Jean – Luc Godard è uno dei cineasti più geniali nell’empireo della settima arte.
Fu alla fine degli anni ’50 che un gruppetto di giovani cinefili si dedicò ad una forma cinematografica nuova, un cinema che guardava alla realtà con sguardo sincero, attuale, disincantato. Ne facevano parte Francois Truffaut, Jean-Luc Godard, Claude Chabrol, Alais Resnais, Agnes Varda e altri.
Una nuova generazione di “eroi”, un’ondata di creatività nuova che prese il nome di Nouvelle Vague”.
Diversa nei dialoghi, nelle lunghe sequenze, nel cercare di scoprire non solo la vita di chi si sta raccontando ma le ragioni delle sue più intime scelte.
Nell’Olimpo simbolico della Mitologia Cinematografica c’è un’enumerazione fantastica e inattaccabile di mitici eventi.
Il treno dei fratelli Lumiere, la scalinata di Odessa, il pianto del bambino e la corsa della Magnani C’è Antoine Doinel di fronte al mare e Belmondo morente sulla strada.
Ci sono partite a scacchi con la Morte e bagni nella Fontana di Trevi.
C’è la struggente voce di Hal che si spegne in un agonico “I’m afraid, Dave”
Il mito è una delle cose importanti nella vita dell’immaginario collettivo.
Senza di esso tutto si appiattisce dentro una laguna d’imparzialità malata, in cui il bello e il mediocre hanno lo stesso valore emozionale.
“La principale funzione del mito è quella di stabilire modelli esemplari in tutte le importanti azioni umane”
E’ un’eterna fonte di ispirazione. Spiega Aristotele : “Colui che ama il mito ama in una certa misura la saggezza”.
Eppure oggi è cresciuta nella coscienza popolare un’esigenza nuova, una forma primaria, basilare di “fascismo patologico” che ama denudare l’artista, l’eroe mitico, di fronte al mondo, segnando con la matita rossa e blu il suo corpo per colpirlo dove fa più male: il centro fertile delle nevrosi che determinano la sua arte.
E’ la vendetta del mediocre, quella che io chiamo “La sindrome di Salieri”, che si bea del fatto che la Cultura più Alta diventi una scritta oscena sul muro di un cesso pubblico.
A differenza di ciò che accadeva nella Mitologia Classica in cui era la divinità stessa a punire l’offesa di un essere umano, eroe titano o semidio che fosse, nella realtà dei nostri giorni sono “le mogli abbandonate”, e i ” mariti lasciati” a fare martirio dei propri ex. Le prime usano la penna, scrivendo libri duramente autobiografici, i secondi vengono presi da raptus omicidi.
L’esempio più eclatante e imbarazzante è il film del 2017 di Michel Hazanavicius dal titolo “Redoutable”, che in francese ha significati contrastanti che vanno da “Formidabile” a “Terribile”, “Spaventoso”, “Temibile”, tradotto in italiano in “Il mio Godard” in un impeto di superficialità ottusa.
La trama del film è tratta dal libro autobiografico “Un an après” di Anne Wiazemsky, interprete del “La chinoise”, amatissima ex moglie di Godard e sua musa ispiratrice.
La critica è divisa: Carlo Valeri scrive “Prima o poi doveva accadere che la borghesia si vendicasse di Jean- Luc Godard” Altri sostengono che il regista abbia voluto stringere il maestro in un affettuoso abbraccio.
Sottoponendolo ad un ironico e tenero scontro generazionale.
Non c’è nulla di tenero nel racconto di Hazanavicius, niente di lieve o ironico, di riconoscente o grato.
E’ lo sfottò del bullo nei confronti del “diverso”, un occhialuto, imbranato, falso rivoluzionario, noiosa mezza figura di artista e di uomo.
Un inutile pretenzioso cineasta, fuori posto in un 1969 di guerre e di contestazioni.
Il tormentone della gag della caduta con conseguente rottura di occhiali vorrebbe creare una continuità amorevole, la presa in giro di un amico fedele, dà invece il senso ingombrante della capacità dell’autore di rendere volgare e turpe il più semplice gesto, fosse anche la “linguaccia”di Einstein.
Infine, nel suo livore di distruttore di miti, il regista fa a pezzi anche il cinema italiano “che è pesantemente coinvolto qui con le assurde comparsate, lontane da ogni verosimiglianza, di Bertolucci e Ferreri”.
Il piccolo cialtrone ha voluto dismettere un mito del 900, tronfio del l’Oscar ricevuto per The Artist e abituato alla futilità degli spot pubblicitari sui quali si è formato come regista.
Ma un mito si può abbattere solo se si ha la forza della ragione dalla propria parte, il peso di un cuore generoso e l’eleganza di una mente geniale.