 miliardi di dollari, che canalizza le risorse delle grandi compagnie e banche commerciali cinesi e associa la State Administration of Foreign Exchange, la China Investment Corporation, la Eximbank of China, la China Development Bank. A metà 2017 risultavano firmati progetti per investimenti nell’ordine del controvalore di 6 miliardi di dollari.
Altri interventi finanziari provengono dalla Industrial and Commercial Bank of China, la prima al mondo per attivo, a cui vanno ascritti interventi per oltre 200 progetti e relativa esposizione per oltre 200 miliardi di dollari; alla Eximbank cinese, alla China Development Bank, la più grande banca di sviluppo al mondo, alla China Construction Bank, alla Industrial and Commercial Bank of China. In sostanza per la BRI si mobilita l’intero sistema bancario del Paese.
In prossimità del Forum di Pechino la Bank of China il 25 marzo scorso ha lanciato presso la Borsa del Lussemburgo un bond denominato in dollari di 500 milioni a sostegno del progetto BRI. Finora le emissioni BRI sul mercato internazionale da parte della Bank of China ammontano, in 5 differenti valute, al controvalore di 3.8 miliardi di dollari.
6) Un recente Rapporto predisposto dal CER-Centro Europe Ricerche, presentato presso il CNEL e uno dei documenti più aggiornati sul tema, individua almeno tre obbiettivi cui si indirizzano le autorità cinesi con la BRI:
-a) messa in sicurezza degli approvvigionamenti energetici e di materie prime, attraverso una diversificazione delle fonti energetiche facilitando l‘accesso al petrolio e al gas russo e iraniano.
Dal 1993 il Paese è un importatore netto di petrolio e necessita quindi di risolvere il problema della dipendenza energetica, importando circa i due terzi del fabbisogno petrolifero e circa un terzo di quello di gas. Il carbone è ancora la materia prima utilizzata, benché la Cina abbia realizzato un sistema completo e possa vantare la più grande capacità produttiva al mondo di impianti e reattori nucleari. L’AIEA-Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica prevede che su una produzione mondiale di 300 nuovi reattori nucleari entro il 2030 almeno l’80% verrà realizzato in Paesi della BRI o vicini.
-b) raggiungimento del riequilibrio economico interno, riducendo gli squilibri regionali determinatisi in conseguenza della rapidità dello sviluppo economico del Paese e della massiccia urbanizzazione, che ha determinato la presenza di oltre cento aree urbane con oltre il milione di abitanti.
Nella Cina interna vi sono ancora ampie aree depresse specie nel sud ovest. Xinjiang, Qinghai, Tibet e Gansu sono tra le principali Regioni sulle quali si sta concentrando la BRI.
-c) assorbimento della sovracapacità produttiva in vari settori: delle costruzioni, dell’acciaio nonché della logistica e dei trasporti, con il duplice intento di rilanciare la crescita interna e acquisire mercati di sbocco esteri per le merci cinesi.
In sostanza, la stima è che attraverso un piano di investimenti potenzialmente nell’ordine di mille miliardi di dollari (ma in un arco di tempo per ora non definito), su oltre 900 progetti, verrebbero coinvolti due terzi della popolazione mondiale e il 60 per cento del PIL globale.
Sebbene di fatto ogni Paese possa ormai partecipare alla BRI, per il suo sviluppo la ricognizione del CER si concentra su sei principali corridoi economici, che partono soprattutto da province centrali o occidentali:
-Cina-Mongolia-Russia;
-New Eurasian Land Bridge, per il collegamento con Pacifico e Atlantico. Il corridoi arriva in Olanda (Rotterdam), Belgio (Anversa) e Germania (Duisburg);
-Cina-Asia centrale-Asia occidentale, partendo dallo Xinjiang per collegare Cina, penisola arabica, Golfo Persico e Mediterraneo, raggiungendo Iran e Turchia;
-Penisola Cina-Indocina, per il collegamento e lo sviluppo della cooperazione con i Paesi dell’Asean;
-Cina-Pakistan (CPEC) , uno dei più importanti dal punto di vista strategico, indirizzato ad un accesso al medio Oriente e all’Africa ; partendo dallo Xinjiang (Kashgar) per creare attraverso il porto pachistano di Gwadar il collegamento fra il ramo terrestre e il ramo marittimo della Via della Seta. Si stimano investimenti per 46 miliardi di dollari. Correlato a questo corridoio è stato realizzato il primo intervento del Silk Road Fund.
-Bangladesh-Cina-India-Myanmar, per unire i mercati in espansione cinese e indiano.
Nel comunicato congiunto finale del Summit vengano peraltro elencati ben 36 corridoi economici e progetti correlati alla BRI nonché almeno una quindicina di altre iniziative multilaterali.
7) Ai corridoi terrestri vanno aggiunte le rotte della via marittima. La Maritime Silk Road prevede un network di porti e infrastrutture per unire le coste cinesi da una parte all’Africa e al Mediterraneo e dall’altra all’Oceano Pacifico.
La via marittima della BRI coinvolge un maggior numero di Paesi, non solo vicini ma anche molto distanti come ad es. il Kenia o la Tanzania. Per gli investimenti la Cina non fa differenze ed investe consistentemente nei trasporti via terra e via mare.
Nel raffronto treno-nave la via marittima è significativamente meno costosa della via terrestre e consente il trasporto di maggiori quantitativi; infatti il traffico marittimo è tre volte superiore a quello terrestre o aereo. Ad es. spedire per ferrovia attraverso la Russia ha costi nell’ordine di mille dollari a container. Nel 2016 due terzi del traffico merci tra Cina ed Europa è avvenuto via mare.
La Cina non solo dipende dalle forniture di petrolio e gas del Medio Oriente, ma la maggior parte di queste forniture avviene attraverso diversi passaggi marittimi come lo Stretto di Malacca nel Mar Cinese Meridionale, su cui la Cina rivendica diritti di carattere storico e oggetto di permanente conflitto con gli Stati Uniti.
Pechino è ben consapevole dell’influenza internazionale rappresentata dal potere navale.
Un facile accesso alle strutture portuali nei mercati di destinazione è per la Cina fondamentale, anche in funzione di risparmi economici e temporali laddove non siano necessarie nuove costruzioni o ristrutturazioni.
L’espansionismo cinese nel settore portuale e trasporto marittimo risale comunque a prima della BRI: il primo investimento in Europa risale al 2004 con l’acquisizione del 25% di Anversa in Belgio,al costo di circa 134 milioni di euro. Nel 2007 la COSCO Shipping Port ha rilevato il 20% di Suez Canal Container Terminal.
In Europa troviamo acquisizioni portuali – in genere tramite la COSCO (China Ocean Shipping Company) – in Olanda (Rotterdam), Belgio (Anversa), Spagna (Valencia, Bilbao), Grecia (Pireo), Italia (Vado Ligure). L’interesse cinese si estende anche alle società di gestione della navigazione commerciale, come il Gruppo CMA CGM di Marsiglia o la Noatum Port in Spagna.
Per gli investimenti sugli scali europei la Cina ha speso finora oltre 5 miliardi di euro attraverso i due veicoli della COSCO e della China Merchants Group International.
Ma hanno portato capitali anche a Gwadar in Pakistan, Khalifa Port ad Abu Dabi, al già ricordato Hambatonta Port nello Sri Lanka, ecc.
Le mire cinesi sono rivolte anche ai due porti fondamentali di Israele. La China Harbour nel 2014 ha ottenuto l’appalto per costruire il nuovo porto di Ashdod nei prossimi sette anni, per un importo di circa 900 milioni di dollari.
La SIGP -Shangai Industrial Port Group, società pubblica sotto controllo governativo, a partire dal 2021 gestirà una nuova area nel Porto di Haifa. E’ un inserimento problematico per la presenza a pochi chilometri della flotta israeliana e della Sesta Flotta USA che il porto ospita regolarmente.
Una particolare menzione merita l’insediamento dall’agosto 2017 di una base militare (finora l’unica all’estero) nel Corno d’Africa, a Gibuti, con una finestra strategica sullo stretto di Bab el-Mandel che collega Mar Rosso a Oceano Indiano e Mar Arabico.
ll controllo di questa via d’acqua è fondamentale per gli scambi tra Mediterraneo e Asia, così come per il commercio petrolifero dal Medio Oriente verso Europa e Nord America. Nelle sue acque passano ogni giorno quasi 5 milioni di barili di petrolio (per tre quarti verso l’Europa e per il resto nella direzione opposta), pari al 35% del trasporto globale in mare di oro nero. Lo stretto di Bab el-Mandeb è un punto di transito inevitabile se non si vuole circumnavigare l’Africa, aumentando tempi e costi, ed è il tramite di circa la metà dell’import energetico cinese. L’insediamento si è posizionato in un’area, il Corno d’Africa, interessata da anni da una guerra commerciale tra i Paesi del Golfo Persico. La testa di ponte gibutina cinese non lascia del tutto tranquilli gli Stati Uniti, che vi avevano insediato a loro volta il più grande avamposto militare in Africa, utilizzato per le operazioni antiterrorismo in Africa e Medio Oriente.
Tuttavia, non tutti i porti sono adatti alla Cina, che ha bisogno di porti che possano ospitare navi di grandi dimensioni. La maggior parte dei porti europei è tecnicamente incapace di ricevere le enormi navi portacontainer dalla Cina.
Dal 2008 la Cina ha comprato parte del Porto del Pireo, del quale con successivi acquisti é arrivata oggi al 67% gestito dalla COSCO. Il Pireo è la porta di accesso in Europa per le navi provenienti da Hong Kong e Shanghai e il punto di sbocco delle merci provenienti dall’entroterra, ma si è rivelato meno funzionale del previsto in quanto occorre far attraversare i Balcani ai container in carenza di ferrovie.
Quindi il focus cinese si è indirizzato sul Nord Adriatico e Trieste in particolare.
Nel 2015 era stato elaborato dalla North Adriatic Port Association (Napa) un progetto del valore di oltre 2 miliardi di euro per la realizzazione, con il cofinanziamento italiano (Cdp) e del Silk Road Fund cinese, della c.d. “Alleanza dei cinque porti”, mettendo in rete Venezia, Trieste, Ravenna, Capodistria (Slovenia) e Fiume (Croazia) . Come alternativa ai porti del nord Europa, Pireo e Istanbul e il collegamento dei mercati orientali con il centro Europa.
Puntando sull’Adriatico la percorrenza da Shangai si ridurrebbe di circa 8 giorni rispetto ad Amburgo.
Il progetto, peraltro ancora fermo, prevede un sistema portuale offshore/onshore con una piattaforma al largo del porto di Malamocco (Venezia),su fondali di almeno 20 metri di profondità per consentire l’attracco delle grandi navi da carico e cinque terminali sulla terraferma.
Nell’ambito della visita di XI Jinping sono stati firmati dalla China Construction Communications Company accordi con le autorità portuali che amministrano il rispettivamente i Porti di Trieste e Monfalcone e i porti di Genova e Savona Vado Ligure. In Italia la Cina già dispone per i propri container del Porto di Vado Ligure,avendone acquisito il 49,9%.
Il controllo dei porti mercantili è una parte importante del progetto BRI, ma sussiste il timore che la Cina negli stessi possa sviluppare strutture per i suoi obiettivi militari.
La Cina, in accordo con la Russia, ha previsto anche la “ICE Silk Road” attraverso l’Oceano Artico, che abbrevierebbe i tempi per raggiungere Rotterdam rispetto al percorso attraverso lo Stretto di Malacca.
Breve conclusione
- Definire oggi le dimensioni della BRI in quanto progetto sistemico non è facile poiché si tratta di una iniziativa in continua mutazione.
- Di fronte al tramonto dell’Occidente il 21° secolo può essere il Secolo Asiatico.
- Può dubitarsi dei risultati della “cooperation win-win” della BRI prefigurata da Xi Jinping.
- In definitiva della BRI si sa dove e come origina ma non dove può terminare e se sarà effettivamente il veicolo e il percorso che in pochi lustri consentirà alla Cina una sorta di cinesizzazione dell’Occidente e la supremazia globale.